Fenner lo sentiva muoversi, ma non riusciva a muovere un muscolo.
Cerco di alzarsi, ma non riusci a muovere un dito, nonostante i suoi sforzi disperati. Una nebbia rossa, di rabbia e di dolore, gli copriva gli occhi.
Solo quando se ne furono andati, sbattendo la porta, riusci a tirarsi in piedi. Si appoggio alla scrivania con una mano e si guardo in giro, furioso.
Paula stava rannicchiata sul divano. Singhiozzava di rabbia. «Non guardarmi, maledizione!» esclamo. «Non guardarmi!»
Fenner barcollo verso l'altra stanza e ando nel gabinetto. Fece scorrere l'acqua fredda nel lavabo e si lavo il viso con cura. Quando ebbe finito, l'acqua era rossa. Con un passo leggermente piu sicuro, ando all'armadio e trovo una mezza bottiglia di Scotch e due bicchieri. Ne verso una buona dose. Gli doleva il capo maledettamente. Il whisky gli brucio le budella, ma lo rimise in sesto. Ne verso altre due dita nell'altro bicchiere e torno da Paula.
Questa si era raddrizzata. Stava ancora piangendo, sommessamente.
Fenner appoggio il bicchiere di whisky sull'orlo della scrivania, accanto a lei.
«Butta giu questo, piccola» disse. «Ne hai bisogno.»
Lei guardo lui, e poi lo Scotch. Allungo la mano e gli strappo il bicchiere. Aveva gli occhi che scintillavano, sul viso pallido. Gli butto il whisky in faccia.
Fenner non mosse un dito, si tolse il fazzoletto di tasca e si asciugo. Paula si prese il viso tra le mani e scoppio a piangere. Fenner si sedette dietro la scrivania.
Rimasero cosi per parecchi minuti, il silenzio rotto unicamente dagli amari singhiozzi di Paula. Fenner stava da cani. La nuca minacciava di aprirsi in due. Il viso gli doleva e la ferita pulsava. L'escoriazione bluastra sul collo bruciava per il whisky. Si prese una sigaretta dal pacchetto con dita che tremavano.
Paula smise di piangere. «Ti credi di essere un duro, eh» disse, senza staccare il viso dalle mani. «Credi di essere bravo? Tu lasci che due scagnozzi entrino e ci trattino a questo modo? Dio mio, Dave! Ti sei rammollito e hai paura. Mi sono messa con te perche pensavo che tu sapessi badare a te stesso e potessi badare a me, ma mi sbagliavo. Te ne stai seduto e ti rammollisci… mi senti? Hai paura e ti rammollisci! E poi che cosa hai fatto? Li hai lasciati uscire e ti sei attaccato alla bottiglia. Ebbene, Dave Fenner, ne ho avuto abbastanza.»
Picchio il cuscino coi pugni chiusi e ricomincio a singhiozzare. Poi disse:
«Oh, Dave, Dave… come hai potuto permettere che mi trattassero cosi?»
Mentre parlava, Fenner era rimasto seduto, impietrito. Gli occhi semichiusi sembravano schegge di ghiaccio. Quando lei ebbe finito, disse: «Hai ragione, Dizzy, sono rimasto seduto per troppo tempo.» Si alzo in piedi.
«Non corrermi dietro, ora. Pigliatela calma, per un giorno o due. Chiudi l'ufficio. Io ho da fare.» Spalanco il cassetto, afferro la rivoltella, la ficco nella cintola dei pantaloni e si aggiusto la giacca in modo da coprirne il calcio. Poi usci come una furia, chiudendosi la porta alle spalle.
Un'ora dopo, Fenner, ripulito e con un altro abito, fermo un tassi e diede un indirizzo del centro. Mentre il tassi sfrecciava veloce nell'intenso traffico della sera, Fenner teneva lo sguardo fisso davanti a se, cupo. Soltanto i pugni stretti sulle ginocchia tradivano la natura dei suoi sentimenti.
Il tassi lascio la Settima Strada e si ritrovo in una rumorosa viuzza secondaria. Un minuto dopo si fermo, e Fenner salto fuori. Getto un dollaro all'autista e attraverso il marciapiede, evitando il gruppo dei ragazzini che schiamazzavano li attorno.
Sali di corsa la lunga rampa di scale e suono il campanello. Poco dopo la porta si apri e una vecchia lo guardo strizzando gli occhi.
«C'e Ike?» chiese lui, secco.
«Chi lo vuole?»
«Ditegli Fenner.»
La vecchia fece scorrere la catena e apri la porta. «Fate attenzione a salire, giovanotto» disse. «Ike e cattivo, stasera.»
Fenner la scanso e sali le scale buie.
La puzza di cibo cotto, di stantio e di sporcizia gli fece arricciare il naso.
Al primo piano, busso a una porta. Udi un mormorio di voci, e poi un improvviso silenzio. La porta venne aperta lentamente e un ragazzo sottile e muscoloso, con il mento aguzzo come quello di un cane, lo squadro.
«Si?» disse.
«Di' ad Ike che gli voglio parlare. Sono Fenner.»
Il ragazzo richiuse la porta. Fenner lo senti dire qualcosa, poi riapri la porta e gli fece cenno col capo. «Entrate» disse.
Ike Bush era seduto a un tavolo con quattro altri: giocavano a poker.
Fenner entro e si fermo proprio dietro a Bush. Gli altri lo guardarono biecamente, ma continuarono a giocare. Bush studiava le carte, pensoso.
Era un omaccione con la faccia rossa e le sopracciglia folte. Nelle sue grasse dita le carte sembravano pedine da domino.
Fenner lo guardo giocare per qualche minuto. Poi si chino e sussurro all'orecchio di Bush: «E una mano sbagliata. Ci rimetterai.»
Bush continuo a studiare le carte, si schiari la gola, e sputo per terra.
Butto le carte sul tavolo con disgusto. Scosto la sedia, si alzo e porto Fenner in fondo alla stanza. «Cosa vuoi?» bofonchio.
«Due cubani» replico Fenner, tranquillo. «Entrambi vestiti di nero. Feltro nero, camicie bianche e cravatte fantasia. Scarpe nere con punta quadra. Tutti e due piccoletti. Tutte e due armati.»
Ike scosse il capo. «Non li conosco» disse «non sono di questa zona.»
Fenner lo guardo freddamente. «E allora scopri chi sono al piu presto.
Voglio ritrovarli subito.»
Ike alzo le spalle. «Cosa ti hanno fatto?» chiese. «Voglio continuare a giocare…»
Fenner piego leggermente il capo da una parte e mostro il taglio sullo zigomo. «Quei due scagnozzi sono saliti da me, mi hanno lasciato questo come ricordo… e poi sono spariti.»
Ike fece tanto d'occhi. «Aspetta» disse. Ando al telefono che stava sopra un tavolino, dall'altro lato della stanza. Dopo una lunga conversazione tutta sussurri, riappese e fece un cenno col capo a Fenner.
Fenner gli si accosto. «Trovati?»
«Si.» Ike si frego la faccia sudaticcia con il rovescio della mano. «Sono in citta da cinque giorni. Nessuno sa chi diavolo siano. Sono alloggiati sulla strada per Brooklyn. Questo e l'indirizzo. Pare che abbiano preso una casa ammobiliata. Sono due duri, ma nessuno sa per chi lavorano.»
Fenner tese la mano e prese il pezzo di carta dove Ike aveva scritto l'indirizzo.
Ike lo guardo. «Entri in azione?» domando per curiosita. «Vuoi un paio di ragazzi?»
Fenner gli mostro i denti in un sorriso senza simpatia. «Mi arrangio da solo» rispose secco.
Ike allungo una mano e afferro una bottiglia senza etichetta. Guardo Fenner con aria interrogativa. «Un bicchierino prima di andare?» chiese.
Fenner scosse il capo. Batte una mano sulla spalla di Ike e usci. Il tassi stava ancora aspettando. L'autista si sporse, quando Fenner scese gli scalini. «Non mi e parso che fosse casa vostra» disse con un sorriso «e sono rimasto nei paraggi. Dove vogliamo andare?»
Fenner spalanco la portiera. «Farete carriera» rispose. «Avete imparato il mestiere per corrispondenza?»
L'autista rispose, serio: «Le cose vanno male di questi tempi. Uno deve usare il cervello. Dove volete andare, signore?»
«Lasciatemi dopo il ponte di Brooklyn. Da li proseguiro a piedi.»
Il tassi si stacco dal marciapiede e si diresse verso le luci della Settima Strada.
«Vi hanno malmenato?» chiese il tassista, curioso.
«No» ruggi Fenner. «Ho una zietta che si diverte a far la punta ai denti.»
«Una zietta cattiva, eh?» replico il tassista, ma poi tacque.
Era quasi sera quando raggiunse il ponte di Brooklyn. Fenner pago il tassi e si diresse al bar piu vicino. Ordino un panino gigante e tre dita di whisky. Mentre divorava il panino, chiese alla cameriera dov'era la strada che cercava. Lei dovette cercarla sulla pianta. Fenner pago il conto e usci.
Camminando di buon passo, arrivo a destinazione in dieci minuti. Trovo la strada senza sbagliare e senza