Tim Powers
Mari stregati
…E anime disormeggiate possono andare alla deriva su mari stregati di quelli che gli uomini conoscono, ed essere capovolti da venti che non agiterebbero neppure un capello…
Un grazie a David Carpenter, Bruce Oliver, Randall Robb, John Swartzel, Phillip Thibodeau e Dennis Tupper, per le chiare risposte date a domande poco chiare.
PROLOGO
Sebbene la brezza della sera gli avesse congelato la schiena mentre camminava, essa non aveva ancora dato inizio alla sua incombenza notturna di spazzar via dalle viti e dai tronchi dei palmizi addossati sull’isola l’aria umida che il giorno aveva lasciato dietro di se, e la faccia di Benjamin Hurwood luccicava di sudore gia prima che il nero lo avesse guidato per dieci iarde all’interno della giungla. Hurwood sollevo il machete che stringeva nella sua — unica — mano sinistra, e scruto inquieto nelle tenebre che sembravano addensarsi dietro la vegetazione illuminata dalla torcia intorno a loro e in alto, poiche le storie di cannibali e serpenti giganti che aveva udito gli parvero in quel momento perfettamente plausibili, ed era difficile, a dispetto delle recenti esperienze, affidare la propria incolumita alla collezione di code di bue e sacchetti e statuine che oscillavano dalla cintura dell’altro uomo. In quella primeva foresta pluviale non era di alcun aiuto pensarli come gardes, arrets e drogues piuttosto che come feticci, oppure pensare il suo compagno come un bocor piuttosto che come uno stregone o uno sciamano.
Il nero gesticolo con la torcia e si volto a guardarlo, «A sinistra adesso,» disse in un accurato inglese, e poi aggiunse rapidamente in uno dei dialetti degradati di Haiti, «e cammina con cautela — piccoli corsi d’acqua hanno scavato sotto il sentiero in molti punti.»
«Cammina piu lentamente, allora, cosi posso vedere dove metti i piedi,» replico Hurwood, irritato, nel suo fluente francese da manuale. Si domando quanto avesse sofferto il suo accento, fino a quel momento perfetto, per essere stato esposto durante l’ultimo mese a tante strane variazioni di linguaggio.
Il sentiero divenne piu ripido, e ben presto dovette rinfoderare il machete al fine di avere la mano libera per afferrare rami e tirarlo su, e per un po’ il suo cuore palpito in maniera cosi allarmante che penso che sarebbe scoppiato, malgrado la drogue protettiva che il nero gli aveva dato. Dopodiche, raggiunsero il livello sovrastante la giungla e la brezza marina li investi, ed egli grido al compagno di fermarsi per poter riprendere fiato nell’aria pura e bearsi della sua freschezza nei bianchi capelli bagnati e nella camicia zuppa.
La brezza strepito e fruscio frai rami dei palmizi sottostanti, e attraverso un varco frai tronchi piu distanziati intorno a lui egli pote vedere l’acqua — un segmento chiazzato di chiarore lunare della Lingua dell’Oceano, sul quale loro due avevano navigato dall’Isola di New Providence quel pomeriggio. Rammento di aver notato quella prominenza sulla quale si trovavano, e di essersi interrogato su di essa, mentre lottava per mantenere la vela orientata secondo le indicazioni della sua scontrosa guida.
Isola di Andros, veniva chiamata sulle mappe, ma la gente alla quale negli ultimi tempi si era unito la chiamava Isle de Loas Bossals, che, aveva dedotto, significava Isola degli Spiriti (o, sembrava talvolta, degli Dei) Selvaggi (o, forse piu esattamente, Maligni). Personalmente, pensava ad essa come alla spiaggia di Persefone, dove sperava di trovare, finalmente, almeno una finestra che desse nella casa dell’Ade.
Senti un gorgoglio dietro di lui e si volto in tempo per vedere la sua guida che tappava una delle bottiglie. Acuto, nell’aria limpida, pote sentire l’odore del rum. «Maledizione,» sbotto Hurwood, «quello e per gli spiriti.»
Il bocor fece spallucce. «Portato troppo,» spiego. «Se e troppo, vengono troppi.»
L’uomo con un braccio solo non rispose, ma ancora una volta desidero di averne saputo abbastanza — invece che quasi abbastanza — per poter fare tutto da solo.
«Siamo vicini,» disse il bocor, ficcando la bottiglia nella borsa di pelle che gli pendeva dalla spalla.
Ripresero la loro andatura regolare lungo il sentiero di terra umida, ma Hurwood ora avvertiva un cambiamento… un’attenzione rivolta a loro.
Anche il nero l’avverti, e si volto, indirizzandogli un sogghigno da sopra la spalla ed esponendo delle gengive bianche quasi come i suoi denti. «Hanno annusato il rum,» disse.
«Sei sicuro che non si tratta soltanto di poveri indiani?»
L’uomo che lo precedeva rispose senza voltarsi. «Dormono ancora. Sono i loa quelli di cui avverti lo sguardo.»
Sebbene sapesse che non c’era ancora nulla fuori dell’ordinario da vedere, l’uomo con un solo braccio si guardo intorno, e per la prima volta gli venne in mente che quel panorama non era davvero cosi incongruo — quei palmizi e quella brezza marina probabilmente non differivano di molto da quelli che potevano trovarsi nel Mediterraneo, e le isole Caraibiche dovevano essere molto simili a quell’isola dove, migliaia di anni prima, Ulisse esegui quasi esattamente la stessa procedura che essi intendevano eseguire quella notte.
Fu soltanto dopo che raggiunsero la radura sopra la collina che Hurwood realizzo di avere avuto paura per tutto il tempo. Non c’era niente di apertamente sinistro nella scena — uno spiazzo sgombro e piatto con una capanna da un lato e, al centro della radura, quattro pali che sostenevano un piccolo tetto di paglia sopra una cassa di legno — ma Hurwood sapeva che c’erano due indiani Arawak drogati nella capanna, e un fosso profondo sei piedi e rivestito di tela cerata all’altro lato della piccola tettoia.
Il nero raggiunse la cassa sotto il riparo — il trono, o l’altare — e con grande cura si stacco alcune statuine dalla cintura e le dispose su di essa. S’inchino, retrocedette, quindi si raddrizzo e si volto verso l’altro uomo, che lo aveva seguito fino al centro della radura. «Sai cosa bisogna fare adesso?» domando il nero.
Hurwood sapeva che quella era una specie di prova da superare. «Spargere il rum e la farina intorno al fosso,» disse, cercando di apparire disinvolto.