«Lo stagno puzza forte, stasera,» disse Carnivoro. «Certe volte puzza di piu, e quando il vento spira dalla parte giusta, e insopportabile.»
Quando quelle parole penetrarono nella sua coscienza, Horton si accorse di nuovo degli altri seduti intorno al fuoco; e il teschio di Shakespeare non era altro che una chiazza bianca sopra la porta.
C’era il fetore, l’immonda putredine dello Stagno, e da oltre il cerchio della luce del fuoco veniva una sorta di fruscio. Gli altri l’udirono e girarono la testa nella direzione da cui proveniva il suono. Nessuno parlava, in attesa che il suono si ripetesse.
E si ripete, e adesso c’era un senso di movimento nell’oscurita, come se una parte della tenebra si fosse mossa: non era un movimento visibile, ma un senso di movimento. Una piccola parte dell’oscurita assunse una lucentezza, come se una sua sfaccettatura fosse divenuta uno specchio e riflettesse la luce del fuoco.
La lucentezza ingrandi e nelle tenebre vi fu un movimento inequivocabile… una sfera di buio piu fondo che si avvicinava ondeggiando e frusciando.
Prima era stata solo un’allusione, poi una percezione: e adesso, improvvisamente ed inequivocabilmente, si rivelava… una sfera di tenebra, del diametro d’una sessantina di centimetri, che passava ondeggiando dalla notte al cerchio della luce del fuoco. E il fetore l’accompagnava… un fetore sempre piu denso che tuttavia, con l’appressarsi della sfera, sembrava diventare meno pungente.
A tre metri dal fuoco, si fermo ed attese: una sfera nera dal lustro oleoso. Stava li, semplicemente. Era immobile. Non c’erano fremiti, ne pulsazioni: niente indicava che si fosse mai mossa o che fosse capace di muoversi.
«E lo Stagno,» disse Nicodemus, parlando sottovoce, come se non volesse turbarla o spaventarla. «Viene dallo Stagno. Una parte dello Stagno e venuta a farci visita.»
C’era tensione e paura, nel gruppo: eppure, si disse Horton, non era una paura travolgente, piuttosto stupita e sconcertata. Era come, penso, se la sfera si fosse preoccupata di spaventarli il meno possibile.
«Non e acqua,» disse Horton. «Io ci sono stato, oggi. E piu pesante. E come il mercurio, ma non e mercurio.»
«Allora una parte puo assumere la forma di sfera,» disse Elayne.
«Quella cosa maledetta e viva,» squitto Carnivoro. «Sta li, sa di noi, ci spia. Shakespeare dice che c’e qualcosa che non va nello Stagno. Lui ha paura di esso. Non va mai vicino. Shakespeare e un perfettissimo vigliacco. Dice che in momenti come questo, nella vigliaccheria c’e una profonda saggezza.»
«Qui,» disse Nicodemus, «succedono molte cose che noi non comprendiamo. Il tunnel bloccato, l’essere racchiuso nel tempo, e adesso questo. Ho l’impressione che stia per succedere qualcosa.»
«E allora?» chiese Horton alla sfera. «Sta per succedere qualcosa? Sei venuta a dirci questo?»
La sfera non emise alcun suono. Non si mosse. Resto semplicemente li, in attesa.
Nicodemus le si avvicino di un passo.
«Lasciala in pace,» disse Horton, bruscamente.
Il robot si fermo.
Il silenzio si protrasse. Non c’era nulla da fare, nulla da dire. Lo Stagno era li: la prossima mossa spettava a lui.
La sfera fremette, vibro, e poi si ritrasse, rotolando nell’oscurita senza lasciar tracce anche se, per molto tempo dopo la sua scomparsa, Horton ebbe l’impressione di poterla vedere ancora. Frusciava e sciaguattava mentre si muoveva: e il suono si spense finalmente in lontananza, e il fetore, cui avevano finito per abituarsi, incomincio a disperdersi.
Nicodemus torno accanto al fuoco e si accovaccio.
«Perche?» chiese.
«Voleva darci un’occhiata,» ululo Carnivoro. «E venuto a darci un’occhiata.»
«Ma perche?» chiese Elayne. «Perche voleva darci un’occhiata?»
«Chi puo sapere cosa vuole uno Stagno?» fece Nicodemus.
«C’e un solo modo per scoprirlo,» disse Horton. «Andro a chiederlo allo Stagno.»
«Questa e la pazzia piu grossa che abbia mai sentito,» disse Nicodemus. «Questo posto deve farti un brutto effetto.»
«Non credo sia una pazzia,» disse Elayne. «Lo Stagno e venuto a farci visita. Verro con te.»
«No,» disse Horton. «Debbo andare da solo. Tutti voi resterete qui. Nessuno viene con me e nessuno mi segue. E chiaro?»
«Stai a sentire, Carter,» disse Nicodemus, «non puoi precipitarti via cosi…»
«Lasciatelo andare,» ringhio Carnivoro. «E simpatico sapere che non tutti gli umani sono come il mio vigliacco amico, la sulla porta.»
Balzo in piedi e rivolse a Horton un saluto brusco, quasi beffardo. «Vai, mio amico guerriero. Vai incontro al nemico.»
24.
Si smarri due volte, sbagliando a svoltare per il sentiero, ma finalmente arrivo allo stagno, scendendo l’erta ripida, mentre la luce della torcia elettrica si rifletteva sulla dura levigatezza della superficie.
Nella notte c’era un silenzio di morte. Lo Stagno era piatto e spento. Una manciata di stelle sconosciute impolverava il cielo. Guardandosi intorno, Horton scorse il bagliore del fuoco che illuminava la cima di un albero altissimo.
Pianto i tacchi sul gradino di pietra che portava allo Stagno e si chino.
«Bene,» disse parlando con la voce e con la mente. «Sentiamo.»
Attese, e gli parve che vi fosse un lieve movimento nello Stagno, un’increspatura che non era un’increspatura, e dalla riva opposta giunse un bisbiglio, come un vento che spirasse dolcemente tra le canne. Horton senti un moto nella sua mente, l’impressione che qualcosa vi prendesse forma.
Attese, e poi la cosa non fu piu nel suo cervello, ma nello spostamento di coordinate di cui non sapeva nulla, solo che dovevano esservi in gioco delle coordinate, e si senti spiazzato. Aleggiava, o almeno cosi gli pareva, come un essere disincarnato, in un vuoto sconosciuto contenente un solo oggetto, una sfera azzurra brillante nella luce
