del sole che scendeva sopra la sua spalla sinistra, o dove doveva essere la spalla sinistra, perche non era neppure certo di avere un corpo.

La sfera si muoveva verso di lui, oppure era lui che precipitava verso la sfera… non riusciva a capirlo. Comunque, stava diventando piu grande. E mentre cresceva, l’azzurrita della superficie si chiazzava di screziature bianche irregolari, ed egli comprese che la sfera era un pianeta, oscurato in parte dalle nubi mascherate fino a quel momento dall’azzurro intenso della superficie.

Ormai non c’era dubbio: stava precipitando attraverso l’atmosfera del pianeta, e tuttavia la caduta sembrava cosi controllata che egli non provava apprensione. Non era esattamente una caduta: era veleggiare verso il basso, come un pappo di cardo che fluttuasse nell’aria. La forma della sfera era scomparsa, il suo disco era divenuto cosi immane da riempire e superare la sua visuale. Sotto di lui stava ora la grande pianura azzurra spennellata del bianco delle nubi. Le nubi e nient’altro, nessuna traccia di una massa continentale.

Ora si muoveva piu rapidamente, nel precipitare, ma continuava ad avere la sensazione di essere un seme di cardo. Quando fu piu vicino alla superficie, vide che l’azzurrita era increspata… acqua mossa dall’infuriare del vento che la spazzava.

Non era acqua, gli disse qualcosa. Liquido, ma non acqua. Un mondo di liquido, un talassopianeta, un mondo fluido senza continenti ne isole.

Liquido?

«Dunque e cosi,» disse, parlando con la bocca del corpo che stava accovacciato sulla riva dello Stagno. «E di la che vieni. E questo che sei.»

E torno ad essere un seme lanuginoso di cardo librato su un pianeta, intento a osservare, sotto di lui, un grande movimento nell’oceano, con il liquido che si aggobbiva e saliva, arrotondandosi e modellandosi in una sfera, forse di parecchi chilometri di diametro, ma per il resto simile a quella che era venuta in visita all’accampamento. Vide che la sfera si sollevava, si innalzava nell’aria, dapprima lentamente, e poi accelerando, fino a quando la vide venire verso di lui come una gigantesca palla di cannone. Non lo colpi, ma non lo manco di molto. Il suo essere di seme-di-cardo venne afferrato e sbatacchiato dallo spostamento d’aria causato dal passaggio della sfera liquida. Molto piu indietro, udiva il lungo rombo di tuono, mentre l’atmosfera lacerata si riprecipitava scrosciando nel vuoto creato dal passaggio del globo.

Si volto e vide che il pianeta si allontanava rapidamente, ripiombava nello spazio. Era strano, penso… che al pianeta accadesse questo. Ma quasi subito si rese conto che non era il pianeta a spostarsi, ma lui. Era stato catturato dall’attrazione della massiccia palla da cannone liquida e, rimbalzando, trascinato dalla sua gravita, la seguiva negli abissi dello spazio.

Tutto appariva assurdo. Gli pareva di aver perduto ogni senso d’orientamento. Ad eccezione della palla da cannone liquida e delle stelle lontane, non c’erano punti di riferimento, e anche quelli esistenti avevano scarso significato. Gli sembrava di aver perduto la misura del tempo, e lo spazio non era piu misurabile: e sebbene egli conservasse qualcosa dell’identita personale, si era ridotta a una minuscola fiammella. Ecco cosa succede, si disse, compiaciuto, quando non hai corpo. Un milione d’anni-luce possono essere un passo, e un milione d’anni solo lo scandire di un secondo. La sola cosa di cui era conscio era il suono dello spazio, simile allo scroscio di un oceano che precipitasse da una cascata alta mille miglia… e un altro suono, una cantilena, un frinire di grilli, quasi troppo acuto perche il suo udito lo captasse: e quello, si disse, era il sospiro del lampo di calore balenante al di qua dell’infinito, e il bagliore di quel lampo, lo sapeva, era l’emblema del tempo.

All’improvviso, mentre distoglieva un attimo lo sguardo, si accorse che il globo lanciato nello spazio aveva trovato un sistema solare, e sfrecciava attraverso una densa atmosfera, per girare intorno ad uno dei pianeti. Mentre guardava, il globo si deformo, da una parte, si aggobbi formando un’altra sfera piu piccola, che si stacco e comincio ad orbitare intorno al pianeta, mentre la sfera madre, piu grande, descrisse una curva per avventarsi di nuovo nello spazio. Nel curvare, lo sgancio e lo lancio lontano, ed egli si ritrovo, libero, a precipitare verso la superficie scura del pianeta sconosciuto. La paura affondo gli artigli nel suo essere: apri la bocca per urlare, e si stupi di avere ancora una bocca.

Ma prima che potesse lanciare l’urlo, non ebbe piu bisogno di urlare, perche era ritornato entro il suo corpo, accosciato in riva allo Stagno.

Aveva gli occhi chiusi e li apri, con la sensazione di dover forzare le palpebre. Riusciva a vedere abbastanza bene, nonostante l’oscurita della notte. Lo Stagno giaceva placido nella sua conca rocciosa, uno specchio senza increspature che rifletteva la luce delle stelle sparpagliate lassu in cielo. Sulla destra si levava la collina, un’ombra conica nell’oscurita, e sulla sinistra, il dorsale su cui sorgeva la citta in rovina sembrava un’enorme bestia nera accovacciata.

«Dunque e cosi,» disse, parlando sottovoce allo Stagno, non piu di un mormorio, come se fosse un segreto che doveva restare tra loro. «Una colonia del pianeta liquido. Forse una tra molte colonie. Ma perche? Cosa ci guadagna, il pianeta, dalle colonie? Un oceano vivente che lancia piccoli segmenti di se stesso, per seminare altri sistemi solari. E quando li ha seminati, cosa ci guadagna? Cosa spera di guadagnare?»

Tacque, accosciato nel silenzio, un silenzio cosi profondo da risultare snervante, cosi profondo e incontaminato che gli pareva ancora di udire la cantilena acuta, sibilante del tempo.

«Parlami,» imploro. «Perche non mi parli? Puoi mostrare e spiegare; perche non puoi parlare?»

Perche questo non bastava, si disse. Non bastava per sapere cosa poteva essere lo Stagno e come era finito li. C’era soltanto un inizio, un fatto fondamentale, che non chiariva il movente e la speranza e lo scopo, e questi erano importanti.

«Senti,» disse, ancora supplichevole, «tu sei una vita, ed io un’altra vita. Per nostra natura non possiamo farci male a vicenda, non abbiamo neppure ragione di desiderarlo. Percio non abbiamo nulla da temere. Senti, la mettero cosi… c’e qualcosa che posso fare per te? C’e qualcosa che vuoi fare per me? O in mancanza di questo, com’e possibile poiche operiamo su due piani tanto diversi, perche non cerchiamo di parlarci, di imparare a conoscerci meglio? Tu devi possedere un’intelligenza. Sicuramente questa seminagione dei pianeti non e solo un comportamento istintivo, l’azione di una pianta che lancia i semi perche mettano radici altrove, come la nostra venuta qui e qualcosa di piu della cieca disseminazione del nostro seme culturale.»

Rimase in attesa, e vi fu di nuovo un fremito nella sua mente, come se qualcosa vi fosse penetrato e si sforzasse di formarvi un messaggio, di tracciarvi un’immagine. Lentamente, faticosamente, l’immagine crebbe e si strutturo, dapprima come un fremito, poi come una chiazza sfuocata, e infine, consolidandosi in una rappresentazione vignettistica che cambiava e cambiava e cambiava, divenendo piu chiara e definitiva ad ogni cambiamento, fino a quando gli parve di essersi sdoppiato… due lui accosciati li accanto allo Stagno. Ma uno dei due teneva in mano una bottiglia, la stessa che aveva preso nella citta, e si chinava ad immergerla nel liquido dello Stagno. Affascinato, resto a guardare — i due lui restarono a guardare — mentre il collo della bottiglia gorgogliava, eruttando uno spruzzo di bollicine, l’aria estromessa forzatamente dal liquido dello Stagno che vi entrava.

«Va bene,» disse un Horton. «Va bene: e poi, che debbo fare?»

L’immagine cambio, e l’altro lui, reggendo delicatamente la bottiglia, sali la rampa di Nave, anche se Nave era venuta male, era sghemba e storta, una rappresentazione mediocre di Nave come le incisioni della bottiglia erano raffigurazioni mediocri degli esseri che intendevano ritrarre.

Ormai l’altro se stesso era entrato nella Nave, e la rampa si sollevava e la Nave s’innalzava dal pianeta, puntando verso lo spazio.

«Dunque vuoi venire con noi,» disse Horton. «Per amor di Dio, c’e qualcosa su questo pianeta che non voglia venire con noi? Ma cosi poco di te, solo una fiasca.»

Questa volta l’immagine si formo rapida nella sua mente… un diagramma che mostrava quel lontano pianeta liquido e molti altri pianeti con globi di liquido che li raggiungevano o li lasciavano, e piccole gocce cadute delle sfere discendenti sui pianeti seminati. Il diagramma cambio: apparvero linee che partivano da tutti i pianeti seminati e dal pianeta liquido, e si orientavano verso un punto dello spazio, unendosi la dove un cerchio era tracciato intorno alla congiunzione. Le linee sparirono, ma il cerchio rimase, e altre linee vennero tracciate rapidamente, per convergere al suo interno.

«Vuoi dire…?» chiese Horton, e l’immagine si ripete.

«Inseparabile?» chiese Horton. «Vuoi dire che sei uno solo? Che non siete molti, ma uno solo? Che vi e un solo io? Non un ‘noi’, ma un unico ‘io’? Che tu, qui davanti a me, sei solo un’estensione di un’unica vita?»

Il riquadro del diagramma divento bianco.

«Vuoi dire che e esatto?» chiese Horton. «E questo che intendevi?»

Вы читаете Il pianeta di Shakespeare
Добавить отзыв
ВСЕ ОТЗЫВЫ О КНИГЕ В ОБРАНЕ

0

Вы можете отметить интересные вам фрагменты текста, которые будут доступны по уникальной ссылке в адресной строке браузера.

Отметить Добавить цитату