posto del loro compagno caduto.

Poi l’obiettivo dell’attacco dei lupi si sposto dai tremanti cavalli a noi. Mentre un’altra pallottola ne colpiva un secondo, un altro emerse dall’oscurita e salto sul posto del passeggero dove si trovava mia moglie.

La paura e l’istinto mi resero come pazzo. Mi voltai con rapidita soprannaturale e spinsi il grilletto un millesimo di secondo prima che l’animale affondasse i denti nel collo di Mary. Mori con un rantolo, con le mascelle piene di saliva spalancate, e cadde ai piedi di lei che si alzo ammutolita dallo spavento, con il fagotto premuto strettamente contro di se. Con ripugnanza spingemmo via la creatura morta dalla carrozza.

Improvvisamente i lupi cessarono il loro attacco. Per alcuni minuti si placarono, gemendo piano, poi si accucciarono intorno a noi nella luce lunare come delle silenziose sfingi grigie, le orecchie tese in un’attesa strana, inquieta. I cavalli — tremanti e insanguinati ma non seriamente feriti — battevano gli zoccoli e nitrivano con irritazione. Posai la pistola sul sedile del guidatore, accanto a me, sapendo che la pallottola che restava nel caricatore, si sarebbe dimostrata inutile contro il male che stava per arrivare.

Dall’oscurita che ci sovrastava, una sottile colonna di nebbia si alzo nel cielo ad oriente, aleggiando sulle nostre teste e posandosi davanti al nostro calesse, proprio all’interno del cerchio di lupi. Mentre guardavamo, la nebbia, cosparsa dai bagliori di una luce ultraterrena blu e rosa, comincio lentamente a solidificarsi e a prendere la forma di un uomo, finche, alla fine, lo stesso V. fu davanti a noi.

Era giovane, con i capelli corvini, in possesso della stessa abbagliante bellezza leonina che avevo visto nell’Impalatore quando mio padre mi aveva condotto al suo trono, e in quei penetranti occhi sempreverdi brillava un disprezzo pieno di scherno. Alla vista del loro padrone, gli animali guairono e abbassarono i loro musi tra le zampe in segno di infelice obbedienza.

«Arkady», disse piano, ma la sua voce riempi l’intera foresta. «Non ti avevo considerato tanto pazzo. Credevi veramente di potermi sfuggire?».

Si mosse verso la carrozza — non camminando ma, semplicemente, ingrandendosi nel mio campo visivo — e tese la mano verso Mary, che sedeva, premendo il bianco fagotto di lana al suo cuore.

«Dammelo. Svelta! La mia pazienza si e esaurita da molto tempo».

Subito i miei occhi cercarono quelli di Mary, e ci guardammo l’uno negli occhi dell’altra con segreto trionfo pur in preda alla paura. Lei si alzo e con un’espressione di un odio talmente intenso che non avevo mai visto prima, getto il fagotto dalla carrozza verso i lupi, gridando:

«Non avrai mai mio figlio, mostro! Mai!».

V. trattenne il fiato. Prima che si potesse riprendere, il lupo piu vicino, sobbalzando e cedendo all’istinto, aveva affondato i denti nella morbida coperta da bambino e la scuoteva come se torcesse il collo di un coniglio. L’azione rivelo che la coperta era vuota e la creatura, annusando perplessa, si sedette sulle zampe posteriori con la coperta tra quelle anteriori.

V. torno a fissarci, con il viso che riluceva nella luce lunare come brace incandescente, gli occhi fiammanti di una furia che non poteva essere mitigata.

«Puttana! Ingannatrice!», grido, con le labbra che si torcevano rivelando dei denti aguzzi. «Pensi di essere indispensabile? Se non sara tuo figlio, allora sara quello di un’altra donna… per opera di tuo marito!».

Poi la sua rabbia si spense e un crudele sorriso sensuale apparve sulle sue labbra rosse.

«Mary, graziosa Mary», l’adulo, come recitando una filastrocca, e all’improvviso sali sul predellino. «Capelli d’oro, occhi di zaffiro. Pensi di potermi ingannare, di nascondermi il tuo bambino, ma la verita e nel tuo sangue. Devo solo assaggiarlo…».

E allungo un dito verso di lei, come per accarezzare la pelle sotto il mento. Lei si ritrasse, ricadendo all’indietro sul sedile.

«No!», supplicai. «Faro qualunque cosa… qualunque cosa tu chieda. Andro a Bistritz immediatamente, ti portero una vittima, ti aiutero a disfartene, avro altri figli da altre donne: qualunque cosa tu chieda. Solo, lasciala vivere!».

Mormorai quelle parole in tutta sincerita, perche non m’importava piu di quello che accadeva alla mia anima eterna, purche mio figlio e mia moglie fossero salvi. Ora che sapevo che la fuga del piccolo Stefan era riuscita, ero disposto a fare qualunque cosa V. chiedesse per salvare la vita di Mary. A questo ero gia preparato da quando eravamo fuggiti dal castello, ma non avevo potuto confidarlo a Mary, poiche lei non lo avrebbe mai accettato.

V. si allontano e sorrise con piacere, ma la bocca di Mary si apri e lei grido:

«Arkady, non devi: la tua anima sara perduta e non avra mai fine! Dara la caccia a Stefan!».

E, con rapida e improvvisa sicurezza, allungo il braccio e prese la pistola di mio padre.

V. getto indietro la testa e rise con arrogante piacere mentre allargava le braccia, offrendosi come bersaglio.

«Vai avanti, mia cara: Spara! Spara! E vediamo quanto sara efficace».

E la mia coraggiosa moglie fece fuoco. Mary, la mia anima, la mia saggia, amata assassina.

Meno di un secondo passo prima che la pallottola rimasta mi colpisse il petto ma, in quel fuggevole istante, vidi mia moglie prendere la mira e guardarmi negli occhi. Quegli occhi contenevano un tale amore che il male intorno a noi sembro svanire, ormai poco importante, ed io le sorrisi con adorazione e gioia estrema, poiche sapevo che la mia vita non era maledetta ma benedetta, benedetta per aver amato una persona che aveva macchiato la sua stessa anima per salvare la mia.

Non avevo potuto parlarle di porre fine al Patto al prezzo della mia vita, poiche farlo avrebbe significato commettere un suicidio e la vittoria per lo strigoi. Non avevo potuto fare altro che lasciare il diario dove lei potesse trovarlo e leggerlo e poi pregare che avesse la forza di fare quello che era necessario.

Non mi deluse.

L’impatto mi getto all’indietro fuori della carrozza, contro i cavalli, tra i lupi. Il dolore aumento, consumando il cuore e i polmoni come fuoco che avvampa, ma non aveva importanza, perche la mia beatitudine, il mio trionfo, erano piu grandi.

Fissai il cielo di velluto grigio e vidi che le stelle erano scomparse… e seppi che non era la notte ma la dolce oscurita della morte imminente.

Il silenzio mi circondo. Il mondo si allontanava mentre, grato, ebbro, affondavo ancora nella beatitudine. Un’eternita — o forse solo un istante — passo.

La piacevole quiete fu squarciata dai nitriti dei cavalli, dal fragore degli zoccoli, dal rumore delle ruote e, tra questi, da un grido di dolore — soffocato, apparentemente distante ma, quando aprii gli occhi, vidi V. che si inginocchiava sopra di me, gemendo di terrore.

Si chino per abbracciarmi, per raccogliermi nelle sue braccia… e premette le labbra contro il mio collo, delicatamente, teneramente come potrebbe fare un amante.

Io gemetti: cercai di lottare, ma la mia ferita mortale mi rendeva incapace anche soltanto di voltare la testa. Pregai (non con le parole, dato che ero troppo debole per supplicare con nient’altro che il cuore) che la morte mi prendesse per prima, poiche anche quando Vlad indugiava sul mio collo, la vista mi manco e tutto divenne un nero divorante. Sentii la gioia, la vittoria nella morte, sapendo che i cavalli erano fuggiti, portando Mary con loro. Dio aveva udito la mia supplica; mio figlio e mia moglie erano salvi.

Nel mezzo dell’oscurita ci fu un dolore lieve, un pizzico, meno intenso del dolore dal fuoco che mi aveva riempito ma vivo, acuto e definito, come la luce della luna sull’acqua. Provai un impeto di angoscia, ma quell’ondata di emozione, prima di passare, divenne dolcemente sensuale. Il mio gemito di sgomento divenne di piacere, il dolore nel petto si attenuo, dimenticato, e io cedetti all’inebriante sensazione del mio sangue vitale che fluiva per incontrare il suo.

Sentii la sua profonda gratificazione e sentii i miei pensieri che veleggiavano verso di lui su quel flusso cremisi.

Il ricordo di Kohl, ogni dettaglio del suo ampio e florido viso, il suo naso rotondo, la scarsezza dei capelli biondo chiaro, lo scintillare degli occhi celesti dietro gli occhiali.

Le lacrime di Mary e le mie, mentre Kohl giurava con solennita che, se non fossimo sopravvissuti, avrebbe allevato nostro figlio come fosse il suo.

Questi ricordi svanirono, ed io non conobbi altro che il mio stesso piacere. Con un ultimo guizzo di forza, sollevai il braccio e afferrai la nuca di V., premendolo piu forte contro la mia carne.

E poi il mio braccio cadde e l’oscurita scese completamente. Fu l’istante di estasi piu profonda che io abbia mai conosciuto. Anche ora non posso scrivere della mia morte, non posso ricordarla, senza un brivido di piacere,

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