«Sa che cosa ha fatto stasera, Javier?»

«Suppongo si possa dire che ho rivissuto un momento.»

«E l'ha visto nella sua luce normale», disse Alicia. «E cosi che funziona il processo. Se le neghiamo, le cose per noi dolorose non se ne vanno. Ci nascondiamo semplicemente da loro. Lei ha appena avuto il primo successo nella piu grande indagine della sua vita.»

Torno in macchina in calle Bailen, stranamente depurato, come se avesse corso e sudato, eliminando tutte le tossine dall'organismo. Parcheggio e cammino nella casa silenziosa fino al patio, al suo centro e alla limpida pupilla di acqua nera e scintillante. Accese la luce sotto il porticato. Gli tremavano le mani entrando nel suo studio. Percorse con lo sguardo la scrivania, le fotografie sparse, il ritratto di sua madre con i bambini. Si diresse al vecchio armadietto grigio, lo apri e tiro fuori una cartella marrone di pelle scamosciata contrassegnata dalla lettera «I». Sedette alla scrivania, consapevole del passo successivo che avrebbe fatto, scacciando il senso di colpa. Prese le quindici stampe in bianco e nero e le dispose capovolte sul piano. Domando al riflesso sul vetro del quadro appeso alla parete: «Sei rimesso a nuovo davvero?»

Giro la prima foto. Ines giaceva bocconi, nuda, sul lenzuolo di seta del letto, il viso girato verso di lui, la testa appoggiata sulla mano stretta a pugno, i capelli sparsi dappertutto. Falcon chiuse gli occhi mentre lo spasmo di dolore si attenuava. Giro la seconda fotografia, apri gli occhi, i muscoli del collo tremanti per la tensione. Impossibile deglutire. Ines era sostenuta dai guanciali, nuda anche qui, a parte un lembo di seta sulle spalle. Fissava l'obiettivo con intensita profondamente sensuale, le cosce aperte a rivelare il sesso rasato. Lui stava in piedi dietro la macchina fotografica, nelle stesse condizioni. Ah, la meravigliosa eccitazione mentre si rasavano a vicenda, le risatine, le mani tremanti. Non vi era stato niente di perverso, la gioia stava nell'innocenza della cosa. Rivide la luce brillante di quel giorno. Ritrovo il caldo torrido di quel pomeriggio pingue, vasto, le fessure abbaglianti delle imposte che illuminavano la penombra della stanza e rivelavano le loro immagini nello specchio, l'intimita di loro due soli nella grande casa, tanto che quando il caldo era diventato eccessivo lui l'aveva sollevata tra le braccia mentre erano ancora uniti, aveva disceso le scale, le cosce di Ines intorno alla vita, le caviglie allacciate, i talloni di lei premuti sulle sue natiche. Aveva scavalcato il bordo della fontana, immergendo i loro corpi nell'acqua fresca.

Una visione a tal punto intollerabile che dovette riporre la cartella e chiudere a chiave l'armadietto. Guardo quel contenitore di metallo grigio dove erano sepolti i suoi ricordi. Alicia aveva ragione. Non si poteva chiudere a chiave la memoria, non si poteva metterla ossessivamente in ordine, imballarla, classificarla sotto la «I» e sperare di farla rimanere al suo posto. Non c'era pignoleria che potesse impedire alla mente di lasciar filtrare qualcosa. Per questo la gente disperata si faceva saltare le cervella, l'unico modo sicuro per impedire la fuga di notizie dalla memoria era distruggere il deposito per sempre.

La domanda che avrebbe voluto rivolgere ad Alicia si ripresento, anche questa volta senza forma. Non riusciva veramente a credere di aver ottenuto un risultato quella sera, come aveva detto lei, non era certo di non essere stato la ragione per cui Mercedes non aveva fatto piu ritorno. Si, sua era la responsabilita e questo pensiero lo proietto nel suo impermeabile e sulla strada, bagnata ora, i ciottoli lucidi sotto la pioggia fine. Arrivo sulla plaza del Museo e trovo un curioso conforto nel passeggiare sotto gli alberi oscuri e gocciolanti.

Subito dopo l'una un taxi si fermo all'incrocio tra calle San Vicente e calle Alfonso XII. Ines scese e aspetto sul marciapiede mentre Calderon, dal sedile posteriore, pagava la corsa. Falcon usci dal riparo degli alberi, i capelli bagnati, e si fermo sulla piazza, dietro il chiosco dei giornali. I due imboccarono la calle San Vicente e Falcon, attraversata di corsa la piazza, quasi piegato in due, si riparo sul lato buio della strada, opposto a quello degli amanti, camminando dietro le auto parcheggiate. I due si fermarono, Calderon estrasse le chiavi, Ines si giro e i suoi occhi lo incontrarono, paralizzato tra una macchina e il muro di un edificio. Si tuffo nel portone piu vicino dove rimase immobile, il dorso premuto contro la parete, appiattito nel buio, il cuore e i polmoni in lotta tra loro come animali selvatici chiusi in un sacco. Ines disse a Calderon di salire, i suoi tacchi risuonarono sul selciato e si fermarono sul marciapiede davanti al portone.

«So che sei li», disse.

Il sangue rombava nelle orecchie di Falcon.

«Non e la prima volta che ti vedo, Javier.»

Falcon strizzo le palpebre, bambino che stava per essere scoperto, punito.

«La tua faccia continua a sbucare dalla notte», prosegui lei, «tu mi pedini e io non intendo accettarlo. Hai distrutto la mia vita una volta, non ti permettero di farlo ancora. Ti avverto, se ti vedo di nuovo, vado difilato dal giudice e ti faccio diffidare. Mi hai capito? Ti umiliero come tu hai umiliato me!»

I tacchi a spillo si allontanarono, poi tornarono indietro, piu vicini questa volta.

«Ti odio», bisbiglio Ines. «Tu lo sai quanto ti odio? Mi stai ascoltando, Javier? Ora saliro quelle scale ed Esteban mi portera a letto. Mi senti? Lui mi fa cose che tu non saresti nemmeno capace di sognare!»

ESTRATTI DAI DIARI DI FRANCISCO FALCON

26 giugno 1946, Tangeri

Ho un tremendo mal di schiena e vado dal medico spagnolo in calle Sevilla, non lontano dalla casa di R. Mi visita, mi porta in una stanza attigua e mi fa sdraiare a pancia in giu su una panca coperta da un panno. Si apre un'altra porta e il medico mi presenta a sua figlia, Pilar, che lo assiste come infermiera. Pilar mi massaggia con un olio la schiena fino al coccige. Alla fine del trattamento sono in imbarazzo per lo stato del mio membro virile. Quelle manine sono magiche. Mi dice che devo tornare per un massaggio tutti i giorni per una settimana. Se tutti i mali fossero questi!

3 luglio 1946, Tangeri

Dopo interminabili trattative sono riuscito a persuadere Pilar a posare per me, ma a mezzogiorno arriva un ragazzo e mi dice che lei non puo venire. A fine pomeriggio passa a trovarmi Carlos Gallardo. E un altro di quei «colleghi artisti», ma non e Antonio Fuentes lui, non ha niente di ascetico. E un tipo equivoco, un forte bevitore, in genere frequenta il bar ha Mar Chica, e li che ci siamo conosciuti. Abbiamo fumato hashish insieme e guardato l'uno il lavoro dell'altro, senza commenti.

E accompagnato da un ragazzo marocchino che porta i sacchi della spesa e li deposita davanti alla porta. Ci sediamo sulle basse poltrone di legno in una delle stanze piu buie e fresche, lontano dal calore del patio. Il mio domestico posa tra noi un narghile e lo riempie di un miscuglio di tabacco e di hashish. Fumiamo, l'hashish funziona e mi sento bene, pensieri staccati mi nuotano nella mente come pesci in un acquario. Il ragazzo di C. sta in piedi accanto alla sua sedia, un piede bruno appoggiato sull'altro. Ha i capelli rasati, forse e stato C. a rasarlo, per paura dei pidocchi. Mi sorride. Non puo avere piu di sedici anni. Guardo meglio e mi accorgo che C. ha infilato la mano sotto la sua veste e gli sta accarezzando le natiche. Non sapevo questo di C; non ne sono disgustato. Faccio qualche commento. «Si», dice lui, «certo che mi piacciono le donne, ma con loro mi sento un po' inibito per quanto riguarda il sesso. Io do la colpa al fatto che noi siamo spagnoli e alle nostre madri. Ma con questi ragazzi e cosi normale, e qualcosa che fanno comunemente e che nessuno pensa di stigmatizzare. Sono libero di fare quello che voglio. Dopotutto sono un fautore della sensualita, devi averlo visto nei miei lavori.» Riesco a rispondere in qualche modo e lui continua: «Mentre tu, amico mio, sei un blocco di ghiaccio. Freddo, gelido. Nelle tue tele si sente sibilare il vento. Non mi pare che tu ti stia sgelando in questo clima caldo. Forse dovresti prenderti un ragazzo per goderti un po' di sensualita senza sensi di colpa». Fumiamo ancora un po' e mi sento la pelle di velluto. C. dice: «Portati Ahmed in camera tua e vai a letto con lui ora». L'idea mi scatena dentro una scarica elettrica, scopro di non provare nessuna repulsione, al contrario. Il ragazzo mi si avvicina. Riesco a malapena a parlare, ma in qualche modo declino l'offerta.

5 luglio 1946, Tangeri

P. viene da me con sua madre. Non fa troppo caldo e sediamo nel patio all'ombra del fico. Conversiamo. Gli occhi delle donne svolazzano di qua e di la come uccelli tra i rami. Mi sento come un grosso gatto che stia pensando alla cena. La madre di P. e qui per sapere qualcosa su di me…

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