scale quelle che sembravano cinture portautensili, e se le affibbiarono alla vita, anche se non capivo perche avrebbero dovuto averne piu bisogno dentro che fuori. O almeno, in un primo momento non ne compresi la ragione: poi mi venne in mente che gli utensili potevano servire ad aprire la mia capsula. Per il momento, preferii non pensarci.

Dall’interno, il pozzo sembrava ancora di piu un foro in un tetto. La camera in basso era molto piu vasta di quanto avessi immaginato: una trentina di metri di lato. L’entrata era semplicemente un cerchio nero sopra di me, e poi, mentre guardavo, non fu piu sopra la mia testa. I sommozzatori mi stavano spingendo verso una delle pareti.

Pensai per un momento che rotolare sul soffitto sarebbe stato piu facile che sul fondo del mare, ma scacciai quell’idea troppo accademica. Il mio morale migliorava, ma era ancora parecchio depresso.

Se non altro ero ancora vivo, e in un certo senso il mio compito l’avevo svolto. Avevo sganciato il transponder vicino ad un’entrata, e ritenevo probabile che non lo avessero trovato. Il mio segnale si era irradiato alla superficie per parecchie ore, e senza dubbio era stato captato. Il Consiglio avrebbe saputo che io avevo fatto qualcosa, e certamente avrebbe voluto accertare che cosa mi era successo. Se avessero rastrellato il fondale con un sonar ad alto potere di risoluzione, difficilmente si sarebbero lasciati sfuggire la superficie liscia del telone, anche se i transponder non avessero funzionato. Anzi, considerata l’ampiezza apparente della tenda, era abbastanza sorprendente che i normali rilevamenti di profondita non l’avessero ancora individuata.

Avrei dovuto pensare di piu a quel particolare, anche se sarebbe servito a far precipitare di nuovo il mio morale. Cosi, potevo credere che l’installazione sarebbe stata trovata presto, anche se non avessero trovato me.

La grande camera non presentava molti particolari degni di nota. In un primo momento pensai che fosse un vano stagno, o il vestibolo di uno di essi, ma la grande galleria che vi sfociava non aveva porte. Alle pareti c’erano pannelli piu piccoli, che potevano essere portelli: alcuni erano di dimensioni sufficienti per lasciare passare un essere umano.

I sommozzatori mi rimorchiarono dentro la galleria. Aveva un diametro di sei metri abbondanti, molto piu di quanto fosse necessario per la capsula, ed era illuminata quasi come la camera che avevamo appena lasciato. Provai di nuovo un impulso di collera nei confronti di quegli individui che sperperavano l’energia con tanta disinvoltura. E cominciavo anche a domandarmi dove potevano procurarsene tanta. Naturalmente, nel mio lavoro mi ero imbattuto altre volte in contrabbandieri di energia: ma non avevo mai visto un’organizzazione come quella.

Percorremmo soltanto pochi metri, una ventina al massimo, prima di arrivare in un’altra grande camera. Mi trainarono li dentro. C’erano molte altre gallerie piu piccole, o pozzi, dovrei dire, che si aprivano sul pavimento: ne contai otto, ad una prima occhiata. Nessuna di quelle aperture aveva portelli. A quanto pareva, gran parte dell’installazione era allagata, e sottoposta alla pressione esterna. Forse era una miniera: questo avrebbe spiegato l’abbondanza di energia, se veniva estratto uranio o torio; e non sarebbe stato semplice mantenere sgombri dall’acqua tutti i pozzi e i corridoi tortuosi di una miniera sottomarina.

Ebbi giusto il tempo di formulare questo pensiero, mentre i sommozzatori posavano la capsula sul fondo. Comincio a rotolare un po’, ed io feci estroflettere tre gambe metalliche per bloccarla. Per fortuna, tutte e tre si infilarono attraverso le maglie della rete, senza incastrarsi. Poi guardai gli uomini che mi attorniavano, per vedere che cosa avrebbero fatto. Chiaramente, la mossa toccava a loro.

Adesso ci sono abituato, ma non e piacevole il ricordo di quello che fecero, e l’effetto che fece a me.

Si tolsero i caschi. Ad una profondita di un miglio sotto il livello del mare, con una pressione che avrebbe schiacciato le spugne e appiattito il metallo, si tolsero i caschi.

CAPITOLO 8

Ormai deve risultare evidente, da tutto cio che ho detto, che io non sono uno psicologo, anche se ho letto diversi libri sull’argomento. Mi risulta che una persona puo negare recisamente, categoricamente la testimonianza dei suoi sensi, se cio che gli dicono contraddice violentemente quanto lui crede di sapere. In effetti, ho conosciuti certuni i quali affermano che e questa capacita a salvarci la ragione. Fino a quel momento, avevo dubitato delle loro affermazioni. Adesso non ne sono piu tanto sicuro.

Eravamo arrivati dalle precise condizioni di un fondale oceanico nel luogo in cui ci trovavamo in quel momento. Non avevo visto nulla che somigliasse lontanamente a una porta, una valvola, o ad una camera stagna che si aprisse o si chiudesse dietro di noi, e vi assicuro che l’avevo cercata con gli occhi. Percio, a quanto credevo e sapevo, adesso la mia capsula si trovava in una camera priva d’acqua di mare, ed a una pressione che corrispondeva approssimativamente alla profondita di un miglio.

Avevo visto gli individui che ora si trovavano nella camera intorno a me nuotare fuori, nel mare: erano gli stessi. Li avevo visti di continuo o quasi, mentre mi portavano dentro. Erano anche loro nell’acqua ad alta pressione, come prima. Per il momento dimenticavo la chiarezza con cui avevo potuto vedere i loro visi nell’acqua, all’esterno; ma anche se l’avessi ricordato, probabilmente sul momento non avrei capito.

Li vidi togliersi i caschi, apparentemente nell’acqua ad alta pressione. No, non potevo crederlo. C’era qualcosa che mi sfuggiva, ma non potevo credere che si trattasse di un fatto osservabile. Ero stato sbatacchiato di qua e di la dalla tempesta, in superficie, e certamente mi era sfuggita la tecnica che avevano usato per trovarmi: ma ne allora ne in seguito ero rimasto privo di sensi. Avevo potuto dormire poco, ma senza dubbio non ero stordito al punto di essermi lasciato sfuggire un avvenimento di rilievo. Dovevo ritenere che le mie osservazioni fossero ragionevolmente complete. E poiche, nonostante tale convinzione, ero evidentemente sfasato rispetto alla realta, c’era qualcosa che non sapevo. Era venuto il momento di apprendere qualcosa di piu.

Non ero troppo preoccupato della mia sorte personale: se avessero avuto intenzione di sbarazzarsi di me, avrebbero potuto farlo prima e senza troppo disturbo: e come ho detto prima, in fondo non potevo credere che mi avrebbero liquidato. Se pensate che questo non quadri con lo stato d’animo in cui mi ero trovato pochi minuti prima, provate a chiederlo voi ad uno psichiatra.

Nella capsula avevo ancora a disposizione aria per un paio di giorni, e presumibilmente prima che finisse i miei nuovi amici avrebbero fatto qualcosa per tirarmi fuori… anche se, pensandovi, non sapevo come. In qualunque modo considerassi la situazione, la prossima mossa spettava a loro. Forse non vi sembrera consolante, e invece lo era.

A quanto pareva, loro la pensavano allo stesso modo: non che si sentissero consolati, voglio dire… ma sentivano di dover fare qualcosa. Si erano raccolti in gruppo fra la capsula e la porta da cui eravamo entrati, e stavano evidentemente discutendo. Non sentivo le loro voci, e dopo un paio di minuti mi accorsi che in realta non parlavano: continuavano a gesticolare. Dovevano disporre di un linguaggio dei segni molto perfezionato, pensai. Era logico, se trascorrevano gran parte del tempo nell’acqua, e vi svolgevano gran parte della loro attivita lavorativa. Ma non capivo perche se ne servissero adesso, poiche il mio buon senso stentava ad ammettere che fossero ancora in acqua.

Comunque, dopo pochi minuti sembro che si fossero messi d’accordo, e due di loro se ne andarono a nuoto — si, a nuoto — giu per uno dei pozzi piu piccoli.

Poi pensai che, anche se non potevano parlare, in quelle circostanze, almeno potevano udire.

Percio provai a bussare sulla capsula per attirare la loro attenzione… delicatamente, data la mia precedente esperienza. Era chiaro che potevano sentire, anche se come previsto faticarono a identificare la fonte del suono ed impiegarono qualche minuto per capire che il responsabile ero io. Allora arrivarono a nuoto e si raccolsero intorno alla capsula, sbirciando attraverso gli oblo. Riaccesi le luci interne. Nessuno di loro si mostro sorpreso nel vedermi, sebbene continuasse un’animata conversazione a gesti.

Provai a urlare. Fu una faccenda spiacevole per le mie orecchie, poiche quasi tutte le onde sonore echeggiarono contro le pareti della capsula, ma una parte, almeno, doveva passare. Evidentemente passo: molti di loro scossero il capo, per farmi sapere che non riuscivano a comprendermi. Poiche fino ad ora non avevo usato neppure una parola, la cosa non era sorprendente. Cercai di dir loro chi ero — senza usare il mio nome, naturalmente — in ognuna delle tre lingue che dovrei conoscere correntemente. Poi tentai di fare altrettanto in un paio d’altre che non pretendo di sapere bene. Ottenni soltanto altre scrollate di capo, e due o tre si allontanarono a nuoto, forse considerandomi un caso disperato. Nessuno fece un tentativo di comunicare con me, a segni od a suoni.

Alla fine mi sentii la gola dolorante, e la smisi. Per un’altra decina di minuti non accadde niente di speciale. Qualche altro se ne ando a nuoto, e altri arrivarono. Vi furono altre conversazioni a gesti. Senza dubbio venivano fornite spiegazioni sul mio conto ai nuovi arrivati.

Costoro indossavano mute piu o meno identiche a quelle che avevo visto fuori: ma alcune avevano colori vivaci. Ebbi l’impressione che questo costituisse la distinzione tra varie categorie, anche se non saprei trovare una spiegazione logica per questa supposizione.

Poi altri sommozzatori, vestiti in modo meno completo, uscirono da una delle gallerie, e la situazione si sblocco. Uno di loro si fece largo tra la folla che ormai s’era radunata intorno a me, raggiunse la capsula e busso delicatamente. Era consolante vedere che qualcuno cercava di attirare la mia attenzione, anziche essere io a cercare di attirare la loro, ma il vero colpo fu quando lo riconobbi.

Era Bert Whelstrahl, che era scomparso un anno prima.

CAPITOLO 9

Anche lui mi riconobbe: su questo non c’era dubbio. Sfoggio un sorriso da un orecchio all’altro, nel momento in cui mi vide attraverso il portello, busso di nuovo sulla capsula, e poi si tiro indietro e inarco un sopracciglio con un’espressione che significava: oh, no, e adesso che cosa facciamo con costui? Decisi che la situazione giustificava il ricorso a quel po’ di voce che mi restava e gridai: «Bert! Mi senti?»

Lui annui, e fece un cenno, abbassando il palmo della mano: pensai volesse farmi capire che non avevo bisogno di urlare cosi forte. Fu un sollievo per me. Ridussi il volume e dopo qualche tentativo, scoprii che poteva sentirmi quando parlavo appena un poco piu forte di un normale tono discorsivo. Cominciai a fargli domande, ma lui alzo una mano per interrompermi, e riprese a spiegarsi a segni. Si turo il naso con le dita, tenendosi nel contempo sopra la bocca il palmo dell’altra mano. Poi alzo il polso sinistro davanti agli occhi, come se consultasse un orologio… che non aveva.

Capii abbastanza chiaramente quel che voleva dirmi. Mi chiedeva quante ore d’aria mi restavano ancora. Controllai il quadro dei comandi, feci qualche calcolo mentale e gridai che nelle bombole avevo ancora aria per circa cinquanta ore.

Poi Bert si mise un dito in bocca e inarco le sopracciglia. Per non straziarmi la gola, risposi mostrando la scatola semivuota di tavolette di destrosio. Lui annui e assunse un’espressione pensierosa. Poi parlo a cenni per due o tre minuti con quelli che gli erano piu vicini; io riuscii a capire soltanto i movimenti che facevano con la testa di tanto in tanto. Quando sembro che tutti fossero d’accordo, mi rivolse un cenno e torno a sparire nella galleria da cui era arrivato.

Per un’altra mezz’ora non successe piu nulla, ma la folla divenne piu numerosa. Tra i nuovi arrivati c’erano anche donne, sebbene non fossi in grado di capire se c’era anche quella che avevo visto fuori. Alcune non potevano essere lei, di sicuro: a quanto pare, il nuoto non e un sistema sicuro per mantenere la linea, come affermano certuni.

Poi Bert ritorno. Portava qualcosa che sembrava una normale tabella metallica, ma quando l’accosto all’oblo, vidi che i fogli non erano di carta. Traccio uno sgorbio con uno stilo sul primo di essi. Poi sollevo il foglio, e il segno scomparve. Avevo visto giocattoli di quel genere, anni prima: evidentemente, Bert aveva impiegato un po’ di tempo per improvvisarlo. Mi sembrava una buona soluzione per il problema di scrivere sott’acqua, e mi chiesi come mai nessun altro ci avesse mai pensato.

Bert doveva scrivere grosse lettere a stampatello, perche potessi leggere bene, e percio anche con l’aiuto di quel sistema, la comunicazione procedette lentamente. Cominciai a chiedere cos’era

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