Avete mai sentito parlare prima d’ora di Samuel Miller Hageman? Io no. Eri un saggio vecchio tipo, Sam, chiunque fossi.

Un’estate, quando io avevo otto o nove anni — comunque prima che loro adottassero Judith — andai con i miei genitori in un luogo di soggiorno sui Catskill per qualche settimana. C’era un campo giochi per bambini dove noi venivamo istruiti nel nuoto, nel tennis, nel softball, in arti-e-mestieri, e in altre attivita, in modo da lasciar liberi i vecchi di andarsene in giro a fare ramini a base di gin o bevutine creative. Un pomeriggio il parco giochi organizzo alcuni incontri di boxe. Io non avevo mai calzato i guantoni da boxeur, e negli incontri liberi tra ragazzi mi ero scoperto un pessimo combattente, cosicche non ne ero rimasto entusiasta. Osservai i primi cinque incontri con molto sgomento. Tutte quelle botte! Tutti quei nasi sanguinanti!

Arrivo poi il mio turno. Il mio avversario era un ragazzo di nome Jimmy, di qualche mese piu giovane di me pero piu alto e piu pesante e molto piu atletico. Penso che gli arbitri ci avessero fatto scontrare apposta, nella speranza che Jimmy mi accoppasse: non ero il loro beniamino. Cominciai a menar colpi anche prima che loro mi mettessero su i guantoni. — Primo round! — urlo l’arbitro, e noi ci accostammo l’uno all’altro. Sentii distintamente Jimmy che pensava di colpirmi al mento, e nel preciso istante in cui il suo guantone arrivava verso la mia faccia mi piegai velocemente e lo colpii alla pancia. Questo lo rese furioso. Ora aveva deciso di pestarmi sodo sulla nuca, pero io lo vidi arrivare, balzai indietro e lo colpii sul collo proprio vicino al pomo d’adamo. Lui boccheggio e si ritiro indietro, quasi piangendo. Dopo un attimo ritorno all’attacco, pero io continuai ad anticipare le sue mosse e lui non riusci mai a toccarmi. Per la prima volta nella mia vita mi sentii forte, aggressivo. Mentre lo suonavo per bene, l’occhio mi corse oltre il ring d’improvviso e scorsi mio padre tutto su di giri per l’orgoglio, e il padre di Jimmy, accanto a lui, che appariva arrabbiato e perplesso. Fine del primo round. Ero tutto sudato, esuberante, aggressivo.

Secondo round: Jimmy venne avanti deciso a ridurmi a pezzettini. Oscillando selvaggiamente, freneticamente, mirando ancora alla mia testa. Io tenni la testa dove lui non poteva arrivare e gli piroettai di fianco e lo colpii di nuovo nella pancia, molto duro, e quando si piego in due lo colpii al naso e lui piombo giu, urlando. L’arbitro che dirigeva il match conto velocissimo fino a dieci e alzo in alto il mio braccio. — Ehi, Joe Louis! — strillava mio padre. — Ehi, Willie Pep! — L’arbitro suggeri di andare da Jimmy per aiutarlo a stringergli la mano. Appena lui fu in piedi colsi con assoluta nitidezza la sua decisione di piantarmi una testata sui denti, e io finsi di non farci caso, fino a quando lui carico; allora freddamente mi spostai di fianco e gli picchiai violentemente i pugni sulla schiena piegata. Questo lo fece imbestialire. — David imbroglia! — gemette. — David imbroglia!

Tutti loro! Quanto mi odiavano per la mia acutezza, o almeno per cio che interpretavano come acutezza! La mia sleale abilita di intuire sempre quello che stava per succedere. Bene, adesso non ci saranno piu problemi. Dovrebbero amarmi, tutti. Per amarmi, mi hanno ridotto a un mollusco.

E Judith che apre la porta. Indossa un vecchio maglione grigio e calzoni sportivi azzurri con un buco su un ginocchio. Lei mi tende le braccia e io la abbraccio calorosamente, stretta stretta contro il mio corpo, forse per mezzo minuto. Sento della musica che proviene dall’interno: l’Idillio di Sigfrido, penso. Dolce, amorosa, gradevole musica.

— Sta gia nevicando? — chiede.

— Non ancora. Grigiore e gelo, tutto qui.

— Ti preparo un drink. Vai nel soggiorno.

Resto in piedi di fronte alla finestra. Volteggiano pochi fiocchi di neve. Mio nipote arriva e mi studia a distanza, un dieci metri. Con mia sorpresa sorride. Dice con calore: — Ciao, zio David!

Deve averlo indottrinato Judith. Sii gentile con zio David, deve avergli raccomandato. Lui non si sente bene, ultimamente gli sono capitati un mucchio di guai. Cosi il ragazzo se ne sta li, tutto gentile con zio David. Non credo che mi abbia mai sorriso prima d’ora. Fuori dalla culla, per me non ha mai avuto ne bisbigli ne guaiti. Ciao, zio David! Che bello, piccolino.

— Salve, Pauly. Come ti va?

— Molto bene — dice lui. Con questo le sue buone maniere sono esaurite; non sta a far domande sullo stato della mia salute, ma tira fuori uno dei suoi giocattoli e si immerge nei suoi meandri. Eppure i suoi occhi larghi, oscuri, brillanti, continuano a esaminarmi ogni pochi minuti, e non sembra che ci sia nessuna ostilita nel suo sguardo.

Wagner e finito. Rovisto in mezzo alla raccolta di dischi, ne scelgo uno, e lo metto sul piatto. Schonberg, Verklarte Nacht. Musica di un’angoscia tempestosa seguita dalla calma e dalla rassegnazione. Di nuovo il tema dell’accettazione. Bellissimo. Bellissimo. Le note echeggianti mi avvolgono. Pastose, lussuraggianti. Appare Judith; mi offre un bicchiere di rum. Ha qualcosa di dolce per se, sherry o vermouth. Sembra un po’ giu, pero molto cordiale, molto aperta.

— Alla salute — dice.

— Alla salute.

— Hai messo una bella musica. Un mucchio di gente non ci crederebbe che Schonberg puo essere sensuale e tenero. Naturalmente, e lo Schonberg dei primi tempi.

— Si — dico io. — I succhi romantici tendono a inaridire via via che invecchi, eh? Che cosa hai fatto in questi ultimi tempi, Jude?

— Non molto. Un mucchio delle solite vecchie cose.

— Come sta Karl?

— Non lo vedo piu.

— Ah.

— Non te l’avevo detto?

— No — dico. — E la prima volta che lo sento.

— Non sono abituata a pensare che e necessario dirti le cose, Duv.

— Sarebbe meglio che ti ci abituassi. Tu e Karl…

— Stava diventando troppo insistente riguardo al matrimonio. Gli ho detto che era troppo presto, che non lo conoscevo abbastanza, che avevo paura di ingabbiare di nuovo la mia vita in una struttura che forse e sbagliata per me. Lui e restato offeso. Ha cominciato a farmi la predica su questo ritirarsi per complicare e rinviare le cose, sulla mania auto-distruttiva, un mucchio di sciocchezze del genere. L’ho guardato dritto negli occhi nel bel mezzo del suo sermone e l’ho visto come una specie di figura paterna; lo sai: grosso, pomposo, rigido, non un amante ma un mentore, un professore; non ne ho proprio bisogno per niente. Allora ho cominciato a pensare a quello che sarebbe stato tra dieci o dodici anni. Lui sui sessanta, e io ancora giovane. E mi sono resa conto che per noi non c’era futuro insieme. Gliel’ho detto il piu gentilmente possibile. Non ha telefonato per dieci giorni o giu di li. Penso che non telefonera piu.

— Mi spiace.

— Non e il caso, Duv. Ho fatto la cosa piu intelligente. Ne sono sicura. Karl andava benissimo per me, pero non avrebbe potuto essere per sempre. Il mio periodo-Karl. Un periodo sano. L’essenziale e non permettere che un periodo continui dopo che tu hai capito che e finito.

— Si — dico io. — Certamente.

— Vuoi ancora un po’ di rum?

— Fra un po’.

— Che cosa mi dici di te? — chiede lei. — Parlami di te. Come te la cavi, adesso che… adesso che…

— Adesso che e finito il mio periodo di superuomo?

— Si — dice lei. — E proprio finito, eh?

— Proprio. Tutto finito. Non c’e dubbio.

— E allora, Duv? Come ti senti da quando e successo?

Giustizia. Si sentono un mucchio di cose sulla giustizia, la giustizia di Dio. Lui ricerca i virtuosi. Lui tratta come immondizia gli empi. Giustizia? Dov’e la giustizia? Dov’e Dio, a questo punto? E proprio morto, oppure e soltanto assente, o distratto? Guarda la Sua giustizia. Manda un’inondazione in Pakistan. Zack, un milione di persone morte, gli adulteri e i vergini, gli uni e gli altri. Giustizia? Puo darsi. Puo anche darsi che le vittime, supposte innocenti, non fossero dopotutto cosi innocenti. Zack, la suora tutta dedita al lebbrosario si becca la lebbra, le sue labbra cadono a brandelli durante la notte. Giustizia. Zack, la cattedrale che la congregazione e andata costruendo

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