sussulto come se avesse ricevuto un colpo e incrocio le braccia sul petto. Si lascio cadere su un sedile, a testa bassa.

Questa non era un’affettazione di stanchezza. Lei si accorse che Burris stava male.

— Sono cosi stanco! — disse egli, con voce velata. Svuotato di forze. Mi sento come se avessi mille anni, Lona!

Avanzando la mano verso di lui. Lona tossi. Del tutto all’improvviso le colarono le lacrime dagli occhi. Si lascio cadere sul sedile accanto a lui, respirando a fatica.

— Mi sento anch’io cosi. Esausta.

— Che cosa sta accadendo?

— Forse e colpa di qualcosa che abbiamo respirato in quella corsa? O qualcosa che abbiamo mangiato, Minner?

— No. Guarda le mie mani.

Le sue mani tremavano. I piccoli tentacoli pendevano, molli. Aveva un viso pallido come la cenere.

E lei, era come se avesse fatto di corsa cento chilometri quella sera. O avesse partorito cento bambini.

Questa volta, quando egli propose di rientrare, non litigo.

26

Gelo a mezzanotte

Lei lo pianto su Titano. Burris non ne fu sorpreso: da giorni e giorni vedeva arrivare la cosa. Fu anzi una specie di sollievo.

Dal Polo Sud in poi, la tensione non aveva fatto che crescere. Non riusciva a scorgerne bene la causa, se non che non fossero fatti l’uno per l’altra. Comunque, era stata una zuffa continua, prima nascosta, poi appena mascherata, poi esplicita, cruda e schietta. E lei se ne ando.

Al Tivoli lunare trascorsero sei giorni, che seguirono tutti lo stesso schema. Alzarsi tardi, colazione abbondante, qualche gita per vedere il panorama lunare, poi al parco dei divertimenti. Questo era cosi vasto che c’erano sempre nuove cose da scoprire; tuttavia, fin dal terzo giorno, Burris si accorse che ripercorrevano istintivamente i propri passi, e col quinto si senti definitivamente stufo del Tivoli. Cercava di mostrarsi paziente, poiche era evidente che Lona trovava piacere a star li. Ma alla fine perdeva la pazienza, e bisticciavano. Ogni lite era peggiore di quella della notte precedente. Talvolta risolvevano il conflitto in amplessi furibondi, talvolta in nottate di musoneria insonne.

E sempre, sia durante, sia subito dopo la lite, sopraggiungeva quella sensazione di spossatezza, quella catastrofica perdita di energia. Burris non aveva mai provato niente di simile. Ed era doppiamente strano che quelle crisi assalissero nello stesso momento anche la ragazza. Non ne fecero parola ad Aoudad e Nikolaides, che scorgevano ogni tanto fra la gente.

Burris sapeva che le loro violente discussioni calcavano un cuneo, sempre piu a fondo, tra loro. Nei momenti meno burrascosi, se ne rammaricava, poiche Lona era tenera e buona, ed egli ne apprezzava il calore. Pero gli istanti di rabbia gli facevano dimenticare tutto cio. Lei gli appariva, allora, come vuota, inutile, esasperante: un peso aggiunto a tutti i suoi fardelli, una bambina sciocca e ignorante, odiosa. Tutto questo, egli lo disse a Lona, prima in metafora, poi con nude parole.

Una rottura era inevitabile. Si stavano esaurendo, dando fondo alla loro sostanza vitale, in quelle battaglie. I momenti di amore erano sempre piu radi, l’acredine sempre piu frequente.

La “mattina” (arbitraria, stabilita secondo l’orario terrestre) del sesto “giorno” (altrettanto arbitrario), Lona disse: — Disdiciamo la camera e proseguiamo subito per Titano.

— Dovremmo fermarci qui altri cinque giorni.

— Davvero lo vorresti?

— Be’… francamente, no.

Nel dir questo, Burris temette di provocare un’altra eruzione di parole rabbiose, ed era ancora troppo di buon’ora per cominciare quella solfa. Invece, niente: per Lona era il mattino dei gesti di sacrificio. Disse: — Credo di esserne stufa, e che tu ne sia stufo non e un segreto per nessuno. Quindi, perche restare. Probabilmente Titano e piu allettante.

— Probabilmente.

— E qui siamo stati cosi cattivi, l’uno con l’altra. Forse un cambiamento di paesaggio giovera.

Questo si era probabile. Il primo venuto, con quattro soldi in tasca, poteva concedersi la spesa di un biglietto per Luna Tivoli, e il luogo era pieno di screanzati, di ubriachi e di attaccabrighe. Quel paradiso del “tempo libero” faceva quattrini a spese di una massa di pubblico che non si limitava certo alla classe “manageriale” terrestre. Il pubblico di Titano era assai piu selezionato. La sua clientela era composta solo di persone ricche e raffinate, persone per le quali lo spendere in un viaggetto il doppio della paga annuale di un operaio era un nonnulla. Quella gente, almeno, avrebbe avuto la cortesia di trattare Burris come se le sue deformita non esistessero. Gli sposini in viaggio di nozze nell’Antartide, che chiudevano gli occhi su tutto cio che li disturbava, lo avevano trattato come se fosse semplicemente invisibile. I frequentatori del Tivoli gli avevano riso in faccia e avevano sbeffeggiato la sua diversita. Su Titano, pero, le buone maniere innate imponevano una tranquilla indifferenza per il suo aspetto: guardare quell’uomo strano, sorridere, chiacchierare garbatamente, ma non lasciar trapelare mai, mai, ne con la parola ne col gesto, che lo trovate strano, questa e la buona educazione. Burris riteneva che, fra queste tre specie di crudelta, preferiva nettamente la terza.

Percio, bloccato Aoudad nella luce dei fuochi d’artificio, disse: — Ne abbiamo abbastanza di star qui. Ci faccia avere i posti per Titano.

— Ma avete a disposizione…

— …ancora cinque giorni. Be’, ci rinunciamo. Ci tiri fuori di qui e ci spedisca a Titano.

— Vedro che cosa posso fare — promise Aoudad.

Aoudad aveva veduto i loro litigi. Burris ne era dispiaciuto, per dei motivi che disprezzava. Aoudad e Nikolaides avevano recitato, per loro due, la parte di Cupido, e Burris, in un certo senso, si riteneva in obbligo di agire costantemente da innamorato cotto. Gli pareva, oscuramente, di mancare in qualcosa nei confronti di Aoudad, quando si mostrava ringhioso con Lona. Eppure… Non dovrebbe importarmene una cicca, di venir meno ad Aoudad. Lui non si lagna delle nostre baruffe, non solleva la minima obiezione. Non cerca di far da paciere. Non apre bocca…

Come Burris prevedeva, Aoudad procuro senza alcuna difficolta i biglietti per Titano. Dove telefono per informare quella stazione turistica che sarebbero arrivati in anticipo sul previsto. E partirono.

Un lancio dalla Luna era tutt’altra cosa di una partenza dalla Terra. La forza di gravita era di appena un sesto, e bastava un colpetto per spedire la nave nello spazio. Quella base spaziale aveva un traffico intenso, con partenze giornaliere per Marte, Venere, Titano, Ganimede e Terra, partenze trisettimanali per i pianeti esterni, e settimanali per Mercurio. Dalla Luna non partivano navi per viaggi interstellari: per legge e per abitudine, le astronavi partivano solo dalla Terra, seguite momento per momento fino a quando, da qualche parte oltre l’orbita di Plutone, non facevano il balzo nell’universo distorto. La maggior parte dei mezzi di trasporto diretti a Titano si fermavano prima a Ganimede, importante centro minerario; secondo l’itinerario prestabilito, essi avrebbero dovuto prendere uno di questi. Ma la nave-traghetto di quel giorno faceva il viaggio senza scalo. Lona non avrebbe visto Ganimede; ma l’aveva voluto lei. Era stata lei a suggerire di anticipare l’arrivo. Forse potevano fermarsi a Ganimede nel viaggio di ritorno.

Lona chiacchierava con allegria forzata, mentre scivolavano attraverso l’abisso di tenebre. Chiedeva notizie a non finire su Titano, come le aveva chieste sul Polo Sud, sull’alternarsi delle stagioni, sulle abitudini dei cactus… Ma quelle domande obbedivano a una curiosita ingenua; queste venivano fatte, invece, con la speranza di ristabilire il contatto, un qualsiasi contatto, fra lei e lui.

Burris sapeva che non sarebbe servito a niente.

— E la luna piu grande che ci sia in tutto il nostro sistema solare. E persino piu grande di Mercurio, che pure e un pianeta.

— Ma Mercurio gira intorno al Sole, Titano gira intorno a Saturno.

— Esatto. Titano e molto piu grande della nostra Luna. Resta circa un milione e duecentomila chilometri da

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