“Dio mio” penso, mentre l’aria fredda gli colpiva il viso “tutto questo mi ribolliva dentro e lei non ne sa nulla! Non le ho detto nulla!” Da qualche parte, nel profondo, anche le parole nulla, sei ancora salvo. Ma piu forte, in superficie, la vergogna per il proprio silenzio. Non le aveva detto assolutamente nulla…

Rydra si alzo, le mani sull’orlo del banco, fissando lo specchio. Il barista si avvicino per prendere i bicchieri vuoti. Mentre allungava le mani per prenderli, si acciglio bruscamente.

— Signorina Wong?

Gli occhi di lei erano fissi.

— Signorina Wong, non vi…

Le nocche delle sue mani erano bianche, e sotto gli occhi del barista il pallore risali lungo le mani facendole sembrare di cera tremolante.

— C’e qualcosa che non va signorina Wong?

Lei volto di scatto il viso nella sua direzione. — Te ne sei accorto? — La sua voce era un sussurro rauco, duro, sarcastico, spossato. Si allontano dal banco e ando verso la porta, si fermo qualche istante a tossire, poi corse fuori.

2

— Mocky, aiutami!

— Rydra? — Il dottor Markus T’mwarba sollevo di scatto la testa dal cuscino. Nell’oscurita, il volto di lei spiccava al centro del rettangolo luminoso sopra il letto. — Dove sei?

— Qui sotto, Mocky. Ti prego, devo parlarti.

Il suo viso agitato scivolava da una parte all’altra dello schermo, cercando di evitare il suo sguardo. Lui strizzo gli occhi a quel bagliore, poi li riapri lentamente. — Vieni di sopra.

Il viso di Rydra scomparve.

Lui annaspo con una mano verso il pannello di controllo e una soffice luce invase la sontuosa camera da letto. Respinse la coperta dorata, appoggio i piedi sul morbido tappeto di pelliccia e raccolse una tunica di seta nera dalla colonna di bronzo cesellato. Se la getto sulla schiena, e il tessuto biologico si distese lentamente sulle spalle modellandosi intorno al torace. Sfioro di nuovo il pannello al centro della grande cornice rococo e sulla parete si apri uno sportello di alluminio. Una caffettiera fumante e una caraffa di liquore scivolarono verso di lui.

Un altro gesto fece gonfiare le poltrone sul pavimento. E mentre il dottor T’mwarba si girava verso il cubicolo dell’ingresso, questo mando un leggero scricchiolio e due ali di mica scivolarono nelle pareti, lasciando entrare Rydra con il fiato mozzo.

— Caffe? — Le chiese lui, e spinse la caffettiera che, sostenuta dal campo di forza, veleggio verso di lei.

— Mocky, lui… io…?

— Bevi il tuo caffe.

Lei ne riempi una tazza, ma la fermo a mezza strada dalle labbra. — Niente sedativi?

— Creme de cacao o Creme de cafe? — Lui le mostro due piccoli bicchieri. — A meno che tu non ritenga anche l’alcol un sedativo. Oh, deve essere rimasto ancora un po’ di salsiccia e fagioli della cena. Ho avuto gente.

Lei scosse il capo. — Solo cacao.

Il bicchiere segui la caffettiera lungo il fascio. — Ho avuto una giornata veramente spaventosa. — Uni le mani. — Non ho potuto lavorare per tutto il pomeriggio, a cena avevo ospiti che volevano discutere a tutti i costi e che dopo essersene andati mi hanno sommerso di chiamate. Mi ero infilato a letto dieci minuti fa. — Le sorrise. — Com’e andata la tua serata?

— Mocky, e… e stato terribile.

Il dottor T’mwarba sorseggio il suo liquore. — Bene. Altrimenti non ti avrei perdonato di avermi svegliato.

Lei si sforzo di sorridere. — P…posso sempre e…contare sulla tua c…comprensione, Mocky.

— Tu puoi contare su di me per il buon senso e per qualche persuasivo consiglio psichiatrico. Comprensione? Mi dispiace, ma non dopo le undici e mezzo di sera. Ora siediti. Cosa e successo? — Un movimento della mano fece spuntare dietro a Rydra una comoda poltrona. L’orlo le sfioro le gambe e lei sedette. — Ora smettila di balbettare. Hai superato per sempre questo stato quando avevi quindici anni. — La sua voce era gentile e sicura.

Rydra mando giu un altro sorso di caffe. — Il codice, ricordi il codice sul quale stavo lavorando?

Il dottor T’mwarba si abbasso verso una larga amaca di pelle e si spinse indietro i capelli bianchi che gli cadevano sulla fronte, ancora arruffati dal sonno. “Ricordo che ti era stato chiesto di lavorare su qualcosa per conto del governo. E che tu non ne sembravi molto soddisfatta.”

— Appunto. E… bene, non e stato il codice… che fra l’altro e una lingua… ma quello che e successo questa sera. Io… io ho parlato con il generale Forester, e successo… voglio dire, e successo ancora, e io lo sapevo!

— Sapevi che cosa?

— Come l’ultima volta, io sapevo quello che lui stava pensando!

— Leggevi nella sua mente?

— No. No, era come l’ultima volta! Io sapevo, da quello che lui stava facendo, quello che lui era sul punto di dire…

— Hai gia tentato di spiegarmelo un’altra volta, ma ancora non capisco cosa sia successo, a meno che tu non stia parlando di una specie di telepatia.

Lei scrollo con furia il capo.

Il dottor T’mwarba fisso attentamente la punta delle sue dita e si spinse indietro con le spalle. Improvvisamente Rydra comincio a parlare con voce piatta:

“Ora incomincio ad avere una chiara idea di quello che stai dicendo, mia cara, ma devi cercare di spiegarlo ancora con le tue stesse parole. Era questo che stavi per dire, non e vero, Mocky?”

T’mwarba inarco le bianche estremita delle sue sopracciglia.

— Si. Era proprio questo. E dici di non aver letto nella mia mente? Me lo hai dimostrato almeno una dozzina di volte.

— Io so quello che tu stai per dire; e tu non sai quello che io sono sul punto di dire. Non e giusto! — Fu quasi sul punto di alzarsi dalla poltrona.

Poi, insieme, dissero: — E per questo che sei un’ottima poetessa.

E solo lei prosegui: — Lo so, Mocky. Un poeta estrae dalla propria testa le cose che danno vita alle sue poesie e le presenta alla gente nella speranza che tutti le possano capire. Ma non e questo che io faccio negli ultimi dieci anni. Sai quello che faccio? Io ascolto le persone che mi circondano, mi immergo nei loro mezzi pensieri e nelle sensazioni mutilate che non riescono ad esprimere. Questo mi ferisce profondamente. Cosi vado a casa e lucido queste sensazioni, le levigo, le rendo raffinate con l’aggiunta di un metro ritmico e le faccio scintillare finche non mi feriscono piu. Questa e la mia poesia. Io conosco cio che la gente vuole dire, e lo dico al posto loro.

— La voce della tua epoca — mormoro T’mwarba.

Lei disse qualcosa di irripetibile e abbasso la testa. Quando la rialzo, c’erano delle lacrime sulle sue palpebre inferiori. — Quello che io voglio dire, quello che io vorrei esprimere, e… — Di nuovo scosse lentamente il capo. — Non riesco a dirlo.

— Se vuoi continuare a essere una poetessa, dovrai farlo.

Lei annui. — Mocky, fino all’anno scorso io non sapevo neppure di scrivere le idee di qualcun altro. Pensavo che fossero le mie.

— Ogni giovane scrittore che valga qualcosa deve passarci attraverso. E cosi che imparerai a servirti della tua arte.

— Ma adesso io ho qualcosa da dire che e soltanto mia. Non sono tutte le solite cose che pensano gli altri,

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