Non molto lontano notai qualcosa che si muoveva. Lo intravidi una sola volta, poi scomparve quando la strada comincio a scendere. Raggiunta la salita successiva, cercai di individuare la cosa in movimento, ma mi ci vollero parecchi minuti prima di riuscire a mettere a fuoco la sagoma di un ragazzo che saltellava qua e la sul ciglio della strada sopra un cumulo di lastre di pietra riarse dal sole. Sembrava impazzito: volteggiava, saltava su e giu, raccoglieva dei sassolini e li lanciava in alto. Ma il suo sguardo rimaneva costantemente fisso sulla roccia sotto ai suoi piedi.

Subito pensai che stesse cercando di uccidere un serpente che aveva tentato di morderlo, poi considerai la possibilita che fosse in preda a qualche convulsione. Mi voltai verso Alvaro e John che come me osservavano i movimenti scomposti del ragazzo.

— Cosa pensate che stia facendo? — chiesi.

— Non saprei proprio — rispose il piccolo prete. — Perche non glielo chiediamo?

— Non vogliamo perdere tempo — disse John all’improvviso con quel suo modo di fare unico e irritante. — Non mi pare una buona idea farsi coinvolgere nelle vicende di un pazzo.

Il giovane continuo a saltellare, a contorcersi e a pestare i piedi come se non si fosse accorto della nostra presenza.

Nella discesa che portava all’affioramento roccioso la strada diventava piu dissestata e Darling dovette scegliere il percorso con grande cura, evitando fessure e buche. John sedeva a cassetta ma lascio a me il compito di guidare per la briglia la giumenta. Con apprensione osservammo il giovane saltare giu dalla roccia, correre verso di me per dieci passi, inciampare e cadere in avanti.

Gli andai incontro per aiutarlo, ma prima che lo raggiungessi lui si era gia rialzato. Si era procurato un taglio che andava dal centro della fronte all’orecchio destro. Asciugo il sangue con una manica sudicia e ci guardo in silenzio. Mi feci nuovamente avanti ma lui si ritrasse come se improvvisamente si vergognasse della propria goffaggine. Quel movimento sembro ricordargli l’esistenza di un’altra ferita, perche si fermo, resto su una gamba sola e si massaggio il ginocchio sinistro. Aveva un’aria sofferente e un po’ imbarazzata.

— Be’ — disse — che c’e?

Scossi la testa e allargai le braccia per indicare che non volevo offenderlo ne fargli del male e dissi: — Volevo solo aiutarti.

Lui poso con circospezione la gamba sinistra e si pizzico il labbro. Aveva le unghie lunghe. — Chi siete? — domando sgarbatamente.

— Stiamo andando verso ovest — dissi. — Il mio nome e Matthew. Ci chiedevamo… — Mi fermai non sapendo come scegliere le parole.

Il ragazzo, comunque, non ascoltava la domanda che lentamente cercavo di formulare. — Fai ombra dietro di te! — disse in tono accusatorio.

— Anche tu — gli feci notare alquanto sorpreso. — Qual e il problema?

— Ti piace? — mi chiese. Indugiai un attimo prima di rispondere per studiarlo piu attentamente. Aveva piu o meno l’eta di John e la sua stessa corporatura esile, ma a differenza di John, che era un ragazzo di bell’aspetto, questo era decisamente brutto. Aveva una bocca larga e sporgente, la pelle butterata, la forma degli occhi pronunciata, simile a quella di una lucertola.

— Non ci bado — risposi alla fine. — Non posso farci molto — dissi sorridendo. — Si potrebbe quasi dire che le sono molto attaccato.

— Amo la mia ombra — disse il giovane.

Stavolta ero completamente sbigottito. Intimamente ero divertito per la mia sciocca battuta, ma la solennita del ragazzo mi tolse ogni voglia di ridere. — Davvero? — dissi con serieta.

— Ho sentito di gente che aveva paura della propria ombra — continuo il giovane. — Ce n’e un sacco. Gente assassinata in circostanze misteriose. Nessuna evidente causa di morte. Un mio amico dice che sono morti di malocchio. Chi pensate che potrebbe fare una cosa del genere? Attento!

Con la mano indico il terreno ai miei piedi. Feci un balzo, come un coniglio impaurito. Quando ritornai con i piedi a terra ero furioso con me stesso per essermi fatto cogliere di sorpresa.

— Cercava di afferrarti — disse il giovane. — Devi stare attento. Non darle nemmeno mezza possibilita.

— La mia ombra… — cominciai a dire stizzito, ma non potei continuare.

— A me non succedera — disse il ragazzo, a voce molto alta, interrompendomi. — Io e la mia ombra andiamo proprio d’accordo. Amo la mia ombra, davvero. Dovresti fare pace con la tua, ti ha quasi preso, poco fa. Sei fortunato che ti abbia avvertito. Chissa che sarebbe successo se non fossi stato qui, eh?

Dietro di me sentivo le risate di Alvaro e John, divertiti dalla mia perplessita e dalla mia irritazione. Persino Darling nitri con un tono chiaramente sarcastico.

— Devi fare attenzione — continuo l’irrefrenabile giovane. — E con te ovunque vai, ti osserva sempre con i suoi occhi invisibili. Di notte ti tormentera e non puoi vederla. Puoi solo startene seduto, tremando di paura, e di giorno chiamera in aiuto i suoi amici per prendersi gioco di te. Forse in questo stesso momento, in questo esatto istante, studia come ucciderti. Lei riesce a sentirmi, e adesso teme che tu possa stare in guardia. La cosa non le piace. Aspettera che ti rilassi e al momento buono verra di soppiatto a strangolarti. Non andare a dormire stanotte, non senza aver fatto la pace con la tua ombra.

— Sei pazzo — dissi senza speranza. — Sei completamente pazzo.

Mi ignoro. — Amo la mia ombra — ripete orgoglioso. — Non devo averne paura. Noi ci aiutiamo a vicenda, ci parliamo, balliamo insieme.

— Era questo che stavi facendo allora… — ricominciai a dire.

— Andiamo insieme ovunque — continuo lui, senza degnarsi di riconoscere che avevo cercato di interromperlo. — Staremo sempre insieme, per sempre.

Lasciai perdere, gli girai le spalle e tornai da Darling, convinto che non vi fosse piu motivo di stare li. Ripartimmo in cerca dell’ombra.

— Quello era un uomo del tutto a suo agio in questo mondo — disse Alvaro a John. — Un uomo veramente felice.

— Si — ammise John, e aggiunse: — Finche splende il sole.

4. Conquiste

— L’uomo ha conquistato le stelle — affermo John.

— Davvero? — disse Alvaro. — Non credo.

Ormai era un argomento abusato, ma Alvaro sembrava felice di parlare, parlare e parlare. E John era tanto sciocco da continuare i tentativi di convincerlo, o forse convincere se stesso. Io non mi univo alle discussioni, non piu, mi limitavo a guidare il carro.

Fortunatamente la calura ormai era finita, e noi salivamo lentamente, ma inequivocabilmente, verso le colline. Eravamo passati dai campi coltivati del fondovalle alla zona boschiva, dove gli insediamenti umani erano molto meno frequenti. Le strade si presentavano lunghe e tortuose, e spesso terribilmente ripide. Sovente avevo l’impressione di percorrere miglia e miglia e non arrivare da nessuna parte: per ogni salita c’era una discesa, per ogni svolta a sinistra una svolta a destra.

— E vero — insistette John, tracciando col braccio un ampio arco sopra la testa, una linea nel cielo della sera. — Un tempo ogni stella, ogni singola stella ci apparteneva, apparteneva alla nostra razza… a questo pianeta, finche non vi rinunciammo e ritornammo a casa a marcire.

Alvaro rise sommessamente e John rivolse a quell’ometto, che continuava a non farsi impressionare, uno sguardo torvo.

— Ne abbiamo raggiunte cosi poche — disse pacatamente. — Davvero poche. Siamo andati, abbiamo piantato le nostre bandiere e pronunciato delle belle parole. Ci siamo guardati intorno e tutto quello che vedevamo ci sembrava a portata di mano. Dopotutto le stelle sono cosi minuscole lassu nel cielo. E nessuno potra mai “vedere” i loro minuscoli mondi satelliti. Ma non siamo mai riusciti ad afferrarle perche esse non sono solo delle minuscole luci nel nostro cielo. Esse esistono. Hanno una loro identita e non possiamo obbligarle ad assumere l’identita che noi vorremmo solo per i nostri scopi.

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