lentamente in marcia.

L’intera fascia di confine tra Iraq e Turchia era disseminata di mine di ogni tipo. Un’avanzata americana sembrava ormai imminente. Il compito degli sminatori era quello di aprire delle brecce nei campi minati per poi lasciar penetrare gruppi di commando, o le teste di ponte degli occidentali, in territorio iracheno.

Nella sede del Bureau in Federal Plaza, a New York, Deuville colori la frase con l’esclamazione che gli era usuale: «Merda! Il solito Jordan Cruner e l’unico a mettere in relazione l’attentato al convoglio del golfo Persico con quelli avvenuti lo scorso marzo al palazzo delle Nazioni Unite e alla sede irachena qui a New York. Non solo, l’informatissimo giornalista sostiene l’idea che un potente serial bomber si diverta a far saltare gli interessi musulmani nel mondo e a prendere per il naso il corpo di polizia federale deputato a proteggere i cittadini. Mi sembra inutile fare presente che quel corpo siamo noi. Io mi chiedo, invece, come faccia Cruner ad andare di pari passo con ogni nostra conclusione. Gia dobbiamo fare i conti con i capi di governo che ci tengono il fiato sul collo, mentre siamo alle prese con una crisi senza precedenti: diverse decine di morti ammazzati e un pazzo che si diverte a piazzare esplosivi in ogni angolo del mondo. Ci mancava soltanto il solerte giornalista! Merda!»

La telecamera si attardo per qualche istante sulla scena alle spalle di Cruner. Il vento caldo del golfo Persico scompigliava i capelli castani del giornalista. Il rogo del convoglio ardeva ormai da sei giorni e sembrava impossibile arginare il fronte di fuoco.

Il cameraman alzo il pollice e Cruner incomincio a parlare: «Come potete vedere alle nostre spalle, le cinque navi coinvolte in quello che appare ormai come un sanguinoso attentato dalle conseguenze catastrofiche continuano a bruciare nel punto piu angusto dello stretto di Hormuz. Una prima ispezione aerea effettuata da una delegazione congiunta arabo-americana ha stimato che saranno necessari almeno quattro mesi, una volta domato l’incendio, per sgombrare il canale dai relitti. Se si calcola che at traverso lo stretto di Hormuz transita la maggioranza dell’intero traffico mondiale di greggio, possiamo immaginare quali saranno le conseguenze di questo disastro. Per tornare al misterioso attentatore, alcune attendibili fonti rivelano potrebbe trattarsi della stessa persona che ha collocato alcuni mesi or sono i due ordigni nella citta di New York. Come i nostri telespettatori ricorderanno, l’ufficio iracheno presso le Nazioni Unite e la delegazione a New York dello Stato arabo furono colpiti simultaneamente nel mese di marzo, e una dozzina di addetti diplomatici perse la vita in quegli attentati. Alcune testate giornalistiche, tra cui la nostra K.C. News, oltre all’FBI, ricevettero una rivendicazione dell’attentato da parte di un sedicente ‘Giusto in nome di Dio’. Sappiamo che un nuovo biglietto e giunto alla direzione generale del Federal Bureau of Investigation nelle scorse ore. La firma in calce alla rivendicazione e costituita da un antico sigillo raffigurante una stella a sei punte: l’esagramma di Re Salomone. Jordan Cruner, K.C. News, Ra’s al Khaymah, Emirati Arabi Uniti».

Oswald Breil si massaggio il braccio destro: l’arto gli doleva ancora per le ferite riportate nel corso dell’attacco al palazzo delle Nazioni Unite. Le indagini che avevano stabilito l’identita dell’autore del primo dei due attentati — un magnate giapponese legato indissolubilmente alla Yakuza, la mafia nipponica — avevano dimostrato che tra l’attacco missilistico da parte dell’elicottero e le due esplosioni, una al dodicesimo piano del Palazzo di Vetro e l’altra nella sede irachena presso le Nazioni Unite, non vi era alcun nesso. Si trattava di una serie incredibile di coincidenze assolutamente imprevedibili.

Una coincidenza… l’ennesima coincidenza. Ma Breil sapeva bene che, nel suo lavoro, non c’era spazio per le coincidenze.

L’argomento sul quale sia i media che le istituzioni avevano evitato di soffermarsi era il motivo che poteva spingere un esponente di spicco della malavita giapponese a pilotare un elicottero e a lanciare missili nel centro di Manhattan: quel motivo si chiamava Oswald Breil.

L’ex premier israeliano stava seguendo le immagini che riprendevano l’immenso rogo di Hormuz; poi, con la voce di Jordan Cruner come sottofondo, l’emittente mando in onda l’immagine del sigillo. Oswald si fece ancora piu attento.

Breil conosceva bene quel simbolo: lo aveva visto raffigurato su un antico anello che lui stesso aveva consegnato a una vecchia amica, proprio un istante prima che l’elicottero aprisse il fuoco. Subito dopo l’Anello dei Re era andato smarrito. Si trattava di un’altra coincidenza?

Dal momento dell’attentato Breil aveva abbandonato ogni incarico pubblico in Israele, e si era rifugiato presso la coppia che lo aveva adottato quando i suoi genitori erano morti in un incidente d’auto. Il piccolo uomo affermava di aver bisogno di un periodo di riflessione, nonostante, o forse proprio a causa di queste pressioni che lo volevano di nuovo alla guida del governo israeliano.

A dire la verita, una persona che raramente aveva conosciuto la paura come Oswald aveva il timore che la calma di cui godeva vicino a Ezer e Lilith Habar fosse contagiosa. I due coniugi avevano lasciato Tel Aviv da diversi anni per trasferirsi a Denver, in Colorado, dove Ezer era stato il direttore del Rocky Flats Plant, un importante centro di produzione di energia nucleare. Oswald ricordava bene la meravigliosa atmosfera che regnava in casa degli Habar sin da quando era ragazzino: accanto a Lilith e a suo marito il tempo sembrava rallentare, fermarsi a riflettere, concedersi pause impensabili nella frenetica vita quotidiana.

«Fermo!» Il gesto della mano del sergente Kingston fu eloquente quanto il tono della voce. Il giovane marine rimase immobile, con la gamba destra sospesa per aria: una bella statuina in divisa ritratta nell’atto di compiere un passo.

Kingston si chino con cautela davanti al soldato. Le sue dita accarezzarono con circospezione un sasso poco piu piccolo del palmo di una mano. Il pollice e l’indice si serrarono sul bordo del sasso, quindi Kingston lo lancio in una zona sgombra, quasi stesse giocando a far rimbalzare dei ciottoli levigati sulla superficie del mare.

Non appena tocco terra, quella che pareva una pietra esplose con un boato assordante.

La voce di Kingston si alzo non appena l’eco dell’esplosione si attenuo: «Mina di tipo SB33 di costruzione italiana. Misura circa nove centimetri di diametro per tre e mezzo di altezza. Pesa centocinquanta grammi ed e in grado di provocare amputazioni traumatiche. Ricordate bene: chiunque sia capace di disseminare di mine di questo tipo non ha nessun interesse che le sue vittime vengano seppellite sotto mezzo metro di terra. Al nemico interessiamo storpi e zoppi, bisognosi di cure e di arti artificiali. Ricordatelo bene, ragazzi, e prestate la massima attenzione a tutto quello su cui appoggiate ogni parte del vostro corpo. Nell’incertezza di che cosa ci troveremo sotto ai piedi dobbiamo muoverci come farfalle e non sottovalutare alcun dettaglio».

5

Fronte dolomitico, giugno 1916

Il maggiore Sciarra osservo l’ufficiale rumeno. Il tenente Minhea Petru stava sull’attenti di fronte al suo superiore. Poco di lato, la stufa a legna emanava un piacevole calore.

Lo slargo della galleria nella quale era stato posto il comando consisteva in una stanza di pochi metri quadrati. Sotto lo strato di carta catramata si intuiva la grezza roccia dolomitica.

Minhea Petru aveva un viso simpatico e occhi vivaci di colore marrone che ora soppesavano ogni particolare dell’uomo di fronte a lui, il quale sarebbe diventato molto piu che il suo comandante.

Il fisico adetico e possente di Petru si intuiva anche sotto il pastrano che copriva la divisa grigioverde da poco adottata dall’esercito italiano, in sostituzione di quella blu usata sino ad allora: era stato un ex alpino in congedo, tale Luigi Brioschi, a dimostrare allo stato maggiore dell’esercito che quel colore confondeva la mira dei cecchini. Nel corso di alcune prove di tiro, i bersagli in grigioverde erano stati colpiti meno volte di tutti gli altri.

Una fascetta col tricolore rumeno, posta sopra la tasca pettorale sinistra, oltre a rappresentare l’unica nota di risalto nella piatta monocromaticita della divisa, stava a indicare le origini dell’ufficiale volontario.

«La vostra nazione sembra sul punto di scendere in guerra», disse il comandante di compagnia. «Qualora questo dovesse avvenire, che cosa accadra al vostro distaccamento presso la mia compagnia?»

«Ho espressamente richiesto di non venire trasferito in caso di coinvolgimento della mia patria nel conflitto,

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