Piu passi farai e piu facilmente rischi di cadere.

Tom disse ad alta voce: «Chi ha detto che sei tu a comandarmi?» Spinse il suo piede sinistro in avanti di venti centimetri e richiamo il destro per rimettersi in equilibrio. Ora si trovava ufficialmente a mezz’aria anche se una caduta lo avrebbe riportato sulla terraferma. Non sapeva dove guardare: ovviamente non in basso, ma neppure verso l’alto. La cosa migliore era guardare diritto davanti a se, nel vuoto sopra la gola. Eh, no, non la. Cazzo, no.

A sinistra, verso dove stai andando.

Giro la testa. Ottima mossa — l’altra sponda non era poi cosi lontana. Fece avanzare nuovamente il sinistro, poi il destro, e ancora il sinistro, e poi il destro. Ora si trovava quasi al centro del tronco. Scivolo nuovamente in avanti, ma il suo piede colpi un nodo del tronco facendogli scuotere la gamba. Penso che fosse tutto a posto, ma ben presto si accorse che non era cosi. La gamba sinistra era a posto, ma il resto del corpo era improvvisamente diventato insicuro. Senti il torso appesantirsi e sprofondare all’indietro. Ebbe l’impressione che la massa del pianeta sotto di lui lo invitasse a raggiungerla.

A sinistra, guarda a sinistra. Si senti per un attimo senza peso, ma non stava cadendo. Poi ritrovo se stesso e rimase immobile. Guardo verso restremita del tronco, seminascosta dai cespugli coperti di neve e la fece diventare il centro di tutto cio che fosse piatto. Continuo a procedere.

Scivolo e avanzo ancora una volta. Aveva superato la meta. Scivolo ancora, ma stavolta con una strana sorta di euforia. Per la maggior parte del tempo si era sentito come il personaggio di un videogame controllato dalla madre di qualcuno a cui e stato permesso di giocare una partita. Ma solo per una volta…

Scivolo e avanzo ancora una volta, e poi un’altra. E non cadde.

Si mosse un’ultima volta e finalmente si ritrovo immobile su una parte del tronco che poggiava sulla terraferma. Rimase li improvvisamente incapace di scendere. Guardo verso la gola, sentendosi come sospeso nel vuoto, poi poggio i piedi sul terreno.

Per un attimo la terra stessa sembro inconsistente, come se potesse ondeggiare, rovesciarsi e svanire. Fece allora un altro passo allontanandosi dalla gola e tutto si sistemo. Ce l’aveva fatta.

Una semplice occhiata lungo l’altra sponda confermo quello che aveva sospettato: sarebbe stato difficile procedere in entrambe le direzioni. Mentre dove si trovava era diventata praticamente una passeggiata.

Tre metri invece di centinaia.

«Grazie,» disse nel silenzio.

La voce non rispose. Sopra di lui il cielo stava diventando grigio.

Cammino per altri dieci minuti, tenendosi sconsideratamente vicino al ciglio. Per un attimo, in quel suo mondo sperduto tra gli alberi, ebbe l’impressione che le cose non andassero poi tanto male. Sembrava che facesse piu freddo, incredibilmente, ma riusciva a sopportarlo. Era in grado di fare il suo dovere, era evidente. Era riuscito a camminare per aria. Non fu sorpreso quando scorse il suo zaino piu in basso, anche se era quasi completamente ricoperto di neve e sarebbe stato facile non vederlo. Era semplice, la sua buona sorte era tornata, per una volta il mondo si stava prendendo cura di lui. Si aggrappo a un piccolo albero, si sporse e guardo giu. Attorno a esso c’era una serie confusa di tracce nella neve, senza dubbio causate dai suoi piedi e dalle sue mani quando aveva provato a spiccare il volo.

Ma niente orso.

Prosegui, continuando sul ciglio della gola fino a quando non arrivo in un punto da dove poteva discendere. Noto alcuni rami spezzati e, sfruttando il suo sesto senso arboreo appena acquisito, ne dedusse che quello era probabilmente il punto dove era precipitato la notte prima. La seconda discesa ando molto meglio, con l’unica eccezione di una frenetica scivolata verso la fine. Perlomeno stavolta era atterrato sul fondo della gola con i piedi. Sentendosi come se stesse completando una sorta di cerchio ideale, si trascino verso lo zaino.

Era aperto e all’interno luccicava il vetro. Accanto c’era una bottiglia vuota; c’erano anche alcune confezioni malridotte e una manciata di pillole, diventate di un blu innaturale. Il tutto era racchiuso in una sorta di nido, uno spiazzo sgombro con la parete di roccia alle spalle e il corso d’acqua di fronte, chiuso da cespugli su ambo i lati. Tom si fermo a guardare tutto cio sentendosi come un fantasma.

All’improvviso gli si riempi la bocca di saliva e il suo stomaco si contrasse.

Fece un passo affrettato all’indietro, temendo che l’eccessiva vicinanza con lo zaino lo riportasse nel buio della notte e poi cadde seduto a terra, con l’effetto dell’impatto che risaliva lungo la schiena e i cespugli che oscillavano e tremolavano davanti ai suoi occhi.

Dopo aver respirato profondamente per alcuni minuti il dolore diminui un po’. Potevano essere i postumi della sbornia, oppure la vista delle pillole aveva prodotto una reazione del tipo «Non provarci di nuovo» che, partita dal cervello, era arrivata allo stomaco. Ma in realta poteva essere semplicemente un violento attacco di fame. Non era facile a dirsi, il suo corpo era diventato una sorta di Torre di Babele. Sembrava che tutto cio che si trovava al di sotto della sua gola fosse stato rimpiazzato dal tratto intestinale — funzionante, ma incompatibile — di una specie aliena: gli trasmetteva dei messaggi, e anche ad alta voce, ma lui non sapeva interpretarli.

Si sentiva uno schifo.

Si piego involontariamente in avanti. Ora stava anche tremando, e molto. Con un brivido di autentica paura Tom si accorse di essere a pezzi, ferito da qualche parte nel profondo. Guardo il cielo e vide che era diventato ancora piu scuro, di un grigio piombo a chiazze. Sembrava dovesse riprendere a nevicare, e questa volta seriamente.

Cosa doveva fare?

Anche se fossero rimaste abbastanza pillole, non credeva sarebbe riuscito a ingoiarle. Pensava che non sarebbe piu stato capace di fare nulla, mai piu. Non c’era nessuna via alternativa. Poteva solo sedersi, ma come fare se si sentiva cosi male? La vodka sarebbe servita almeno a riscaldargli le budella. La prospettiva non era minimamente attraente — alla luce di una relativa sobrieta era pronto ad ammettere che preferiva bere vodka con acqua tonica e una fettina di lime, in quantita moderate, e in qualche posto riscaldato — ma questo era tutto quello che aveva. Cerca di morire da uomo, aveva pensato, o qualcosa di simile; non riusciva a ricordare veramente cosa gli era passato per la mente a Sheffer. Tutto gli sembrava cosi lontano.

Si spinse avanti sulle ginocchia, un braccio ancora sullo stomaco, come se la cosa fosse di una qualche utilita. Si allungo verso lo zaino con una mano che tremava molto. Era un tremore normale, il buon vecchio tremore di qualcuno che e stato fuori tutta la notte, e niente di piu. Sperava che non fosse il segnale che tutto il suo corpo sibilava e faceva scintille come un cavo elettrico tagliato.

Tocco il bordo della sacca e poi si fermo.

Ritrasse la mano. C’era qualcosa che non sembrava a posto. Macchie di qualcosa sui vetri rotti all’apertura dello zaino. La qualita delle macchie, un tempo brillanti e ora opache, gli era familiare. Ce n’erano alcuni esempi sul dorso della sua mano.

Era del sangue?

Si avvicino, facendo una smorfia. Senza dubbio sembravano un paio di chiazze di sangue rappreso. Giro il palmo della mano verso l’alto, ma non vide nessun taglio nuovo. Se ne sarebbe accorto, anche con quel freddo. Era altrettanto sicuro di non essersi ferito la notte precedente. Non aveva avuto alcun motivo per infilare la mano tra i vetri rotti.

Afferro il fondo dello zaino e lo sollevo. Ne fuoriusci un ammasso tintinnante. Erano schegge di vetro che si erano saldate in un unico blocco a causa del gelo. C’era poi una confezione intera di pillole che non aveva utilizzato, frammenti di piante, probabilmente raccolti nei capitomboli del giorno prima. Ah, un’ultima bottiglia, intatta.

E ancora un paio di chiazze rosso mattone su un pezzo di vetro.

Tom prese con cautela la scheggia. Era proprio sangue ed era certo che non si trattava del suo. La notte precedente aveva capovolto il sacco per prendere cio di cui aveva bisogno, non ci aveva infilato la mano dentro.

Ma evidentemente l’orso lo aveva fatto.

Non poteva aver fiutato il cibo — non ce n’era da nessuna parte, non c’era mai stato — ma l’odore dell’alcool doveva essere stato irresistibile. Forse l’animale conosceva gia quell’odore, per avere gia rovistato nei cassonetti di rifiuti all’uscita di qualche piccola citta. Ed ecco perche, presumibilmente, non lo aveva inseguito: era troppo impegnato a farsi un drink.

Tom si libero del pezzo di vetro con una certa fretta. Prima di quel momento la realta di quanto era

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