«Ciao Dick» disse Garry. «Sono io, Garry.»

Garry lavorava a qualche metro da Richard, e lo saluto agitando la mano da dietro una luccicante scrivania del tutto priva di troll.

«E ancora valida la proposta di andare a bere qualcosa insieme? Hai detto che potevamo esaminare il rendiconto Merstham.»

«Metti giu quel dannato telefono, Garry. Certo che e ancora valida.»

Richard abbasso il ricevitore. C’era un numero telefonico in fondo al bigliettino giallo, che Richard si era diligentemente scritto parecchie settimane prima. E aveva prenotato: ne era quasi certo. Pero non aveva confermato la prenotazione. L’intenzione l’aveva sempre avuta, ma c’erano state cosi tante cose da fare e tutto quel tempo a disposizione. Ma gli avvenimenti di un certo rilievo procedono in massa…

Adesso Sylvia era in piedi accanto a lui. «Dick? Il rapporto Wandsworth?»

«Quasi pronto, Sylvia. Guarda, aspetta solo un secondo, puoi?»

Fini di digitare con forza il numero, e fece un sospiro di sollievo quando una voce rispose. «Ma Maison. Cosa posso fare per lei?»

«Vorrei un tavolo per tre per stasera» disse Richard. «Credo di avere prenotato. E se l’ho fatto, vorrei confermare la prenotazione. Se invece non l’ho fatto, mi chiedo se potrei prenotare ora. Per favore.»

No, non era segnata alcuna prenotazione per la sera a nome Mayhew. O Stockton. O Bartram — il cognome di Jessica. E quanto a prenotare un tavolo…

Non erano le parole che Richard trovo decisamente sgradevoli, ma il tono di voce con cui l’informazione venne trasmessa. Un tavolo per questa sera avrebbe dovuto essere prenotato anni prima, magari dai genitori di Richard. Un tavolo per questa sera era impossibile: persino se il papa, il primo ministro e il presidente francese si fossero presentati la quella sera senza una conferma di prenotazione, sarebbero stati rispediti in strada.

«Ma e per il capo della mia fidanzata. So che avrei dovuto telefonare prima. Siamo soltanto in tre, non potrebbe gentilmente…»

Avevano riattaccato.

«Richard?» disse Sylvia. «L’amministratore delegato aspetta.»

«Pensi» domando Richard «che me lo darebbero un tavolo se richiamassi offrendo una grossa mancia?»

Nel sogno erano tutti insieme, a casa. I suoi genitori, suo fratello, sua sorella. Erano in piedi nella sala da ballo. Erano cosi pallidi, cosi seri. Ianua, sua madre, le sfioro la guancia e le disse che era in pericolo. Nel sogno, Porta rise e rispose che lo sapeva. La madre scosse il capo: no, no — adesso era in pericolo. Adesso.

Porta apri gli occhi. L’uscio si stava aprendo, piano piano; trattenne il fiato.

Dei passi, felpati sul selciato. Magari non si accorge di me, penso. Magari se ne va. E poi penso, disperata, Ho fame.

I passi esitarono. Era ben nascosta, ne era certa, sotto un mucchio di giornali e di stracci. Ed era possibile che l’intruso non volesse farle del male. Potra sentire il mio cuore che batte forte? Poi i passi si avvicinarono, e lei sapeva cosa doveva fare, anche se aveva paura.

Una mano strappo via la copertura che la riparava, e si trovo a fissare un viso inespressivo che si contrasse in un ghigno feroce. Rotolo su un fianco raggomitolata su se stessa, e la lama del coltello rivolto al suo petto la raggiunse invece al braccio.

Fino a quel momento non aveva mai pensato di riuscire a farlo. Mai creduto di poter essere abbastanza coraggiosa, o impaurita o disperata da osare. Ma allungo una mano, la poso sul petto di lui, e apri…

Era umido, caldo e scivoloso; striscio e barcollo per liberarsi dal peso dell’uomo, poi, con passo incerto, lascio quel luogo.

Giunta nel lungo e stretto tunnel esterno, trattenne il respiro mentre si appoggiava pesantemente al muro, sfinita e singhiozzante.

Era allo stremo delle forze. Aveva dato fondo alle proprie energie. La spalla cominciava a pulsare dolorosamente. Il coltello, penso. Ma era salva.

«Oh perbacco, perbacco» disse una voce nel buio alla sua destra. «E sopravvissuta al signor Ross. Chi l’avrebbe mai detto, mister Vandemar.» La voce aveva un suono di fanghiglia melmosa.

«Neppure io l’avrei mai detto, mister Croup» disse una voce piatta alla sua sinistra.

Accesero una luce tremolante. «Tuttavia» aggiunse mister Croup, gli occhi lampeggianti nell’oscurita sotterranea, «a noi non sopravvivera.»

Porta gli diede una ginocchiata, forte, all’inguine: senti qualcosa contorcersi sotto gli abiti e si mise a correre, tenendosi la spalla sinistra con la mano destra.

E continuo a correre.

«Dick?»

Richard allontano da se l’interruzione con un gesto della mano. Teneva la propria vita quasi sotto controllo, ormai. Ancora soltanto qualche minuto…

Garry ripete il suo nome. «Dick? Sono le sei e trenta.»

«Sono cosa

Fogli, penne, tabulati e troll vennero scaraventati nella ventiquattr’ore di Richard, che la chiuse e scappo via.

Mentre si dirigeva verso l’uscita si infilo il soprabito. Con Garry alle calcagna. «Allora, andiamo a bere qualcosa?»

«Bere?»

«Dovevamo uscire insieme stasera per discutere del rendiconto Merstham. Ricordi?»

Era per stasera? Richard si fermo un istante. Se mai, decise, avessero ammesso la disorganizzazione come sport olimpico, di certo avrebbe potuto degnamente rappresentare l’Inghilterra.

«Garry,» disse «mi dispiace. Ho fatto confusione. Questa sera devo vedere Jessica. Portiamo fuori a cena il suo capo.»

«Il signor Stockton? Degli Stockton? Quello Stockton?»

Richard annui.

Si precipitarono giu dalle scale.

«Sono certo che ti divertirai» commento Garry. «E come sta il Mostro della Laguna Nera?»

«Per essere precisi, Garry, Jessica e di Ilford. Ed e sempre la luce e l’amore della mia vita, grazie per avermelo chiesto.»

A quel punto erano arrivati nell’atrio e Richard si lancio verso la porta automatica, che clamorosamente non si apri.

«Sono passate le sei, signor Mayhew» spiego il signor Figgis, la guardia addetta alla sicurezza del palazzo. «Deve firmare il registro con l’ora di uscita.»

«Ci mancava anche questo,» disse Richard senza rivolgersi a qualcuno in particolare, «ci mancava proprio.»

Il signor Figgis odorava vagamente di sciroppo per la tosse e di lui si raccontava da piu parti che possedesse una collezione di giornaletti porno a dir poco enciclopedica. Sorvegliava il portone con una diligenza quasi maniacale, non essendo ancora riuscito a dimenticare la sera in cui la costosa attrezzatura informatica di un intero piano aveva alzato i tacchi e preso il volo, insieme a due vasi di palme e al tappeto Axminster dell’amministratore delegato.

«Quindi la nostra uscita e rimandata?»

«Mi dispiace, Garry. Ti va bene lunedi?»

«Certo. Lunedi va benissimo. Allora ci vediamo lunedi.»

Il signor Figgis controllo le firme e si accerto che non avessero con se computer, vasi di palme o tappeti, dopo di che premette un pulsante sotto la sua scrivania e la porta si apri.

«Porte» commento Richard.

La strada sotterranea si biforcava e si diramava; scelse una direzione a caso, tuffandosi nei tunnel, correndo, inciampando e muovendosi a zig zag.

Dietro di lei bighellonavano mister Croup e mister Vandemar, rilassati e contenti come stessero visitando la grande esposizione del Crystal Palace.

Quando giunsero a un incrocio, mister Croup si chino, trovo la piu vicina traccia di sangue e la seguirono.

Erano come iene, che portano allo sfinimento la propria preda. Loro potevano aspettare. Loro avevano tutto il tempo del mondo.

Per una volta la fortuna era dalla parte di Richard. Prese un taxi guidato da un tassista particolarmente entusiasta che lo porto a casa seguendo un itinerario insolito che prevedeva strade della cui esistenza Richard non si era mai accorto. Scese di corsa dal taxi, lasciando una buona mancia e la ventiquattr’ore, riusci a fare cenno all’autista che si fermo appena prima di infilarsi in un viale di scorrimento e recupero la borsa, quindi sali le scale a razzo e si fiondo nel suo appartamento.

Quando entro in sala si stava gia togliendo i vestiti: la borsa attraverso la stanza roteando e fece un attcrraggio di fortuna sul divano; prese le chiavi e le appoggio con cura sul tavolino all’ingresso, in modo da non dimenticarle.

Poi corse in camera da letto.

Il cicalino del citofono squillo.

Richard, vestito per tre quarti del suo completo migliore, si lancio a rispondere.

«Richard? Sono Jessica. Spero che tu sia pronto.»

«Oh, si. Arrivo subito.»

Infilo il soprabito e corse via, sbattendo la porta dietro di se.

Jessica lo stava aspettando in fondo alle scale. Lo aspettava sempre li. A lei non piaceva l’appartamento di Richard: la faceva sentire femminilmente a disagio. C’era sempre la possibilita di trovare un paio di mutande, be’, praticamente ovunque, per non parlare dei blocchi serpeggianti di dentifricio indurito cementati sul lavandino del bagno: no, non era proprio un posto da Jessica.

Jessica era molto bella; al punto che a Richard capitava di ritrovarsi a guardarla chiedendosi come ha fatto a mettersi con me?

E quando facevano l’amore — cosa che accadeva nell’appartamento di Jessica nella zona di Barbican, nel letto di ottone di Jessica con le gelide lenzuola di lino bianco (i genitori di Jessica le avevano detto che i piumini erano demode) — dopo, al buio, lei lo abbracciava stretto, i lunghi riccioli bruni scompigliati a coprirgli il petto, e gli sussurrava quanto lo amava, mentre lui a sua volta le diceva di amarla e di voler stare con lei per sempre, e entrambi ci credevano.

«Santo cielo, mister Vandemar. Sta rallentando.»

«Rallentando, mister Croup.»

«Deve perdere molto sangue, mister V.»

«Sangue delizioso, mister C. Tiepido sangue delizioso.»

«Non ci vorra molto.»

Un click: il rumore di un coltello a serramanico che si apre, vuoto, solo e buio.

«Richard? Cosa stai facendo?» chiese Jessica.

«Nulla, Jessica.»

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