Scuotivento si sforzo di mettersi in sintonia (o quel che fosse) con il metallo della serratura. Se fosse stato in grado di seminare la discordia tra i suoi atomi perche questi si separassero…
Non accadde nulla.
Scuotivento degluti con forza e rivolse la sua attenzione al legno. Era vecchio, quasi fossilizzato, e probabilmente non sarebbe bruciato nemmeno se cosparso d’olio e gettato in una fornace. Ci provo comunque e spiego alle vetuste molecole che dovevano cercare di saltare su e giu per scaldarsi…
Nel silenzio pieno di tensione della sua mente guardo minaccioso l’Incantesimo, che si mostrava sbigottito.
Esamino allora l’aria intorno alla porta e la possibilita di torcerla in forme prodigiose cosi che la porta esistesse in un’altra serie totalmente diversa di dimensioni.
La porta rimaneva dov’era, sprezzante nella sua solidita.
Scuotivento ormai sudava e cominciava mentalmente il percorso senza fine verso la lavagna davanti alla classe sghignazzante. Disperato, rivolse di nuovo la sua attenzione alla serratura. Doveva comporsi di pezzetti di metallo, non molto pesanti.
Rumori appena percettibili provenivano dalla griglia. Erano i maghi che scuotevano la testa, la tensione allentata.
Uno bisbiglio: —
Un piccolo sfregamento, uno scatto.
Il viso del mago era una maschera. Il sudore gli gocciolava giu dal mento.
Un altro scatto, lo stridere di perni riluttanti. Trymon aveva oliato la serratura, ma l’olio era stato assorbito dalla ruggine e dalla polvere di anni. A meno di servirsi di un meccanismo esterno, l’unico modo con cui un mago possa spostare qualcosa con la magia e di usare la propria mente come una leva.
Scuotivento cercava con tutte le sue forze d’impedire che il cervello gli uscisse dalle orecchie.
La serratura si scosse. Aste metalliche si contorsero, cedettero, spinsero delle leve.
Le leve scattarono, i denti ingranarono. Il congegno si sblocco con un lungo rumore stridente che fece cadere Scuotivento in ginocchio.
La porta si spalanco girando sui cardini forzati. Cauti, i maghi scivolarono fuori.
Duefiori e Bethan aiutarono Scuotivento a rialzarsi. Lui barcollava, grigio in faccia.
— Non male — commento uno dei maghi, osservando da vicino la serratura. — Un po’ lento, forse.
— Lascia perdere! — scatto Jiglad Wert. — Venendo qui, voi tre avete visto qualcuno?
— No — rispose Duefiori.
— Qualcuno ha rubato l’Octavo.
Scuotivento alzo la testa di scatto e i suoi occhi si rimisero a fuoco.
— Chi?
— Trymon…
Scuotivento degluti. — Un uomo alto? Capelli biondi, somiglia a un furetto?
— Adesso che me lo dici…
— Stava nella mia classe — aggiunse Scuotivento. — Dicevano sempre che sarebbe andato lontano.
— E andra parecchio piu lontano se apre il libro — osservo uno dei maghi, che si stava arrotolando in trotta una sigaretta con dita tremanti.
— Perche? Che cosa accadra? — domando Duefiori.
I maghi si scambiarono un’occhiata.
— E un segreto antico, tramandato da mago a mago, e non possiamo trasmetterlo a chi non ha le loro conoscenze — rispose Wert.
— Oh, andiamo.
— Oh be’, probabilmente non ha piu nessuna importanza. Una sola mente non puo contenere tutti gli incantesimi. Crollerebbe e lascerebbe un buco.
— Cosa? Nella sua testa?
— Uhm, no. Nel tessuto dell’Universo. Lui potrebbe credersi in grado di controllarlo da solo, ma…
Percepirono il suono prima ancora di udirlo, inizio nelle pietre come una lenta vibrazione, poi aumento d’improvviso in un gemito cosi acuto da trapassare i timpani e perforare direttamente il cervello. Era simile a una voce umana che cantasse o salmodiasse o gridasse, ma con ipertoni piu bassi e piu orribili.
I maghi impallidirono. Poi, come un solo uomo, si girarono e corsero su per la scala.
All’esterno dell’edificio si era radunata una grande folla. Alcuni reggevano delle torce, altri si erano fermati nell’atto di ammucchiare delle fascine intorno ai muri. Ma tutti avevano lo sguardo alzato alla Torre dell’Arte.
I maghi si fecero strada tra la gente, che non fece caso a loro, e si voltarono anche loro a guardare.
Il cielo era pieno di lune. Ognuna era tre volte piu grande della luna del Disco, e ognuna era in ombra salvo uno spicchio rosato dove batteva la luce della stella.
Ma in primo piano, sulla cima della Torre dell’Arte regnava una frenesia incandescente, nella quale s’intravedevano delle forme confuse, per nulla rassicuranti. Il suono era divenuto un ronzio amplificato un milione di volte.
Alcuni dei maghi caddero in ginocchio.
— Lo ha fatto — disse Wert, scuotendo la testa. — Ha aperto la via.
— Quelle cose sono demoni? — chiese Duefiori.
— Oh, demoni. I demoni sarebbero un picnic, paragonato a cio che sta cercando di farsi strada lassu — esclamo Wert.
— Sono peggio di qualsiasi cosa sia possibile immaginare — aggiunse Panter.
— Quanto a me, riesco a immaginarne di assai brutte — disse Scuotivento.
— Queste sono peggiori.
— Oh!
— E cosa pensate di fare in proposito? — domando una voce con accento deciso.
I maghi si voltarono. Bethan li fissava con aria sprezzante, a braccia conserte.
— Pardon? — disse Wert.
— Voi siete dei maghi, no? Be’, datevi da fare.
— Che? Affrontare quello? — chiese Scuotivento.
— Conosci qualcun altro?
Wert si fece avanti. — Signora, non credo che lei capisca bene…
— Le Dimensioni Sotterranee si riverseranno nel nostro Universo, giusto? — lo interrogo la ragazza.
— Be’, si…
— Saremo divorati tutti da esseri con tentacoli al posto della faccia, giusto?
— Niente di tanto piacevole, ma…
— E voi lascerete semplicemente che cio accada?
— Ascolta — intervenne Scuotivento. — E tutto finito, capisci? Non si possono rinchiudere gli incantesimi dentro il libro, non si puo ritrattare cio che e stato detto, non si puo…
— Si puo
Scuotivento si rivolse a Duefiori con un sospiro. L’amico non c’era. Gli occhi del mago si volsero inevitabilmente verso la base della Torre dell’Arte, appena in tempo per vedere la figura grassoccia del turista, la spada nella mano inesperta, sparire nella porta.
I piedi di Scuotivento presero da soli una decisione, assolutamente sbagliata, dal punto di vista della sua testa.
Gli altri maghi lo osservarono andare.
— Allora? — fece Bethan. — Lui si e mosso.
I maghi evitarono di guardarsi.
Alla fine Wert disse: — Potremmo tentare, suppongo. Pare che quell’orrore non si stia diffondendo.
— Ma praticamente non possediamo piu la magia sufficiente — obietto un altro.
— Hai un’idea migliore, allora?
Uno a uno, i maghi si voltarono e si avviarono verso la torre, le vesti cerimoniali luccicanti in quella luce soprannaturale.
All’interno la torre era vuota, con i gradini di pietra della scala a chiocciola murati nelle pareti. Duefiori era gia un pezzo in su quando l’amico lo raggiunse.
— Aspetta — gli disse, sforzandosi di parlare in tono spigliato. — Una cosa del genere e un lavoro per quelli come Cohen, non per te. Senza offesa.
— Pensi che lui sarebbe all’altezza?
Scuotivento alzo lo sguardo alla luce attinica che filtrava dal foro distante in cima alla scala.
— No — ammise.
— Allora io sarei bravo come lui, non ti pare? — ribatte l’ometto, facendo roteare la spada rubata.
Scuotivento saliva dietro a lui, tenendosi il piu vicino possibile alla parete.
— Tu non capisci! — grido. — Lassu ci sono orrori inimmaginabili!
— Hai sempre detto che io non avevo immaginazione.
— Questo e vero — riconobbe il mago — ma…
Duefiori si sedette.
— Senti — disse. — Ho sperato in qualcosa del genere fin da quando sono venuto qui. Voglio dire, questa e un’avventura, no? Solo contro gli dei e cosi via.
Scuotivento apri e chiuse la bocca diverse volte prima di tirare fuori le parole giuste.
— Sai usare una spada? — chiese debolmente.
— Non lo so. Non ci ho mai provato.
— Sei pazzo!