Evito con un salto di lato un’altra fiammata che dardeggio nell’aria arroventata della notte. Con un sogghigno, Trymon fece un gesto complicato con le mani.

Scuotivento si senti sottoposto a una pressione enorme. Gli pareva che ogni centimetro della sua pelle venisse usato come un’incudine. Cadde in ginocchio.

— Ci sono in serbo molte altre cose peggiori — gli disse Trymon, sempre in tono affabile. — Posso farti bruciare la carne fino alle ossa o riempire di formiche il tuo corpo. Ho il potere di…

— Io ho una spada, sai.

Era una voce che la sfida rendeva stridula.

Scuotivento alzo la testa. Attraverso un velo rossastro di dolore, vide Duefiori che, in piedi dietro a Trymon. reggeva una spada esattamente nella maniera sbagliata.

Trymon scoppio a ridere e flesse le dita. Per un attimo si distrasse.

Scuotivento era in collera. In collera con l’Incantesimo, con il mondo, con l’ingiustizia di tutto, con il fatto che ultimamente non aveva dormito molto e con il fatto che era incapace di ragionare a dovere. Ma piu di tutto era in collera con Trymon, che se ne stava li pieno della magia che lui, Scuotivento, aveva sempre desiderata ma non aveva mai posseduta, mentre l’altro non ci combinava nulla di buono.

Con un balzo in avanti, sferro una testata nello stomaco di Trymon e lo strinse in una morsa disperata. Duefiori fu buttato a terra mentre i due, allacciati, scivolavano sulle pietre.

Trymon ringhio pronunciando la sillaba iniziale di un incantesimo prima che il gomito di Scuotivento lo colpisse selvaggiamente nel collo. Una raffica di magia liberata a casaccio bruciacchio i capelli del nostro amico.

Scuotivento combatteva come aveva sempre fatto, senza nessuna destrezza o lealta o tattica, ma con turbinio di colpi. Una strategia per impedire che l’avversario avesse tempo sufficiente per rendersi conto che in realta lui non era un lottatore molto bravo e nemmeno molto forte. Strategia che spesso funzionava.

Funziono anche in quella occasione, perche Trymon aveva trascorso troppo tempo nella lettura di antichi manoscritti e aveva trascurato un sano esercizio nonche le vitamine. Riusci comunque a piazzare diversi colpi, ma Scuotivento era troppo infuriato per accorgersene. Pero, mentre lui usava soltanto le mani, Scuotivento adoperava anche le ginocchia, i piedi e perfino i denti.

In effetti, stava vincendo.

Per lui fu un vero e proprio shock.

E ancora di piu quando, inginocchiato sul petto di Trymon e colpendolo ripetutamente sulla testa, il viso dell’altro cambio. La pelle s’increspo e ondeggio come qualcosa vista nel riverbero del calore. E Trymon parlo.

— Aiutami!

Per un momento i suoi occhi si alzarono su Scuotivento, spaventati, sofferenti, imploranti. Poi non erano piu occhi. Ma esseri dai molteplici aspetti su una testa che poteva chiamarsi tale soltanto estendendo la definizione al suo estremo limite. Tentacoli, zampe seghettate, artigli si allungarono per strappare dal corpo di Scuotivento una carne gia alquanto scarsa.

Duefiori, la torre, il cielo rosso, tutto svani. Il tempo trascorreva lento, e si fermo.

Scuotivento azzanno un tentacolo che cercava di portargli via la faccia e che, dal dolore insopportabile, lascio la presa. Lui lancio in avanti una mano e senti spezzarsi qualcosa calda e molliccia.

Loro stavano osservando. Scuotivento giro la testa e vide che stava ora lottando sul pavimento di un enorme anfiteatro. Su ciascun lato, file e file di creature lo fissavano, creature i cui corpi e i cui volti sembravano essere il risultato di orribili incubi. Ebbe appena il tempo d’intravedere dietro a se esseri ancora peggiori, ombre enormi che si allungavano nel ciclo velato, prima che Trymon il mostro cercasse di colpirlo con un aculeo uncinato delle dimensioni di una lancia.

Scuotivento fece uno scarto di lato e poi si rigiro con le due mani allacciate in un pugno che colse l’essere nello stomaco, o forse il torace, con un colpo che termino nel gratificante scricchiolio della dura corazza di chitina.

Si scaglio in avanti e lotto, spinto dai terrore di cio che sarebbe accaduto se si fosse fermato. L’arena spettrale risuonava del pigolio delle creature Sotterranee, un muro di suono frusciante che gli martellava le orecchie mentre combatteva. S’immagino quel suono riempire il Disco, e sferro colpo su colpo per salvare il mondo degli uomini, per preservare il piccolo cerchio di luce nella nera notte del caos e chiudere il varco attraverso il quale l’incubo stava avanzando. Ma soprattutto colpiva l’essere mostruoso per evitare di essere colpito a sua volta.

Unghioni o artigli gli disegnarono solchi roventi sulla schiena e qualcosa gli morse una spalla, ma lui trovo un groviglio di tubi molli in mezzo al pelame e alle scaglie e lo serro con forza.

Venne spazzato via da un braccio armato di aculei e rotolo nella polvere nera e granulosa.

Istintivamente si raggomitolo a palla, ma non accadde nulla. Invece dell’attacco furioso che si aspettava, apri gli occhi e vide la creatura allontanarsi da lui zoppicando e sgocciolante liquidi vari.

Era la prima volta che qualcosa fosse mai fuggita da Scuotivento.

Lui si tuffo, afferro una gamba squamosa e la torse. La creatura gli pigolo contro e batte disperatamente l’aria con le appendici che ancora funzionavano, senza riuscire a liberarsi della presa di Scuotivento. Questi si raddrizzo e piazzo un ultimo colpo nell’occhio che le restava. Quella urlo e corse via. E c’era un unico luogo verso il quale potesse correre.

Un clic e il tempo fu ripristinato, riportando indietro e la torre e il cielo rosso.

Non appena si senti sotto i piedi le lastre di pietra, Scuotivento sposto il proprio peso da un lato e si rotolo sulla schiena, tenendo a distanza la creatura che si dimenava frenetica.

— Ora! — grido.

— Ora che cosa? — disse Duefiori. — Oh, si. Giusto!

Roteo la spada con mano inesperta ma con una certa forza, manco di poco l’amico, e la conficco dentro la Cosa. Un ronzio stridente, come se avesse fracassato un vespaio, un agitarsi confuso di braccia, zampe, tentacoli nel parossismo del dolore. La creatura rotolo ancora, urlando e sferzando le pietre. Continuo ancora a sferzare, ma a vuoto ormai, perche ruzzolo giu per la scala, portando con se Scuotivento.

Rimbalzo prima con un tonfo giu per pochi gradini di pietra, quindi si udi in distanza un urlo che si andava via via affievolendo, mentre precipitava nelle profondita della torre.

Alla fine segui un’esplosione soffocata e il lampo di luce dell’ottarino.

Duefiori ormai era solo in cima alla torre… solo, cioe, salvo che per i sette maghi tuttora immobili come congelati sul posto.

L’ometto, seduto, contemplava stupefatto sette palle di fuoco levarsi dall’oscurita e immergersi nell’Octavo, che giaceva abbandonato, e che improvvisamente ritorno quello di un tempo e assai piu interessante.

— Oh, povero me — esclamo il turista. — Suppongo che siano gli Incantesimi.

— Duefiori. — La voce risuonava cavernosa, appena riconoscibile per quella di Scuotivento.

La mano di Duefiori, che stava per prendere il libro, s’immobilizzo.

— Si? Sei… sei tu, Scuotivento?

— Si — rispose la voce, che pareva provenire dalla tomba. — E desidero che tu faccia per me una cosa molto importante, Duefiori.

Questi si guardo intorno e riprese animo. Cosi, dopo tutto, il fato del Disco sarebbe dipeso da lui.

— Sono pronto — affermo con la voce vibrante d’orgoglio. — Che vuoi che faccia?

— Anzitutto, voglio che mi ascolti con grande attenzione — rispose pazientemente la voce disincarnata del mago.

— Ti ascolto.

— E molto importante che, quando ti dico cosa fare, tu non mi rispondi 'Cosa intendi?' o ti metti a discutere o altro, capito?

Duefiori si mise sull’attenti. Almeno, la sua mente si mise sull’attenti, perche al suo corpo era impossibile. Sporse in fuori diversi dei suoi doppi menti.

— Sono pronto — dichiaro.

— Bene. Ora, cio che desidero tu faccia e…

— Si?

La voce di Scuotivento veniva su dalla tromba della scala.

— Voglio che vieni ad aiutarmi prima che io perda la presa su questa pietra.

Duefiori apri la bocca e subito la richiuse. Corse a guardare giu dall’apertura quadrata. Alla luce rossastra della stella, riusci a vedere soltanto gli occhi dell’amico alzati verso di lui.

Duefiori si sdraio a terra bocconi e allungo una mano. Quella di Scuotivento gli afferro il polso con tanta forza da fargli capire che, se l’amico non veniva tirato su, allora in nessun modo la sua presa si sarebbe allentata.

— Sono contento che sei vivo — gli disse.

— Bene. Io pure — replico Scuotivento.

Rimase per un po’ a penzolare nel buio. Dopo gli ultimi pochi minuti era una sensazione quasi piacevole, ma soltanto quasi.

— Allora tirami su — gli consiglio.

— Secondo me, potrebbe essere un po’ difficile — borbotto Duefiori. — In realta, non credo di farcela.

— Allora che cosa stai reggendo?

— Te.

— Intendo, oltre me.

— Che vuoi dire, oltre te? — chiese l’ometto.

Scuotivento pronuncio una parola.

— Be’, guarda — ribatte Duefiori. — I gradini formano una spirale, esatto? Se io ti faccio dondolare e poi tu ti lasci andare…

— Se mi suggerisci che io tenti di lasciarmi cadere da sei metri giu in una torre nera come la pece nella speranza di atterrare su un paio di gradini piccoli e scivolosi, che potrebbero anche non esserci, te lo puoi scordare — protesto seccamente il mago.

— Allora c’e un’alternativa.

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