Dentro quella specie di bara, dovetti strisciare a piedi in avanti per raggiungere Singer. Via via che mi allontanavo dalla mia lampada, si faceva rapidamente piu buio. Quando feci scattare lo scafandro di Singer, una zaffata di fetore caldissimo mi investi in piena faccia. Nella luce fioca, aveva la pelle paonazza e piena di macchie. La respirazione era superficiale, e vedevo le palpitazioni del cuore.

Per prima cosa sganciai i tubi dell’evacuazione — una faccenda molto sgradevole — e poi i biosensori; e quindi ebbi il problema di estrargli le braccia dalle maniche.

Farlo da soli e molto facile. Ti giri e ti rigiri da una parte e dall’altra, e le braccia vengono fuori. Ma farlo dall’esterno e tutta un’altra faccenda: dovevo girargli il braccio e poi infilare sotto la mano e muovere di conserva il braccio dello scafandro… e ci vuole molta forza per una simile manovra.

Quando fui riuscito a tirargli fuori un braccio, tutto divento piu facile; mi limitai ad avanzare strisciando, misi i piedi sulle spalle dello scafandro, e lo tirai per il braccio gia libero. Lui scivolo fuori dall’involucro, come un’ostrica che esce dal guscio.

Aprii lo scafandro di scorta e con un mucchio di spinte e strattoni riuscii a infilargli dentro le gambe. Agganciai i biosensori e il tubo d’evacuazione anteriore. L’altro avrebbe dovuto metterselo da solo: e troppo complicato. Per l’ennesima volta, mi dissi che era una fortuna non essere nato femmina; le donne devono portare due di quegli stramaledetti cateteri, invece di uno solo piu un semplice tubo.

Lasciai le braccia di Singer fuori dalle maniche. Lo scafandro sarebbe stato comunque inutile per qualunque genere di lavoro: i waldo devono venire adattati su misura a ogni individuo.

Singer sbatte le palpebre. — Man… della. Dove… cavolo…

Glielo spiegai, adagio, e lui sembro capire quasi tutto. — Adesso devo chiuderti, quindi infilarmi nello scafandro. Diro alla squadra di tagliare l’estremita di questo scatolone e poi ti tirera fuori. Capito?

Egli annui. Era uno strano spettacolo: quando annuisci o scrolli le spalle dentro a uno scafandro, quel gesto non comunica affatto il suo significato.

Mi infilai nel mio scafandro, agganciai tutto quello che c’era da agganciare e con un colpo di mento attivai la frequenza generale. — Doc, credo che si stia riprendendo. Adesso tirateci fuori di qui.

— Provvediamo. — Era la voce della Ho. Il ronzio dell’unita ambiente fu sostituito da un cicalio, poi da una pulsazione. Evacuavano la cabina per evitare un’esplosione.

Un angolo della saldatura divento rovente, poi incandescente, e un luminoso raggio cremisi entro, come una lancia, passando a una trentina di centimetri dalla mia testa. Mi rannicchiai per scostarmi il piu possibile. Il raggio risali lungo la saldatura e intorno ai tre spigoli, fino al punto di partenza. L’estremita della cabina cadde, lentamente, trascinando dietro di se filamenti di permaplastica sciolta.

— Mandella, aspetta che torni a indurirsi.

— Non sono tanto stupido, Sanchez.

— Ecco, vai. — Qualcuno mi getto una fune. Cosi sarebbe andata molto meglio che se avessi dovuto trascinarlo fuori da solo. Feci passare un lungo tratto sotto le braccia di Singer, e poi glielo annodai dietro al collo. Quindi mi trascinai fuori per aiutare gli altri a tirare, il che era sciocco… c’era gia una dozzina di persone pronte a cominciare.

Singer ne venne fuori sano e salvo, e si stava addirittura tirando su a sedere, quando Doc Jones ando a leggergli i dati. Tutti venivano a chiedermi com’era andata e a congratularsi con me, quando all’improvviso la Ho disse: — Guardate! — e tese il braccio verso l’orizzonte.

Era un’astronave nera, che arrivava a tutta velocita. Ebbi appena il tempo di pensare che non era giusto, che non dovevano attaccarci fino agli ultimi giorni, e l’astronave ci arrivo sopra la testa.

9

Ci buttammo tutti al suolo, istintivamente, ma l’astronave non attacco. Accese i razzi frenanti e scese, atterrando sui pattini. Poi si giro slittando e venne a fermarsi vicino al sito della costruzione.

Tutti avevano gia capito, e se ne stavano li intorno, vergognandosi, quando dall’astronave uscirono due figure chiuse negli scafandri.

Una voce ben nota gracchio sulla frequenza generale. — Ognuno di voi ci ha visti arrivare, e non uno di voi ha fatto fuoco con il laser. Non sarebbe servito a niente, ma avrebbe almeno dimostrato un po’ di spirito combattivo. Avete a disposizione una settimana o meno prima che si faccia sul serio, e siccome il sergente e io saremo qui, io pretendo che dimostriate un po’ piu di volonta di vivere. Facente funzione di sergente Potter.

— Qui, signore.

— Sceglimi dodici persone per caricare. Abbiamo portato cento piccole robosonde per allenarvi al tiro al bersaglio, in modo che abbiate almeno qualche possibilita di combattere quando arrivera un bersaglio vivo.

'Adesso muovetevi. Abbiamo solo trenta minuti, prima che l’astronave ritorni a Miami.'

Io controllai, e in realta rimase per una quarantina di minuti.

Avere li il capitano e il sergente in realta non cambiava di molto la situazione: eravamo egualmente abbandonati a noi stessi: quei due si limitavano a osservare.

Una volta sistemato il pavimento, basto un giorno soltanto per completare il bunker. Era un rettangolo grigio, privo di aperture, a parte la bolla del vano stagno e quattro finestre. Sul tetto era montato un laser da un megawatt, girevole. L’operatore — non era possibile chiamarlo 'cannoniere' — stava su un sediolo e stringeva con entrambe le mani gli interruttori del tipo detto 'a uomo morto'. Il laser non avrebbe sparato, finche lui avesse stretto uno degli interruttori. Se li avesse mollati, il laser si sarebbe puntato automaticamente su qualunque oggetto aereo in movimento e avrebbe sparato a volonta. All’intercettazione primaria e al puntamento provvedeva un’antenna alta un chilometro, montata accanto al bunker.

Era l’unico sistema che avesse qualche probabilita di funzionare, dato che l’orizzonte era cosi vicino e i riflessi umani erano cosi lenti. Non era possibile ricorrere all’automazione completa, perche in teoria potevano anche avvicinarsi astronavi amiche.

Il computer di puntamento poteva scegliere anche tra dodici bersagli che comparissero simultaneamente, sparando per primi a quelli piu grossi. E li avrebbe centrati tutti e dodici nello spazio di mezzo secondo.

L’installazione era parzialmente protetta dal fuoco nemico a mezzo di un efficiente strato ablativo che copriva tutto, tranne l’operatore umano. Ma d’altra parte, quelli erano interruttori del tipo 'a uomo morto'. Un uomo solo, lassu, a vegliare sugli ottanta che stavano dentro. Nell’esercito sono bravissimi, con questo tipo di aritmetica.

Quando il bunker fu completato, una meta di noi rimase sempre li dentro (ci sentivamo molto bersagli) e si faceva a turno a far funzionare il laser, mentre l’altra meta usciva per le manovre.

A quattro chilometri circa dalla base c’era un grosso 'lago' di idrogeno ghiacciato; una delle nostre manovre piu importanti consisteva nell’imparare a muoverci su quella roba pericolosissima.

Non era troppo difficile. Non potevi starci sopra in piedi, quindi dovevi sdraiarti sul ventre e slittare.

Se avevi qualcuno che ti dava la spinta iniziale, mettersi in moto non costituiva un problema. Altrimenti, dovevi brancicare con le mani e con i piedi, spingendoti con tutta la forza possibile, fino a quando cominciavi a muoverti, a piccoli balzi. Una volta messo in moto, continuavi ad andare fino a quando c’era ghiaccio. Potevi sterzare un po’ premendo forte mano e piede dalla parte giusta, ma in quel modo non ce la facevi a rallentare e a fermarti. Quindi la cosa migliore era non andare troppo forte e mettersi in modo che non fosse l’elmo a subire l’urto al momento dell’arresto.

Facemmo tutto quello che ci avevano fatto fare nell’emisfero di Miami: esercitazioni con le armi, demolizione, schemi d’attacco. Lanciammo anche le sonde verso il bunker, a intervalli irregolari. E cosi, dieci o quindici volte al giorno, gli operatori dovevano dimostrare la loro abilita lasciando andare le maniglie non appena si accendevano le luci che segnalavano il nemico in avvicinamento.

Feci anch’io un turno di quattro ore, come tutti gli altri. Ero nervoso, fino al primo 'attacco', quando mi resi conto che in realta era una cosa da niente. La luce si accese, io lasciai andare gli interruttori, il cannone si punto, e quando la sonda fece capolino sopra l’orizzonte… zzt! Un bel tocco di colore, quel

Вы читаете Guerra eterna
Добавить отзыв
ВСЕ ОТЗЫВЫ О КНИГЕ В ИЗБРАННОЕ

0

Вы можете отметить интересные вам фрагменты текста, которые будут доступны по уникальной ссылке в адресной строке браузера.

Отметить Добавить цитату