— Sono la Lucciola perche la luce del sole dona vita a ogni cosa sulla Terra e io ho piu vitalita di ogni altro essere, per questo emano una mia luce. Vado per la mia strada. Sono la Lucciola.
— John! John, sei qui? Mi puoi aiutare?
— Matthew! — Voce molto, molto lontana. Non riuscivo a vedere. — Svegliati! Non puoi. Non puoi. — Voce frignante.
— Sei felice? — Un urlo nel mio orecchio. La mia voce.
— Felice?
— Felice?
Gridai in preda all’angoscia. Improvvisamente l’aria divenne immobile e vuota. Tutte quelle voci immateriali erano state spazzate via. C’era un silenzio profondo, cimiteriale. Guardai in alto. Non vi era niente laggiu (dove?), percio mi alzai. Nessuno in vista. Guardai la grande porta spalancata li vicino.
C’era scritto a caratteri marcati USCITA.
Affascinato, rimasi a fissare l’apertura buia. Mi avvicinai e guardai nell’oscurita oltre la porta, ben attento a non oltrepassare la soglia.
Con esitazione allungai un piede.
Una voce severa disse: — Non potete passare di li, signore. E a senso unico.
— Voglio uscire.
— Spiacente, signore. Non vedete che sulla porta c’e scritto chiaramente USCITA?
— Ma e quello che voglio fare. Ci fu silenzio.
— Signore? — disse educatamente la porta.
— Si? — risposi speranzoso.
— Chiudete gentilmente la porta. Vi prego di notare che USCITA e dalla parte interna. Non potete uscire da qui.
— Ma voglio tornare indietro.
— Non c’e luce la.
— Emano la mia.
— Mi spiace, signore. E impossibile.
— Voglio fuggire.
— Non ci proverei se fossi in voi, signore.
— E cosi tu non ci proveresti. Che me ne importa?
— Niente, signore, e questo il problema. Fuggire non serve a niente, signore.
— Sono Matthew, non John.
— Non importa quale sia o non sia il vostro nome, signore. — Ancora silenzio. Provai a spingere la porta ma era chiusa. Questo non era giusto.
Cercai di ricordare se avevo visto che si apriva, ma non vi riuscii, ne riuscii a ricordare se si era chiusa.
Mi sedetti e piansi silenziosamente. La parola USCITA risplendeva muta. Mentre le lacrime mi velavano la vista, gli occhi mi si aprirono e una luce di lanterna squarcio l’oscurita.
— Matthew — disse John con apprensione. — Stai bene?
— Bene, bene — borbotto in sottofondo il nano, con la voce roca. — Com’e stato? Soddisfatto, eh? Ci scommetto. Ti e piaciuto?
— Mi hai ingannato! Non era vero, non c’era niente di vero. E stata tutta una frode. Ti uccidero! — Mi resi conto che la voce era la mia.
John si sedette accanto a me e mi afferro per le spalle. — Matthew, e tutto a posto. Era una droga. Non e stato fatto del male a nessuno. Ho visto gli altri, una cinquantina di persone. Tutte sognavano cose piacevoli. Non c’e niente di cui preoccuparsi.
Sul mio braccio intorpidito, la clave era entrato l’ago, c’era il segno di una puntura.
— E stato bello? — farfuglio il nano. — Non fa male. E solo una droga. E innocua. Piace a tutti. E stato bello? Rende la gente felice. E stato bello? — Le parole gli scaturivano dalla bocca come un torrente gorgogliante.
— Sta’ zitto o ti taglio la gola! — disse John in un sibilo.
— Una fuga — mormorai. — E che fuga!
— Va’ a dormire ora. Io terro d’occhio questo qui. Se gli hai fatto del male — lo sentii dire al nano — ti uccido.
— No — piagnucolo impaurita la creatura. — Li salvo, non faccio loro del male. Da loro stessi, capisci? Dalla loro debolezza e dalla loro inutilita. Gliene do un po’ per farli contenti. Perche non vuoi essere felice? Perche non ne vuoi?
— Perche e tutto falso. E tutto irreale.
— Cosa non lo e? — udii dire il nano.
John mi stese sul letto e dormii.
Senza sogni, immagino.
8. Il crocevia del mondo
Quando mi svegliai era di nuovo giorno, ma la lampada in mezzo alla stanza era ancora accesa. Alla luce del sole la camera sembrava anche piu squallida rispetto alla sera precedente. Le pareti erano macchiate e gli angoli incrostati di sporcizia e ragnatele. Il vecchio battiscopa era incrinato e curvo e si staccava dalle pareti. I letti, incavati al centro, avevano coperte vecchie e sporche.
John era sdraiato sul letto a fianco a me, la testa accanto ai miei piedi, mentre i suoi penzolavano a qualche centimetro dal pavimento. Stava dormendo. Mi misi a sedere lentamente e John si sveglio all’improvviso con un sobbalzo e si guardo intorno.
— Mi dispiace — disse. — Non volevo addormentarmi.
— Poco male — risposi. Mi tastai il braccio. Sentivo ancora una vaga sensazione di dolore e mi arrotolai la manica per esaminare la ferita. Vidi un livido arrossato e un leggero gonfiore, ma avevo temuto di peggio.
— Spero solo che l’ago fosse pulito — borbottai.
— Vuoi restare qui un po’ per accertarti di stare bene? — domando John.
— Qui? — dissi guardandomi attorno con teatrale disgusto.
— Nel paese — si corresse John.
Lo guardai attentamente. Era sincero. Oggi, o al piu tardi domani, saremmo giunti a Hawkeyrie, eppure John voleva aspettare un altro giorno.
— No — risposi. — Sto bene.
— Sicuro?
— Sicuro. E ora andiamocene da qui.
Mi alzai con cautela, ma non risentivo di postumi della droga. Avevo mente lucida e movimenti normali.
Anche John si alzo e mi apri la porta: uscii dalla stanza sul pianerottolo. Anche li le lampade erano ancora accese, ma erano necessarie, perche il corridoio non aveva finestre.
Scendemmo cercando di non far rumore. Gli scalini scricchiolarono e gemettero sotto il nostro peso, e quando arrivammo ai piedi della scala trovammo ad aspettarci il nano. Anche lui aveva un aspetto peggiore alla luce del giorno: era meno spaventoso, ma nauseante. Aveva la faccia storta e teneva la testa inclinata in modo singolare. Le labbra erano grosse e unte, gli occhi ravvicinati e sempre in movimento.
— Pagate, si? — sussurro, col tono di chi non ci conta troppo. Gli passai accanto e aprii i chiavistelli della porta.
Mi voltai giusto in tempo per vedere John sputare per terra.
— Eccoti pagato! — esclamo. Aveva gli occhi infocati e sembrava essere sul punto di commettere un omicidio.
— Andiamo — dissi con calma.