— E va bene. Andro da solo.

Il nano, con la lampada in mano, si era incamminato lungo il corridoio e, saliti i primi tre gradini di una scala, si era voltato per aspettarci. John gli ando dietro e io lo seguii pieno di paura per quel che poteva accadere.

Rimpiansi che John non avesse con se la balestra, per quanto quell’aggeggio poco maneggevole difficilmente ci sarebbe stato utile li dentro. Le chiazze di umidita sul soffitto gocciolavano, scarafaggi e millepiedi, spaventati dalla luce, tornavano a nascondersi strisciando nelle fessure. Passammo davanti a parecchie stanze dalle cui porte filtrava una pallida luce. Fui felice di notare che le porte non avevano ne serrature ne chiavistelli esterni.

Finalmente, dopo circa tre piani, il nano apri una porta e ci introdusse in una stanza quadrata e, a parte due letti, senza mobilio. Tirai un respiro di sollievo. Dopotutto era possibile che la strana creatura ci stesse semplicemente offrendo un letto per la notte? Alla luce fioca della lanterna mi accorsi che John era vagamente deluso.

Il nano poso la lampada sul pavimento e usci dalla stanza. Chiusi la porta.

— Bene — dissi. — Che ne pensi?

— Non ti stanchi mai di fare sempre la stessa domanda? — rispose John, seccato. — Sai esattamente quello che so io!

— Ma eri tu che parlavi con lui — protestai. — Devi esserti fatto un’opinione a proposito di quello che intendeva fare. Diavolo, e stata una tua decisione!

John alzo le spalle. — Non ne ho la minima idea — ammise. — Ma non c’e niente di sbagliato a volerlo scoprire.

— Oh, no! — dissi. — Proprio niente. Ci accolgono cosi ovunque andiamo. Dove altro potremmo mai trovare dei letti per la notte?

— Ah, ah — rispose per nulla divertito.

— E cos’era tutto quel parlare di fuga?

— Non lo so. Sei sicuro che abbia detto “fuga”?

— Se sono sicuro? Sei tu quello che voleva…

— Oh, sta’ zitto! — disse, e si lascio cadere su uno dei letti. Lo tasto con sospetto. — Be’ — annuncio — forse non sara pulito, ma non c’e niente che striscia. Sembra che la gente di montagna usi il sapone. Sono stanco.

Rinunciai a discutere, mi sedetti sull’altro letto e lo guardai. John finse di non badare a me e fece di tutto per farmi credere che si stava preparando per dormire. Imprecai silenziosamente e mi sdraiai osservando il soffitto dipinto, tentando ancora di capire cos’era successo.

— Spengo la lampada? — mi chiese John.

— No! — risposi con una sorta di grugnito rammentandomi delle luci che risplendevano in tutte le altre stanze. Mi misi nuovamente a sedere.

Il nano rientro nella stanza, con la sua andatura dinoccolata, tenendo in mano qualcosa. Non riuscii a vedere cosa fosse perche si mise davanti alla luce restando in ombra.

— Sta’ fermo — disse, e mi trafisse.

Impiegai un tempo irragionevolmente lungo a capire che cos’era accaduto: il nano mi aveva conficcato nel braccio qualcosa di appuntito. Ma l’atteggiamento dell’uomo era insolito per un assassino. Il nano si comportava come se avesse fatto una cosa normalissima. Si volto e si diresse verso l’altro letto. Passarono cinque o sei secondi prima che reagissi.

— Ehi! — urlai. Poi, rivolgendomi a John: — Sta’ attento!

— Tutto a posto — diceva intanto il nano, scostando la mano di John. — Fermo, per l’amor di Dio!

— Che stai facendo? — ringhiai con tono minaccioso, e mentre tentavo di alzarmi mi accorsi di avere la voce orribilmente impastata. — Lascialo stare!

All’improvviso avvertii un dolore acuto e un gran caldo. Confusamente vidi John colpire il nano con un calcio in faccia e strappargli di mano lo stiletto. Poi…

Scese una fitta nebbia di corpuscoli scintillanti d’oro e d’argento, e ogni suono scomparve. In quel pulviscolo fluttuavano minuscole moltitudini di fili invisibili che mi aderivano al cranio e mi penetravano nelle pulsanti circonvoluzioni del cervello. Riuscivo a udire il cuore che come un tamburo batteva all’impazzata coprendo col rumore i miei pensieri convulsi. Poi il battito si affievoli, e una sensazione di pace invase i miei timpani eccitati cancellando la rabbia e quel dolore acuto e penetrante al braccio.

Sentii la testa scendere sempre piu giu, come se andasse scomparendo attraverso la gola e le viscere. Nei miei occhi esplosero dei colori che scintillavano in un vortice di arcobaleni, ondeggiavano e oscillavano.

Mi trovavo su una collinetta erbosa e intorno a me si estendeva una grande citta articolata in modo bizzarro. Luccicava e risplendeva nella luce avvolgente del sole alla stessa stregua dei colori. Un milione di finestre ornate di tendine riflettevano la luce come tante facce di un diamante opaco.

Era tutto cosi bello, cosi meraviglioso.

Lo sgomento s’impadroni della mia mente impedendo il fluire dei pensieri. Ero completamente in balia di un impulso emozionale travolgente e mai sperimentato prima. Il mio debole cuore era dolorante per lo sforzo e cominciai a piangere.

Le pareti, miliardi di lucide pareli metalliche, vibravano al suono di una segreta melodia producendo un movimento che mai avrei immaginato potesse esistere. Tutta la gente del mondo radunata in una sola piazza a ballare e a muoversi freneticamente non avrebbe prodotto nemmeno la meta del movimento che animava la citta.

Sulla citta si libravano scintille luccicanti simili a fuochi d’artificio o a un enorme stormo di colibri. La testa mi girava per l’immensita delle costruzioni e della vita e della gente. Un uomo venne in mio aiuto.

— Scusate — dissi — potete dirmi che anno e questo? — Sapevo che la data non avrebbe significato nulla per me, ma desideravo assaporarne il suono nelle orecchie. L’uomo ignoro la mia domanda. Non riuscivo a vedergli la faccia.

— Ricorda — mi sussurro una voce fredda e vicina — che le cose che non capisci non sono necessariamente bugie.

Mi voltai di scatto. — Queen della locanda del Lupo rosso! — La donna rise fragorosamente con gioia isterica e rimpiccioli, come portata via da un paio d’ali.

— Questa citta aveva tutto. Un giorno apparterra ai gatti, ai topi e ai pipistrelli. Sara allora che io e la mia specie raggiungeremo l’infinito.

Mi voltai verso un uomo incredibilmente vecchio che si stava trasformando in gigante. Dissi con voce stridula rivolgendomi a me stesso: — Sei Dio? Chi te l’ha detto?

— Il mio fuoco e piccolo, ma non ti consuma con il suo calore — disse dal cielo il padre Sole, poi scomparve, consegnando il mondo alla notte.

— Non aver paura, Lucciola — disse una nuova voce. — Ci pensera il nostro guerriero.

— Ma non sono la Lucciola — protestai. — Sono Matthew.

— Ti voglio bene — disse la mia ombra.

— Volete fuggire? Volete fuggire? — Era la voce del nano.

— A volte bisogna tacere.

— Alvaro!

— Vedi, per conquistare devi fare in modo che quella cosa diventi parte di te. Non possiamo dire quanto crescera l’albero o se mai si fermera. Il nostro tempo e finito, John.

— Non sono John, sono Matthew.

— Non fate altro che prendervi gioco di me. Non potrete mai conoscere la verita.

— Alvaro, ti prego, aiutami!

Nessuna risposta.

— Chi sei, candela?

Una debole voce. Nessuno nelle vicinanze.

— Dove stai andando?

— Chi sei?

— Tutto il mondo e felice.

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