7. Il sogno
Alvaro ci lascio la mattina seguente, dopo essersi profuso in mille scuse per aver fatto troppo a lungo affidamento sulla nostra carita. Mi dispiacque vederlo partire. Mi era simpatico, quell’ometto, nonostante tutte le discussioni in cui ci aveva coinvolto. Perfino John non fu molto contento d’essersi liberato di quella particolare seccatura… e lui di solito preferiva evitare il piu possibile ogni fastidio.
Mentre ci salutava da lontano, Alvaro grido qualcosa che aveva a che fare con l’augurio di rivederci un giorno o l’altro. Ormai eravamo in mezzo alle montagne, sopra la linea che delimitava la zona boschiva, circondati da un paesaggio di nuda roccia e da un vento gelido e sibilante. La strada proseguiva ed era piu visibile, non perche fosse frequentata, ma perche vi erano meno piante selvatiche a invaderla e ricoprirla.
Non mi piaceva quel paesaggio monotono e lugubre, tutto creste, pareti rocciose e pietraie. Ma per John era indifferente, lo considerava semplicemente parte di un mondo pieno di desolazione.
Sapevamo di aver quasi raggiunto l’uomo che stavamo seguendo. Si muoveva ancora lentamente, e ormai eravamo cosi lontani da qualsiasi altro paese civile che la sua destinazione divenne certa. A est del gigantesco Picco dei Dolori c’erano tre dirupi posti a forma di triangolo equilatero: il Picco dell’Ira, il Picco delle Tempeste e il Picco Tonante. Sulle pendici di quest’ultimo sorgeva il villaggio di Hawkeyrie, al quale il nostro uomo era ritornato non piu di tre giorni prima del nostro passaggio. Le speranze di John erano grandi, e anch’io pregustavo quest’attesa che anticipava la fine della nostra ricerca.
C’era solo un altro villaggio tra noi e Hawkeyrie, un unico posto dove riposare ancora una notte. Poi Hawkeyrie e la meta finale.
Al crepuscolo ci ritrovammo a percorrere con un certo fragore la discesa sassosa che conduceva al villaggio, il cui nome non avemmo mai modo di scoprire. Dalla strada principale si poteva facilmente scorgere il piu vicino dei picchi, il Picco delle Tempeste, mentre il Picco Tonante era visibile spostandosi poco oltre il lato sinistro della strada.
Non riuscimmo invece a vedere la valle tra i tre picchi che avremmo percorso l’indomani. Avevamo sentito dire che era perennemente avvolta dalla nebbia e che gli abitanti delle montagne, quando desideravano andare a Hawkeyrie, sceglievano la via piu ardua: le vette. Naturalmente Darling avrebbe dovuto procedere lungo la strada, e quindi non potevamo seguire esattamente il percorso dell’uomo che viaggiava nel tempo. Ma ne io ne John avevamo paura di una valle ammantata di nebbia, sebbene la superstiziosa gente di montagna ne parlasse con riluttanza.
C’erano delle luci che risplendevano lungo la strada principale e le tre strade laterali, e io associai subito quelle piu in alto alla presenza di una locanda e di un letto per la notte. Mi fermai davanti a un edificio a piu piani con numerose finestre. Non aveva insegne, cosa piuttosto strana dal momento che le locande erano anche quasi sempre taverne, e solitamente le taverne avevano dei nomi, ma al momento non feci questa riflessione e smontai per bussare alla porta. John lego Darling a un palo sulla strada e mi raggiunse proprio mentre scoprivo con sorpresa che la porta non si apriva.
Eravamo entrambi molto stanchi e poco lucidi.
Anche John provo a spingere la porta, poi scrollo le spalle e busso con forza. Per alcuni secondi ci guardammo, incerti su cosa fare: quella non era una taverna ne una locanda per viaggiatori. Poi una faccia smunta emerse dall’oscurita e ci scruto con occhi assonnati.
— Accidenti a me — disse l’uomo. — Stranieri, perdio. Ebbene? — La sua voce era roca e sibilante per la mancanza di alcuni denti.
— Scusateci — cominciai a dire. — Volevamo una stanza per la notte e abbiamo scambiato casa vostra per una locanda.
— Eh? — disse l’altro in tono interrogativo. Non riuscivo a capire se non aveva sentito o se era soltanto stupido.
— Una stanza per la notte — disse John. — Ce l’avete?
Le palpebre si abbassarono ulteriormente e la porta comincio a chiudersi. Poi il vecchio, come se avesse cambiato idea, la riapri. — Nome? — s’informo.
— John, la Lucciola.
— Eh?
— La Lucciola. Lui e Matthew, mio fratello.
— Oh!
Segui una lunga pausa, durante la quale cercammo di capire che cosa potesse ancora richiedere il vecchio.
— Ah! — esclamo costui alla fine, come se avesse preso una decisione. — Volete evasione?
John rispose di si, forse perche la interpreto come una domanda riguardo al suo desiderio di fuga dal mondo.
— Tipo prudente — commento il vecchio. — Non ti ho mai visto prima. Non so chi vi ha mandati. Dentro!
Spalanco la porta. Ero sicuro che ormai il nostro dialogo generasse solo equivoci; ma John era gia entrato in casa e allora lo imitai.
La porta sbatte alle mie spalle ed entrambi i chiavistelli si chiusero minacciosamente. Per un attimo mi domandai chi o che cosa intendessero tenere fuori… o dentro.
Si accese una lampada e quel vecchiaccio ci guardo sfoderando un bel ghigno che mostro tre molari marci e gengive consumate. Ebbi un sussulto e desiderai che non fossimo mai entrati.
— Accomodatevi — ci disse come se fossimo suoi amici di vecchia data. — Abbiamo gia cominciato. Proprio quello che fa per voi. — Si fermo improvvisamente. — Potete pagare, vero?
— Per la stanza? — domando John.
L’altro sorrise nuovamente. — Tutto compreso — disse.
— Tutto cosa?
— Tutto? Tutto? — borbotto il vecchio in maniera quasi incomprensibile. — Cristo, amico. Vuoi evasione o no?
John si illumino sentendo parlare per la seconda volta di evasione, e la sua mente ritorno alla solita idea fissa. — Potete portarmi indietro nel tempo?
— Indietro nel tempo, avanti nel tempo, dall’altra parte del tempo. Qui, la o dovunque vogliate. Avete i soldi?
— Potete provare quello che dite? — chiese John. Eravamo entrambi sconcertati. Ovviamente non era l’uomo che viaggiava nel tempo, pero sembrava offrirci una fuga nel tempo. Alla richiesta di una prova, il nanerottolo parve confuso. John si volto verso di me e sollevo una mano per indicare la porta sprangata. Di colpo l’altro si agito.
— Pagherete piu tardi — disse. — Non andatevene.
— Piu tardi? — ripete John incredulo. — Volete dire dopo?
— Usciamo di qui — dissi.
Ma il nano copri le mie parole. — D’accordo, va bene. Dopo, piu tardi, quando avete finito.
John era perplesso, ma profondamente incuriosito.
— Potro andare ovunque vorro? — chiese.
— “Ovunque” — sottolineo il nano. — Ci puoi portare anche il tuo maledetto cavallo, per quel che me ne importa.
— Fateci strada — disse John.
— No! — protestai.
— Oh, via — disse John. — Sei il doppio di lui. Cosa potra farci?
Per quel che ne sapevo poteva avere cinquanta fratelli al piano di sopra. Mi ricordai della luce alle finestre. Stava accadendo “qualcosa”, ma la curiosita non mi avrebbe spinto in trappola.
— No — dissi.
John mi afferro per un braccio e mi tiro, ma io feci resistenza.
— Senti — disse. — Cosa puo succedere? Non vuoi saperlo?
— No.