trascinata violentemente dalla lava fusa, va a colmare la nuova valle. Una seconda ondata si diparte dall’imboccatura piu vicina della valle e avanza a una velocita spaventosa all’impatto che fara tremare il mondo. Mentre corrono verso la reciproca distruzione, le creste delle onde di lava scagliano in aria grandi massi. Le estremita scorrono piu velocemente e i fronti d’onda s’incurvano. Le vaste pareti diventano sempre piu ripide mentre la valle si spacca sotto la loro pressione.
Poi i due fronti si scontrano producendo uno stupefacente schizzo di fiamme colorate. All’orizzonte osserviamo l’esplosione di una catena montuosa che in segno di sfida scaglia tutta la sua rabbia verso un sole troppo lontano. Alla nostra sinistra si apre una fenditura nella valle e la lava comincia a riversarsi nelle sue invisibili profondita. I bordi della voragine si sgretolano e l’abisso si richiude.
Lampi accecanti sezionano un orizzonte sempre piu scuro. Guglie e pinnacoli di granito vacillano e si schiantano a terra. In cielo vediamo il riflesso rabbioso di un grande incendio che continua ad avanzare velocemente verso di noi propagandosi su entrambi i lati. Vediamo le fiamme agitarsi sopra le ferite scoppiettanti della crosta terrestre. Vediamo le volute e i vortici di un fumo rosso e ciclonico levarsi dalle fiamme turrite.
E il potente vento, compagno dell’incendio, ci trascina via dalla nostra postazione privilegiata scagliandoci lontano dallo spettacolo dell’agonia della Terra, impedendoci cosi di assistere alla quiete che segue ogni tempesta, quando le spore nelle nuvole di polvere si poseranno sulla superficie terrestre per cominciare una nuova vita.
— E troppo tardi — dice John.
— Cosa vuoi dire?
— Non sono abbastanza in forze, Matthew.
— Ti portero io.
— Non cambierebbe nulla.
— Deve cambiare.
— E finita, Matthew. Sto morendo.
— No.
— Come Xavier, come Joaz.
— No. — Sono in lacrime.
— Ora sei l’unico, Matthew.
— Non posso rimanere solo.
— Devi proseguire. Devi vedere quello per cui siamo venuti.
— Non mi lasciare, John.
— Sto morendo, Matthew.
— Non ancora. Ti prego, non ancora.
E disteso sul terreno incrostato di bava bianca e cremosa, gonfio come una vescica e bluastro come un livido. Provo un’irreprimibile senso di repulsione, mentre lo guardo dibattersi lentamente sul ventre molle e putrido.
Le braccia, simili a filamenti viscidi e gonfi, si irradiano dal corpo e penzolano come festoni ingarbugliati nell’acqua stagnante di una pozza a poca distanza. Sono coperte di verruche di un intenso color azzurro cielo e cosparse d’innumerevoli ventose violacee. Mi ricorda un poco le meduse o le comatule.
Pori lilla trasudano un liquido oleoso che gocciola sul terreno.
Sulla parte superiore dell’animale c’e un occhio. Riesco a malapena a distinguere il blu sbiadito e iridescente del cristallino semitrasparente posto in un’iride multicolore simile a un piatto. L’occhio ha due palpebre di colore nero-violetto e una sottile membrana nittitante che si apre e si chiude a intervalli regolari come un metronomo.
L’animale, se e un animale, giace a terra, rivolgendo il suo unico grande occhio a un cielo vuoto come il suo sguardo. Non ha bocca ne altre appendici, a parte quei tentacoli gelatinosi che ho definito braccia.
Suppongo che non sia feroce ne pericoloso, ma lo vedo come qualcosa di tembile e spaventoso. Mi chiedo se quella creatura sia davvero nata sulla Terra o se invece non sia un visitatore proveniente da qualche mondo lontano e disgustoso i cui figli hanno tutti quell’aspetto.
L’orrenda creatura non si accorda affatto con l’ambiente. Ci sono terra ed erba, sabbia e cielo, sole e nuvole, acqua e vento, fiori e mosche, alberi e argilla, uccelli e cespugli.
Immagino che sia morta, e che quel suo movimento lento e ritmico sia causato da qualche riflesso naturale. Ma si solleva, una volta, con un muto sospiro che ricorda il risucchio della fanghiglia, come una grossa sacca d’aria maleodorante.
E noi scappiamo via.
— Sto morendo, Matthew.
— Non morire, ragazzo. Ho bisogno di te. Non rimarra piu nessuno a portare avanti questa tua folle ricerca. Io non posso farcela. So che tu lo vorresti, ma non e una buona idea. Non sono un sognatore, non sono un credente. Lo sai che non ho fede. Se muori, John, hai fallito, non conta quello che posso fare. Non c’e nessun bisogno di morire. Non devi fallire. Ti portero sempre sulle mie spalle. Puoi dormire. Ti daro del cibo. Niente ti disturbera. Tu hai questa missione. Tu hai l’anima. Tu sei la Lucciola che emana la propria luce. Se tu te ne vai, non ci sara piu luce nel mondo, John. L’ultimo uomo e morto. Ci sei solo tu, John. Io non sono nulla. Solo tu. Non morirai, John, non senza sapere, non e cosi?
— Io so gia, Matthew. Ho fede.
Cenere ovunque. Siamo circondati da una massa di scaglie di cenere che forma un deserto nero fino ai piedi delle montagne incrostate di lava. La cenere fluttua nell’aria in migliaia di grandi frammenti di carta, in un milione di piccole schegge e particelle, in un miliardo di corpuscoli polverosi che il vento sospinge in una nube vorticosa. Si adagia lentamente, soffice e grigia, si solleva languidamente come se fosse fumo.
Rocce nere come la notte presentano ai nostri occhi superfici erose dall’acqua che dividono l’oscurita in ombre grottesche e spigolose. E buio pesto. Il freddo sguardo della luna piena si sofferma appena sulla Terra ritraendosi dalle superfici ruvide senza osare quasi sfiorarle.
Nella mezza luce le pietre assumono le sagome di nani deformi, di giganti acquattati, di chimere misteriose, di torri crollate e di alberi contorti.
E un mondo gelido, terso, bizzarro, eppure le stelle sono le stesse che ho sempre visto e conosciuto, o almeno credo sia cosi.
— Ora mettimi giu, Matthew.
— Non manca molto.
— Per dove?
Mi fermo. “Gia, per dove?”
Il sole sorge sul mare. E rosso cupo, nell’aria densa di polvere.
L’oceano, torbido e opaco, bagna pigramente il litorale lisciando la grigia sabbia smossa. Non vi sono conchiglie sulla spiaggia, ne alghe. E un mare spoglio, vasto, grigio screziato di marrone. E puzza.
Nell’entroterra la vegetazione e scarsa. Un’erba rada e bassa intervalla cespugli appassiti per un centinaio di metri tra la spiaggia e una distesa di frammenti di roccia e ghiaia dove crescono un paio d’alberi e dove alcuni fiori si abbarbicano a minuscole chiazze di terriccio.
Tra le rocce, proprio al centro dell’isola, c’e un bacino di cinque chilometri di diametro, un pozzo coperto di fitta vegetazione tropicale, una profusione di verde lussureggiante e di alti fusti.
Non c’e nessun essere vivente.
Distendo a terra John e lo riparo dal vento. Sabbia rossa mi soffia negli occhi, ma proteggo il suo viso nascondendolo tra le braccia.
— Non posso piu andare avanti — dico. — Non io.
— Devi farlo.
— Sei tu che conosci tutte le risposte, non io. Io non capisco, non so cosa provare, cosa vedere. Non so il perche.
— Ma sono sempre stati i tuoi sogni, Matthew! Li ho solo presi in prestito. Ora li puoi riavere.
Ricordo il deserto, dove fuggivamo sotto le stelle, mentre i lupi ululavano e ci seguivano; e il vento mi sussurra parole di morte e disperazione. La sabbia geme contro la nuda roccia, inseguita da una tempesta senza nubi, e noi seguiamo la sua pista, anche noi inseguiti e sospinti. La notte e limpida e brutta e muove le sue goffe mani, il vento, in una maniera crudele e spietata, che ci fa soffrire e mi ricorda tutta la mia solitudine.
Il vento ci porta sempre il latrato dei lupi. A volte quelle belve sembrano singhiozzare, ma spesso ridono