Si mette a tracolla il fucile. «Stecco», dice al soldato grasso che era seduto con me sul sedile posteriore della jeep. «Fermati qui; spara a tutti quelli che scappano via, se non sono dei nostri.» Il soldato grasso fa lentamente cenno di si.

Scendiamo di corsa, accucciati, tra i cespugli e gli alberi fino al giardino dietro il castello. Dall’interno provengono spari isolati. Prima raggiungiamo l’uomo caduto accanto al fuoristrada fumante. Sul sedile del passeggero c’e un uomo morto, con l’uniforme intrisa di sangue e la mandibola quasi del tutto staccata. A terra, il guidatore geme ancora; il sangue filtra sulla ghiaia sotto il suo corpo. E un giovane alto e sgraziato con la carnagione chiazzata dell’adolescenza. La nostra luogotenente si accovaccia per dargli uno schiaffo sulla faccia, nel tentativo di fargli riprendere conoscenza, ma ottiene solo gemiti. Alla fine si rialza e scuote la testa, esasperata.

Stacca lo sguardo dal ferito e si rivolge al soldato con la mitragliatrice. Karma si e tolto l’elmetto per asciugarsi la fronte; ha i capelli rossi. «Tocca a te» mormora la luogotenente. «Avanti», dice a me, mentre Karma si rimette l’elmetto, schiaccia qualcosa sulla mitragliatrice e punta la canna alla testa del giovane steso a terra. La luogotenente si allontana, e i suoi stivali stridono sulla ghiaia.

Mi volto di scatto e seguo lei e il soldato con il lanciarazzi. Avverto una strana tensione in mezzo alle scapole, come se mi stessi preparando a ricevere il colpo di grazia al posto del moribondo. L’esplosione, singola, violenta, mi fa ugualmente sussultare.

Ci troviamo, tu e io, al centro del cortile del castello, accanto al pozzo. Guardiamo in alto e d’intorno. Gli sciacalli hanno fatto pochi danni. La luogotenente ha interrogato il vecchio Arthur — che aveva deciso di restare al castello invece di venire con noi — e ha scoperto che erano arrivati solo un’ora prima; non hanno avuto il tempo materiale di cominciare il saccheggio di casa nostra prima che la nostra valorosa luogotenente giungesse a proteggerla. Adesso e sua.

I suoi uomini si stanno arrampicando dappertutto; sono come bambini alle prese con un giocattolo nuovo. Hanno messo una vedetta sulla merlatura, e un’altra sentinella alla portineria. Hanno preso possesso del cancello principale e della saracinesca — un rimpiazzo recente in ferro battuto, forse piu decorativo che efficace, ma sembra che a loro piaccia lo stesso — e adesso stanno perlustrando le cantine, i depositi e le stanze; i nostri domestici — sorpresi, confusi — hanno ricevuto l’ordine di lasciargli fare quello che desiderano; sono state aperte tutte le porte. Gli uomini — ma per la maggior parte sono ancora ragazzi — si stanno scegliendo le camere; a quanto pare saranno nostri ospiti per piu di un fine settimana.

Le due jeep sono parcheggiate qui nel cortile, mentre i camion stanno fuori, oltre il fossato, vicino al piccolo ponte di pietra; la nostra carrozza e stata riportata nelle stalle, e i cavalli al loro recinto. Alcuni degli abitanti del villaggio, fuggiti all’arrivo dei saccheggiatori, stanno tornando, con circospezione, alle loro tende.

All’ingresso del corpo principale del castello compare la luogotenente, avanzando con lentezza verso di noi; indossa una giacca di un rosso vivo con fili dorati e nastri di medaglie. Tiene in mano una delle nostre migliori bottiglie di champagne, gia aperta.

«Ecco», dice guardando le mura del cortile. «Non hanno fatto troppi danni.» Sorride a te. «Come mi sta?» Ruota su se stessa a nostro beneficio; la giacca rossa ondeggia.

La luogotenente si allaccia un paio di bottoni. «Era di suo nonno o qualcosa del genere?» domanda.

«Di qualche parente; non ricordo chi», le dico con calma, mentre il vecchio Arthur, il piu venerabile dei nostri domestici, appare alla porta con un vassoio e si dirige verso di noi.

La luogotenente sorride con indulgenza al vecchio e gli fa segno di posare il vassoio sul cofano di una delle jeep. Ci sono tre bicchieri. «Grazie… Arthur, non e vero?» dice.

Il vecchio domestico — tondo, occhialuto, rosso in viso, con radi capelli gialli sulla testa — e in preda all’incertezza; fa un cenno alla luogotenente, poi si inchina e mormora qualcosa a noi, poi esita e si allontana. «Champagne», dice la luogotenente, ridendo, mentre riempie i bicchieri; il tuo anello, che adesso circonda il suo mignolo sinistro, tintinna contro il vetro verde e spesso della bottiglia e gli steli delicati dei calici.

Prendiamo i bicchieri. «A un piacevole soggiorno», dice la luogotenente brindammo. Noi sorseggiamo; lei tracanna.

«Quanto tempo pensate di stare qui da noi, piu o meno?» le domando.

«Per un po’», risponde. «E da troppo tempo che siamo in giro, nei campi e nei fienili, a dormire in case mezzo bruciate e in tende umide. Abbiamo bisogno di una licenza da questa vita militare; alla lunga ti pesa.» Agita il bicchiere, e fissa il liquido. «Capisco perche avete deciso di andarvene, ma noi possiamo difendere questo posto.»

«Noi no», dico. «E proprio per questo che abbiamo scelto di partire. Possiamo farlo adesso?»

«Siete piu al sicuro qui, adesso», ci spiega.

Io getto un’occhiata a te. «Pero preferiremmo partire. Possiamo?»

«No», dice la luogotenente, e sospira. «Vorrei che vi fermaste.» Scrolla le spalle, si mette a esaminare la sua bella giacca. «E il mio desiderio.» Si sistema un polsino. «E il grado ha i suoi privilegi.» Mentre si guarda intorno il suo sorriso e per un attimo abbagliante. «Noi siamo vostri ospiti, e voi nostri. Noi siamo di nostra volonta vostri ospiti; se di voi si potra dire lo stesso, dipende solo da voi.» Un’altra scrollata di spalle. «Comunque sia, intendiamo fermarci qui.»

«E se arriva qualcuno con un carro armato?»

La luogotenente scrolla di nuovo le spalle. «Allora dovremo andarcene.» Beve un altro sorso, e si sciacqua la bocca con il vino prima di inghiottirlo. «Ma non ci sono piu molti carri armati in giro, di questi tempi, Abel; non c’e piu molto di organizzato, dell’opposizione o del resto. Adesso la situazione e molto fluida, dopo tutta questa mobilitazione, questi arruolamenti, accuse, frizioni e…» agita in aria una mano «…questo crollo generale, direi.» Piega la testa di lato. «Quando ha visto per l’ultima volta un carro armato, Abel? O un aereo, o un elicottero?»

Rifletto per un istante, poi faccio un cenno d’assenso.

Sento che tu guardi all’insu. Mi afferri un braccio.

I saccheggiatori: i tre che i nostri irregolari hanno scoperto dentro il castello. Si sono arresi dopo pochi spari e a quanto pare la luogotenente li ha interrogati. Adesso compaiono sul tetto sopra di noi, legati, mentre avanzano verso il camminamento della torre, sulla scala a chiocciola, spinti da una mezza dozzina di uomini della luogotenente. Hanno sacchi o cappucci in testa e corde attorno al collo; inciampano e dal modo in cui camminano si direbbe che siano stati picchiati; sento singhiozzi e implorazioni che provengono da sotto i cappucci scuri. Vengono condotti verso le due torri meridionali del castello, le cui basi fiancheggiano il cancello principale, sopra il ponte e il fossato nella direzione del prato e del viale.

Hai gli occhi spalancati, il tuo volto e pallido; la mano guantata che mi afferra stringe sempre di piu. La luogotenente beve, ti osserva con attenzione; nel suo sguardo c’e qualcosa di freddo e calcolatore. Poi, mentre tu tieni gli occhi fissi sulla fila di uomini al di sopra della linea di pietra che delimita il cielo, la sua faccia si anima, si distende, si rallegra perfino. «Andiamo dentro, volete?» Prende il vassoio. «Comincia a far freddo qui, e mi sembra che stia per piovere.»

Sopra di noi, mentre rientriamo, un giovane uomo grida e invoca sua madre.

La luogotenente ci confina in un’ala del castello, per impedirci di fuggire. Ceniamo dietro porte chiuse a chiave: pane e carne sotto sale. Nel salone, la nostra carceriera allieta la truppa con tutto cio che la nostra fiorente cucina puo offrire. Come era prevedibile, hanno ucciso i pavoni. Mi aspettavo dai nuovi ospiti una notte di selvaggi bagordi, ma la luogotenente — a quanto ci hanno sussurrato i nostri domestici, quando vengono, sotto scorta, a portarci la cena e a sparecchiare — ha ordinato un doppio turno di guardia, ha concesso una sola bottiglia di vino per ciascun uomo, e ha stabilito che la nostra servitu e gli accampati sul prato non vengano molestati. Forse e preoccupata di un attacco, in questa prima notte, e in piu gli uomini sono esausti, non hanno la forza di festeggiare, sono animati solo da uno stanco sollievo.

Il fuoco brucia nei camini, bruciano le candele davanti agli specchi, in candelabri a molte braccia, e torce da giardino, dissotterrate da una delle costruzioni esterne, bruciano fumando appese ai muri o infilate nei vasi, in una caricatura priva di grazia del medioevo.

Nel frattempo gli sciacalli — dopo che le loro vite sono state stroncate da un nodo, e abbreviate di quella lunghezza — pendono al vento dalle torri, arenati nell’aria della sera, atroce segnale per il mondo esterno; forse la brava luogotenente spera che il loro oscillare faccia vacillare le velleita degli altri. Per tener loro compagnia, la

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