tappeto, arriva alla fine del nastro con un clic. Ti volti di nuovo verso la donna e annuisci lentamente. Poi fai un cenno con la testa, indicando la cucina. Lei guarda in quella direzione, sembra esitare. Allora indichi la cucina con lo sfollagente.

«Va bene», dice, «va bene.» Si avvia lungo il corridoio camminando all’indietro, sempre tenendo le mani tese davanti a se. Entra in cucina, spalancando la porta con la schiena. La segui e accendi la luce. Lei continua a camminare e allora tu alzi una mano per indicarle che deve fermarsi. Vede la cameriera sulla sedia legata alla cucina. Le fai segno di sedersi su un’altra sedia rossa. La ragazza fissa la cameriera con gli occhi spalancati, poi sembra giungere a una decisione e si siede.

Ti allontani da lei per andare a prendere il rotolo di nastro adesivo nero che hai lasciato sul bancone. Estrai la pistola e, mentre scosti il passamontagna dalla bocca per strappare con i denti un pezzo di nastro, la tieni sotto tiro. Lei continua a osservare l’arma con espressione calma e risoluta, ma ora e impallidita. Mentre le giri il nastro adesivo intorno ai polsi sottili, ornati da braccialetti d’oro, le premi la pistola contro le costole. Continui a lanciare veloci occhiate alla porta, verso il corridoio in fondo al quale giace, abbandonata, la sagoma scura; sei pienamente consapevole del fatto che stai correndo un rischio in piu, un rischio assolutamente non necessario. Metti via la pistola e le leghi le caviglie fasciate nelle calze nere di nylon. La ragazza profuma di Paris.

Le appiccichi una striscia di nastro lunga dieci centimetri sulla bocca ed esci dalla cucina, spegnendo la luce e chiudendo la porta.

Torni da Sir Toby. Non si e mosso. Togli il passamontagna e lo infili nella tasca della camicia, prendi il casco da motociclista da dietro l’attaccapanni, lo indossi, quindi afferri l’uomo, prendendolo sotto le ascelle, e lo trascini al piano di sopra, passando davanti alle fotografie incorniciate. I suoi talloni rimbalzano a ogni scalino. Dentro il casco, il tuo respiro suona affannoso: Sir Toby e piu pesante di quanto immaginassi. Odora di un profumo costoso che non riesci a identificare. Una ciocca di lunghi capelli grigi gli cade di lato, su una spalla.

Lo trascini fin dentro il salotto del primo piano e, dopo essere entrato, chiudi la porta con una spallata. La stanza e illuminata soltanto dalla luce dei lampioni in strada; nella semioscurita inciampi e rischi di travolgere un tavolino. Qualcosa cade a terra e si rompe.

«Merda», sussurri, ma non ti fermi e continui a trascinarlo verso la portafinestra di un terrazzino che da sulla piazza. Lo appoggi contro il muro a lato della finestra e sbirci fuori. Una coppia sta attraversando la piazza. Dai loro due minuti di tempo per allontanarsi, aspetti che passino due macchine, quindi apri la finestra ed esci sul terrazzino, nella tiepida notte di Belgravia. La piazza sembra tranquilla, la citta non e che un rombo lontano oltre l’oscurita tinta di arancione. Guardi giu, verso i gradini di marmo che conducono al portone e verso la cancellata nera, che termina in lunghe lance aguzze. Allora torni dentro, afferri l’uomo sotto le ascelle, lo trascini fuori e lo appoggi al parapetto di pietra del terrazzino che ti arriva all’altezza della vita.

Fai correre lo sguardo intorno: una macchina in fondo alla piazza attraversa la tua visuale. Lo sollevi in modo da farlo sedere sul parapetto; la testa gli ricade all’indietro e dalla bocca esce un gemito. Gocce di sudore ti colano sugli occhi. Mentre lo sistemi nella posizione giusta, si muove debolmente fra le tue braccia. Dai un’ultima occhiata alla ringhiera, tre o quattro metri piu sotto. Poi lo spingi giu.

Sir Toby cade sulla ringhiera, picchiando la testa, un fianco e una gamba; si sente un rumore sorprendentemente secco, uno scricchiolio, come di qualcosa che si spezza. La testa si gira di lato e dall’orbita dell’occhio destro sbuca la punta di una delle lance.

Il suo corpo sembra sgonfiarsi, le braccia penzolano senza vita, uno di qua e uno di la della cancellata, sopra la scala che porta all’appartamento nel seminterrato. La gamba destra rimane sospesa sui gradini. Si sente un altro debole scricchiolio, il corpo e attraversato da uno spasmo e poi si affloscia definitivamente. Sangue scuro gli sgorga dalla bocca, macchiandogli il colletto della camicia bianca, e comincia a gocciolare sui gradini di marmo chiaro. Ti allontani dal parapetto e guardi intorno a te. Alcune persone sono entrate nella piazza dal lato piu lontano, a una quarantina di metri di distanza, e si stanno avvicinando.

Ti volti e rientri nel salotto, chiudi la finestra e ti allontani, evitando il tavolinetto e il vaso rotto che giace sul tappeto. Scendi e attraversi la cucina, dove si trovano le due donne legate alle sedie; esci dalla stessa finestra dalla quale sei entrato, attraversando a passi tranquilli il piccolo giardino sul retro, e arrivi al vicoletto dove hai parcheggiato la moto.

Proprio mentre stai tirando fuori le chiavi della moto senti il primo urlo, debole e remoto. Provi un’improvvisa euforia.

Sei contento di non aver dovuto far del male alle donne.

E una fredda e tersa giornata di ottobre, luminosa e frizzante; soltanto qualche nuvoletta paffuta fugge veloce oltre le montagne, sospinta dalla brezza gelida. Punto il binocolo verso il basso pendio su cui s’intrecciano le strade di Helensburgh, poi lo sposto verso le pendici boscose delle colline alle spalle della cittadina, continuo a sinistra, supero le colline sul lato piu lontano del lago e lo punto sulle montagne. Proseguo verso la punta estrema del lago e riesco a distinguere le incastellature, le banchine e gli edifici della base navale. Sopra il ronzio dei motori delle barche e degli elicotteri si sentono urla lontane e fischi di protesta; guardo in basso, verso la piccola lingua di spiaggia ricoperta di ciottoli che si trova proprio di fronte a me e dove si e radunato qualche centinaio di dimostranti, tra gente venuta da fuori e locali: stanno battendo i piedi e sventolano striscioni. Un elicottero mi strepita sulla testa. Fisso l’angusto estuario: altri tre elicotteri stanno volando in circolo sopra la massa scura del sottomarino. Il rimorchiatore, le lance della polizia addette alla scorta e i gommoni che girano intorno si fanno strada lentamente nel gruppo d’imbarcazioni del Campaign for Nuclear Disarmament. L’acqua si solleva in due alte ondate di spruzzi e mi taglia la visuale.

Abbandono il binocolo, e lo lascio penzolare al collo, mentre accendo un’altra Silk Cut.

Mi trovo sul tetto di un container vuoto, abbandonato in una piccola discarica in prossimita della spiaggia di un paesino chiamato Roseneath e che sorge direttamente sul Gare Loch, per assistere all’arrivo del Vanguard. Alzo nuovamente il binocolo e lo punto sul sottomarino. Adesso riempie tutta la mia visuale, nero e quasi informe, anche se si riescono a distinguere le diverse parti che compongono lo scafo alto e curvo.

I gommoni dei dimostranti ronzano intorno al perimetro di sicurezza formato dalle imbarcazioni di scorta, cercando un modo per entrare. I gommoni del ministero della Difesa sono piu grandi delle imbarcazioni degli antinuclearisti e hanno motori piu potenti; i marinai indossano berretti neri e tute scure, mentre i dimostranti del CND portano giacche dai colori vivaci e agitano grosse bandiere gialle. L’enorme sottomarino avanza tra di loro, solcando composto le acque dello stretto. Il rimorchiatore della Royal Navy gli apre la strada senza trainarlo. Una nave guardapesca grigia segue la flottiglia. I grossi elicotteri continuano a incrociarsi, tuonando sopra la scena.

«Ehi, dammi una mano, vecchio bastardo.»

Guardo giu e vedo la testa e le mani di Iain Garnet. Sta agitando le braccia in segno di saluto.

«Come al solito ci seguite, eh, Iain?» gli chiedo, mentre lo aiuto a salire sul container dallo stesso barile che ho usato io.

«Vaffanculo, Colley», risponde Garnet, amabile come sempre, e si china per togliersi la polvere dalle ginocchia dei calzoni. Iain lavora per il nostro concorrente di Glasgow, il Dispatch. E vicino ai quaranta, grassoccio in vita ma piccolo di spalle. Sopra l’abito grigio stazzonato indossa quella che sembra proprio una vecchia giacca a vento degli anni 70. Fa un cenno con la testa in direzione della sigaretta che tengo tra le labbra. «Me ne dai una?»

Quando vede il pacchetto che gli porgo, arriccia il naso con aria disgustata, ma ne prende una lo stesso. «Cristo, Cameron! Silk Cut? La sigaretta per quelli che vogliono convincersi che stanno per smettere? E io che ti consideravo uno degli ultimi seri candidati al cancro ai polmoni! Che ne e delle Marlboro?»

«Quelle sono per i cowboy come te», gli dico, accendendogli la sigaretta. «E che ne e delle tue?»

«Le ho dimenticate in macchina», spiega. Ci voltiamo a osservare la piccola armada che avanza sulla distesa azzurra e scintillante intorno al gigantesco sottomarino. Il Vanguard e ancora piu grosso di quanto mi aspettassi. Enorme, grasso, nero, come il piu grosso e il piu nero dei lumaconi, con qualche pinnetta messa qui e la, come per un ripensamento. Sembra quasi troppo grosso per entrare nello stretto davanti a noi.

«Bella bestia, eh?»

«Mezzo milione di sterline per sedicimila tonnellate…»

«Lo so, lo so», borbotta Iain con aria depressa. «E lungo come due campi da calcio. Non avresti qualcosa di

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