«Signor Archer, questo e…»

«Langholm, Bruntshiel Road. La cabina telefonica. Solita ora», ripete la voce.

«Signor Arch…»

«Questa volta ho un altro nome per lei, signor Colley», dice la voce.

«Come…?»

La comunicazione viene interrotta. Guardo il telefono, poi stacco il microfono dal ricevitore. In quel momento, da dietro il monitor, appare il volto sorridente di Frank. Da qualche colpetto con la biro sulla mia tastiera. «Era il nostro amico?» chiede.

Strappo il foglio dal blocco e me lo infilo nella tasca della camicia. «Sissignore.» Spengo il computer, prendo il Pearlcorder e mi metto la giacca.

Frank mi rivolge un sorriso raggiante e preme un qualche pulsantino sul suo orologio. «Te ne vai cosi presto? Bravo, Cameron. E un nuovo record!»

«Di’ a Eddie che gli passero l’articolo per telefono.»

«La responsabilita e tua, pero.»

«Certo.» Mi avvio verso la porta.

Mi faccio un po’ di roba nel bagno degli uomini e poi, dopo essermi euforizzato il setto nasale, il flusso sanguigno e gli emisferi con la polverina magica, prendo la 205 e parto in direzione di Langholm, che si trova piuttosto lontano, nei Borders. Mentre guido, finisco di comporre mentalmente l’articolo sul Vanguard; e domenica, e quindi uscire dalla citta e facile, ma in campagna le strade sono piene di autisti da strapazzo, in gran parte vecchietti, con tanto di berretto, che se ne stanno aggrappati al volante e tengono lo sguardo fisso sulla strada; ricordo bene quando scorrazzavano tutti in Marina e Allegro, mentre adesso pare che siano passati in massa alle Escort Orion, alle Rover 413 o alle Volvo 340, in apparenza tutte dotate di controllo automatico della velocita, immancabilmente regolato sui sessanta all’ora.

Rimango intrappolato in una coda e, dopo un paio di sorpassi mozzafiato, suggeriti soltanto dall’anfe, che ottengono come unico risultato un buon numero di lampeggiamenti furiosi al mio indirizzo, decido di rallentare, di smetterla d’inveire contro gli altri, e di accettare il mio triste destino godendomi il panorama.

Gli alberi e le colline risaltano nitidi nella luce del tardo pomeriggio: i prati scoscesi e i tronchi brillano di una luce giallo-arancione contro le zone immerse nell’ombra. La colonna sonora e fornita dai Crowded House. Poco prima delle cinque, il cielo si scolora fino a diventare di un viola cupo e i fari delle macchine che mi vengono incontro cominciano a darmi fastidio agli occhi; e chiaro che sono stato un po’ troppo prudente con l’ultima sniffata terapeutica. Mi fermo in una piazzola di sosta subito dopo Hawick per una dose supplementare.

Langholm e una tranquilla cittadina vicino al confine con l’Inghilterra. Non dispongo di una pianta della citta, ma ci vogliono solo cinque minuti per trovare Bruntshiel Road. Rintraccio la cabina telefonica in cima alla strada e parcheggio di fianco.

C’e un albergo a due minuti da li. E l’ora di un drink.

Il bar dell’albergo e sgangherato e polveroso; deve ancora subire quell’operazione di by-pass architettonico che i gestori chiamano ristrutturazione. E abbastanza affollato e la clientela e varia.

Non ci vuole molto perche un doppio whisky faccia effetto e rimetta in equilibrio il sistema, vista la quantita di anfetamina che mi sono fatto durante il viaggio. Da quando ho preso il PC nuovo sto facendo economia, quindi ho ordinato un Grouse invece di un doppio malto, ma lo scopo e comunque raggiunto. Mentre sto finendo il whisky, il mio cellulare si mette a squillare. E il giornale: mi ricordano che e quasi ora di chiudere. Mi volto per proteggermi dagli sguardi curiosi dei locali e, parlando piano, dico che chiamero da li a poco, promesso. Compro le sigarette, faccio pipi e torno alla macchina. Attacco il Tosh all’accendisigari della macchina e batto il resto del pezzo sul Vanguard alla luce del lampione che illumina la cabina telefonica. Non faccio altro che sbadigliare, ma resisto alla tentazione di ricorrere ancora una volta al sacchettino miracoloso.

Finisco l’articolo, tiro fuori il modem e mando il pezzo al giornale. Poi torno in macchina. Mancano ancora dieci minuti alla telefonata del signor Archer. Di solito e puntuale. Faccio un salto all’albergo per un whisky veloce.

Quando ritorno alla macchina, il telefono della cabina sta squillando. Faccio una corsa, lo afferro, armeggio con il Pearlcorder e, imprecando sottovoce, lo collego, cercando di districare i fili.

«Pronto?» urlo.

«Chi parla?» dice la voce calma e meccanica. Riesco ad accendere il registratore e tiro un sospiro di sollievo.

«Sono Cameron Colley, signor Archer.»

«Signor Colley, dovro richiamarla, ma il primo nome che ho per lei e Ares.»

«Come? Chi?»

«Il nome e Ares: A-R-E-S. Si ricorda gli altri nomi che le ho dato, vero?»

«Si: Wood, Ben…»

«Ares e il nome del progetto cui stavano lavorando quando sono morti. Ora devo andare, ma la richiamero tra circa un’ora. Avro altre informazioni per lei. Arrivederci.»

«Signor Archer…»

Morto.

E morte sono pure le persone di cui mi ha fatto il nome il signor Archer. Tutti uomini. Si chiamavano Wood, Harrison, Bennet, Aramphahal e Isaacs. Il signor Archer mi ha dato i loro nomi la prima volta che mi ha trascinato in uno di questi appuntamenti telefonici in giro per la Scozia. (Il signor Archer non si fida dei cellulari, e non gli do torto.) Allora erano suonati vagamente familiari e parevano avere una strana, implicita sequenzialita; inoltre, non appena me li aveva detti, avevo immediatamente pensato al Lake District, senza sapere il perche. Il signor Archer mi aveva dato questi nomi e aveva riattaccato prima che potessi chiedergli qualcosa di piu.

Io ho ’sta mania di volermi ricordare tutto da solo, ma la mattina seguente, in ufficio, mi collegai a Profile e lasciai fare a lui il lavoro pesante. Profile non e altro che un’impressionante, gigantesca banca dati che probabilmente conosce persino il colore dei calzini del tuo bis- bisnonno materno e sa quanti cucchiaini di zucchero sua moglie metteva nel te; contiene praticamente tutto quanto e apparso sui giornali (americani, europei e asiatici) negli ultimi dieci anni, piu un intero universo d’informazioni provenienti da megamiliardi di altre fonti.

I nomi non furono un problema. I cinque stoccafissi erano morti tutti tra i cinque e i sei anni prima e avevano tutti a che fare con il nucleare o con i servizi di sicurezza. Tutte le morti sembravano suicidi, ma tutte avrebbero potuto benissimo essere omicidi; all’epoca i giornali avevano avanzato l’ipotesi che ci fosse sotto qualcosa di poco chiaro, ma poi la cosa era finita li. Fino a oggi, le uniche cose che il signor Archer mi aveva rivelato, e che io non avrei potuto trovare negli archivi del giornale, erano alcuni dettagli sulla dinamica esatta delle morti e, proprio quella sera, il nome del progetto cui tutti avevano lavorato: Ares.

Me ne resto seduto in macchina per un po’, lavorando distrattamente all’articolo sulle distillerie di whisky che ho in cantiere gia da un po’, riflettendo su chi o su che cosa possa essere Ares. Qualcuno entra nella cabina per fare una telefonata. Mi diverto con qualche patetico giochino da principianti, desiderando tanto avere un computer decente, a colori e con velocita, RAM e hard disk sufficienti per far girare Despot. Preparo uno spinello e me lo fumo ascoltando un po’ di radio; poi passo al buon vecchio nastro di k.d. lang, ma e troppo soporifero e allora ritorno alla radio, pero non la sopporto e cosi frugo nel vano portaoggetti finche non trovo Trompe le Monde dei Pixies: questo mi tiene sveglio piu dell’anfe. Il nastro e un po’ rovinato perche l’ho sentito un mucchio di volte e cosi la musica va e viene, ma e forte lo stesso.

E una bella giornata estiva e sto correndo per i boschi a Strathspeld; ho tredici anni e, mentre corro, mi vedo dall’esterno, come se mi stessi osservando su uno schermo. Sono stato qui un sacco di volte e so come uscire, come scappare da questo posto. Sto per riuscirci quando sento suonare un campanello.

Mi sveglio e il telefono sta squillando. Mi ci vuole un secondo per rendermi conto che mi sono addormentato, e un altro secondo per ricordarmi dove sono. Schizzo fuori dalla macchina e m’infilo nella cabina telefonica, tagliando la strada a un vecchio che sta portando fuori il cane.

«Chi parla?» dice la voce.

Вы читаете Complicita
Добавить отзыв
ВСЕ ОТЗЫВЫ О КНИГЕ В ИЗБРАННОЕ

0

Вы можете отметить интересные вам фрагменты текста, которые будут доступны по уникальной ссылке в адресной строке браузера.

Отметить Добавить цитату
×