bianca, alcune ammaccate. Vicino alla porta c’e un agente che fruga in un sacco aperto con un bastone telescopico.
«Secondo lei, li ha bruciati lui tutti ’sti cadaveri?» chiede a Kay Scarpetta, che sposta il fascio di luce verso il fondo del casotto e illumina un teschio fra alcune lunghe ossa color avorio.
«Non credo» risponde lei. «Ameno che non avesse un forno crematorio da qualche parte. Sembrano resti di cremazione.» Fa luce su una scatola di metallo, ammaccata e polverosa, in un sacco nero per la spazzatura. «Le ceneri vengono restituite ai familiari in urne come questa. Chi desidera qualcosa di un po’ piu sofisticato, se lo deve procurare a spese proprie.» Illumina di nuovo il teschio e le ossa lunghe non bruciate. «Per ridurre un corpo in cenere ci vogliono temperature nell’ordine dei milleottocento-duemila gradi.»
«E le ossa che non sono bruciate?» L’agente indica con il bastone telescopico le ossa lunghe e il cranio. Ha la mano ferma, ma e chiaramente teso.
«Bisognera controllare se ultimamente sono state trafugate salme dai cimiteri» risponde Kay Scarpetta. «A occhio, direi che sono ossa vecchie. E poi qui dentro non c’e odore, il che significa che non e in atto alcun processo di decomposizione.» Osserva il teschio.
«Maledetto necrofilo» commenta Marino, illuminando l’interno del casotto, pieno delle ceneri di chissa quante persone.
«Non credo che sia un necrofilo» replica lei spegnendo la torcia elettrica e andando verso l’uscita. «Ma probabilmente si faceva pagare per spargere le ceneri di qualche poveraccio in mare, in montagna o in qualche giardino e poi non lo faceva. Intascava i soldi e nascondeva l’urna da qualche parte. Recentemente, deve aver spostato tutto qui dentro, chissa perche. Avra cominciato i suoi traffici quando lavorava nell’istituto. Ricordiamoci di controllare nei vari crematori per vedere se lo conoscono, anche se probabilmente diranno di no.» Esce.
«Quindi lo faceva per soldi?» chiede incredulo l’agente con il bastone telescopico in mano.
«Probabilmente la morte lo attirava troppo e ha voluto provare a uccidere» risponde Kay Scarpetta camminando sulle foglie bagnate del cortile. Ha smesso di piovere e il vento e calato. La luna ha fatto capolino dalle nuvole e brilla come un frammento di cristallo sul tetto bagnato di ardesia della casa in cui abitava Edgar Allan Pogue.
43
Sulla strada avvolta dalla nebbia, Kay Scarpetta osserva le finestre illuminate della casa in cui abitava Edgar Allan Pogue.
I vicini non possono non aver notato le luci accese e l’uomo con i capelli rossi che entrava e usciva da quella porta. Forse aveva anche una macchina. In realta Browning le ha appena comunicato che Pogue non risulta proprietario di alcun tipo di autovettura, ma lei lo trova strano. Vorrebbe dire che Pogue gira su una macchina che non e registrata a suo nome — non sua o con la targa falsa — oppure che e appiedato.
Il cellulare sembra pesarle nella tasca, benche sia piccolo e leggero. La realta a opprimerla e il pensiero di Lucy. Non ha voglia di chiamarla. In qualsiasi situazione si trovi in quel momento, Kay Scarpetta preferirebbe continuare a non sapere niente. Lucy e quasi sempre nei guai e lei tende a preoccuparsi e a darsi la colpa delle difficolta della nipote a costruirsi relazioni solide. Lucy sa che Benton e ad Aspen. Probabilmente sa anche che la loro relazione, dopo che lui e riapparso, e molto meno solida di un tempo.
Kay Scarpetta compone il numero. Vede la porta che si apre e Marino che esce a mani vuote. Quando lavorava nella polizia di Richmond, Marino non lasciava mai il luogo di un delitto senza qualche borsa piena di tracce e indizi. Invece oggi e a mani vuote, perche Richmond non e piu la sua giurisdizione e sono altri a raccogliere prove, etichettarle e mandarle ai vari laboratori. Forse sono in gamba come lui e non si lasciano sfuggire nulla, ma Kay Scarpetta preferirebbe comunque che se ne occupasse Marino. Si sente inquieta, oppressa e impotente. Chiude la comunicazione prima che le risponda la segreteria telefonica.
«Che cosa vuoi fare adesso?» chiede a Marino, appena lui la raggiunge.
«Mi piacerebbe tanto fumarmi una sigaretta» le risponde lui, guardando la strada illuminata qua e la dai lampioni. «Mi ha richiamato l’agente immobiliare. Dice che ha parlato con Bernice Towle. E la figlia.»
«Di chi? Della signora Arnette?»
«Si. Non sapeva che ci abitasse qualcuno. Era convinta che la casa fosse vuota da diversi anni. Pare che sul testamento ci sia scritto che gli eredi possono venderla, ma non a meno di una certa cifra che, a detta dell’agente immobiliare, e troppo alta. Si, me ne fumerei una molto volentieri. Sara stato l’odore di sigaro, non so.»
«Ma la signora Towle non ospitava dei conoscenti?»
«Si, ma l’agente non ricorda quando e stata l’ultima volta. Probabilmente quel maniaco ci si e piazzato senza dire niente a nessuno, come uno squatter. Prendi possesso di una casa e stai all’occhio, appena vedi qualcuno te la fili e quando tutto torna tranquillo ci rientri. Chissa. Tu che cosa vuoi fare?»
«Forse ci conviene tornare in albergo.» Apre la portiera e guarda ancora una volta la casa illuminata. «Per stasera mi sembra che non ci sia altro da fare.»
«Quando chiude il bar dell’hotel?» chiede Marino, aprendo la portiera dalla parte del passeggero. Sale in macchina con difficolta. «Mi e passato il sonno. Succede sempre cosi, maledizione. Una sigaretta e un paio di birre non mi farebbero male. Anzi, magari poi dormo meglio.»
Kay Scarpetta chiude la portiera e mette in moto. «Spero che il bar sia gia chiuso» risponde. «Se bevo quando sono di questo umore, poi sto ancora peggio. Come e possibile che quello vivesse qui e nessuno si sia mai accorto di niente, Marino?» Parte, lasciandosi dietro le luci della casa di Edgar Allan Pogue. «Ha il casotto degli attrezzi pieno di resti umani e nessuno ha mai visto nulla? La signora Paulsson non ha mai notato nessuno nella casa dietro la sua? Forse Gilly l’aveva sorpreso.»
«Vuoi che andiamo a chiederglielo?» dice Marino guardando fuori con le mani in grembo, come per proteggere le parti dolenti.
«E quasi mezzanotte.»
Marino scoppia a ridere. «Gia. Sarebbe da maleducati presentarsi a quest’ora.»
«E va bene, facciamoci un salto» dice Kay Scarpetta svoltando in Grace Street. «Preparati al peggio, pero: non so come reagira, vedendoti.»
«Dovrebbe preoccuparsi di come reagisco io, non il contrario.»
Kay Scarpetta fa inversione e parcheggia dietro la macchina di Suzanna Paulsson. E accesa solo la luce nel salotto, che filtra attraverso le tende leggere. A scanso di equivoci, decide di avvertirla telefonicamente prima di bussare alla porta. Controlla sul cellulare gli ultimi numeri chiamati, ma quello della Paulsson non c’e piu. Fruga nella borsa alla ricerca del foglietto su cui si e appuntata il numero la prima volta che e andata da lei, lo trova dopo un po’ e lo digita sul cellulare. Immagina squillare il telefono in camera da letto.
«Pronto?» La voce di Suzanna Paulsson e assonnata.
«Sono Kay Scarpetta. Sono davanti a casa sua. Ho bisogno di parlarle: ci sono stati nuovi sviluppi nelle indagini. Mi apre, per favore?»
«Che ore sono?» chiede la donna, confusa e spaventata.
«Per favore, mi apra» insiste Kay Scarpetta, scendendo dalla macchina. «Sono davanti a casa sua.»
«Va bene, va bene.» Riattacca.
«Stai seduto qui e scendi solo dopo che ha aperto» suggerisce a Marino. «Se ti vede dalla finestra, non ci fa entrare.»
Chiude la portiera, lasciando Marino al buio, e si avvicina al portone. Si accendono altre luci e dietro le tende del salotto si materializza un’ombra. Poi la tenda si scosta, la signora Paulsson sbircia fuori e quindi apre la porta in vestaglia di flanella rossa. E spettinata e ha gli occhi gonfi.
«Signore Iddio, che cosa e successo?» domanda a Kay Scarpetta, facendola entrare in casa. «Come mai a quest’ora?»
«L’uomo che abitava dall’altra parte della recinzione» dice Kay. «Lei lo conosceva?»
«Quale uomo?» domanda Suzanna Paulsson confusa. «Quale recinzione?»
«La casa dietro la sua» spiega Kay Scarpetta. Marino dovrebbe arrivare da un momento all’altro, pensa. «Ci abitava un uomo. Non puo non averlo mai visto, signora.»
Marino bussa alla porta. La signora Paulsson ha un sussulto e si porta una mano al petto. «E adesso chi