La Paulsson la guarda e Kay Scarpetta si rende conto che sta pensando a cosa dire.
«Non uno» ripete in tono fermo, tranquillo, guardando la signora Paulsson dall’alto in basso. «Ne di bassotto ne di altra razza. Sweetie non c’e, questo e vero. Non c’e perche non e mai esistita. Non ci sono mai stati cani in questa casa.»
«Dille di andarsene subito da casa mia» ordina Suz Paulsson a Marino senza neppure guardarlo. «Dille di togliersi di qui» insiste, come se Marino fosse dalla sua parte. «Voi medici ci fate dire quello che volete voi» continua, rivolgendosi a Kay Scarpetta. «Ci fate fare tutto quello che volete.»
«Perche hai mentito sulla storia del cane?» le domanda Marino.
«Sweetie non c’e piu» replica lei. «Non c’e piu…»
«Se ci fosse mai stato un cane in questa casa, noi lo sapremmo» continua Marino.
«Gilly guardava sempre dalla finestra. Per via di Sweetie. Sempre li a guardare quel cane. Apriva la finestra, la chiamava» mormora la donna, guardandosi le mani strette.
«Non hai mai avuto cani, vero, Suz?» chiede Marino.
«Apriva e chiudeva la finestra per cercare Sweetie. Quando la cagnetta usciva in giardino, Gilly apriva la finestra e la chiamava. E cosi che si e rotta la maniglia.» Apre le mani e si fissa i palmi, osservando le mezzelune rosse lasciate dalle unghie. «Avrei dovuto farla riparare» dice.
44
Sono le dieci del mattino e Lucy gironzola con aria annoiata per la sala d’attesa, poi prende in mano una rivista e assume un’espressione spazientita. Spera che il pilota di elicotteri seduto vicino al televisore si sbrighi, oppure che riceva una chiamata urgente e rinunci a farsi visitare. Si avvicina alla finestra, il cui vetro e vecchio e sembra ondulato, guarda Barre Street e i suoi antichi palazzi. I turisti a Charleston cominciano ad arrivare in primavera e in giro non c’e quasi nessuno.
Ha suonato il campanello quindici minuti fa. Le ha aperto una signora cicciottella, la quale l’ha fatta accomodare nella sala d’aspetto davanti alla porta di ingresso, le ha dato un modulo da riempire e se ne e andata. Lucy conosce bene quel modulo, perche lo compila ogni due anni da un decennio a questa parte. Ha cominciato a compilarlo, ma poi ha smesso e l’ha posato su un tavolino. Prende un’altra rivista, la sfoglia, la rimette a posto. Nel frattempo, l’altro pilota finisce di riempire il suo modulo e la guarda.
«Scusi se mi intrometto, ma il dottor Paulsson si scoccia, se entra a fare la visita senza aver compilato il modulo.»
«Lo conosce bene, vedo» osserva Lucy, sedendosi. «Maledetti moduli, li sbaglio sempre.»
«Anch’io li detesto» dice il pilota. E un giovane atletico, con i capelli scuri tagliati cortissimi e gli occhi scuri distanziati fra loro. Quando si e presentato, pochi minuti fa, ha detto di pilotare Black Hawks per la Guardia Nazionale e Jet Rangers per una compagnia privata. «L’ultima volta che sono venuto, mi sono dimenticato di fare la crocetta sul quadratino delle allergie. Mia moglie ha un gatto e quindi devo per forza fare il vaccino. Mi sono scordato di marcarlo e il computer e andato in tilt: non accettava la mia richiesta di idoneita al volo e non c’era verso di fargli cambiare idea.»
«Guardi, questi computer sono una vera disdetta» replica Lucy. «Bisogna fare come vogliono, altrimenti si inchiodano.»
«Oggi mi sono portato quello dell’ultima volta, cosi non rischio di scriverci cose diverse» dice mostrandole un foglio ingiallito. «Fossi in lei, comunque, lo riempirei prima di entrare. Gliel’ho detto, Paulsson si arrabbia da morire.»
«L’ho sbagliato» dice Lucy prendendo il modulo che ha iniziato a compilare. «Ho scritto la citta nel posto sbagliato. Devo prenderne uno nuovo e ricominciare daccapo.»
«Ah.»
«Appena la signora torna, gliene chiedo un altro.»
«Lavora qui da tantissimi anni» dice il pilota.
«E lei come fa a saperlo?» chiede Lucy. «E troppo giovane per venire qui “da tantissimi anni”.»
Il pilota sorride e comincia a fare il galletto. «Grazie, ma non sono poi tanto giovane, sa? Lei, piuttosto: non l’ho mai vista. Dove vola? Dalla tuta direi che non e nell’aeronautica militare.»
Lucy ha una tuta nera con una bandiera americana cucita su una spalla e un distintivo azzurro e oro sull’altra, un’aquila circondata da alcune stellette che ha disegnato lei stessa. Il nome che ci ha attaccato sotto oggi e “P.W. Winston”. Lo cambia spesso, a seconda di quello che deve fare e dove. Siccome suo padre era cubano, Lucy puo passare per sudamericana, italiana o portoghese senza bisogno di truccarsi pesantemente. Oggi e a Charleston, nel South Carolina, ed e semplicemente una bella ragazza bianca con un accento assolutamente americano e una lieve cadenza del Sud.
«Aviazione generale» risponde. «Per uno che ha un Bell quattro e trenta.»
«Beato lui» dice il pilota, impressionato. «Un riccone, eh? Il quattro e trenta e un vero gioiellino. Come si trova con i display? Si e abituata subito o ci ha messo un po’?»
«Guardi, mi trovo benissimo!» replica Lucy, sperando che il pilota si stufi presto di fare conversazione. Non che le dispiaccia parlare di elicotteri, ma deve installare dei trasmettitori nascosti in casa del dottor Frank Paulsson e se quello continua a chiacchierare le rende il compito piu difficile.
La donna cicciottella che l’ha fatta accomodare in sala d’aspetto ricompare e dice al pilota di seguirla, il dottor Paulsson lo aspetta. «Ha finito di compilare il modulo? E sicuro di aver scritto le risposte giuste?»
«Se passa dal Mercury Air, il nostro ufficio e nell’hangar. Se nel parcheggio c’e una Harley softail, vuol dire che io ci sono» dice il pilota a Lucy.
«Ha i miei stessi gusti, allora» replica lei. «Mi scusi, potrebbe darmi un altro modulo?» chiede poi alla donna. «Il primo l’ho sbagliato.»
La donna le lancia un’occhiataccia. «Be’, vediamo cosa posso fare. Non lo butti via, mi raccomando, se no mi sballa la numerazione.»
«No, certo: e qui sul tavolo.» Poi dice al pilota: «Ho appena dato via la Sporster per una V-Rod».
«Pero. Pilota un quattro e trenta e va in giro su una V-Rod. Che invidia!» fa lui, ammirato.
«Be’, chissa che non si vada da qualche parte insieme, una volta. Auguri per il gatto.»
Il pilota ride e segue la signora cicciottella su per le scale. Lucy lo sente raccontare di sua moglie che non vuole dare via il gatto, il quale dorme sempre sul letto facendogli venire delle crisi allergiche nei momenti meno opportuni. Lucy rimane da sola almeno un minuto, il tempo che la donna vada a prendere un altro modulo e lo porti giu nella sala d’aspetto. Si infila un paio di guanti di cotone e si aggira rapida per la stanza, pulendo tutte le riviste che ha toccato.
Il primo trasmettitore che nasconde e delle dimensioni di un mozzicone di sigaretta, senza fili, inserito in un tubicino di plastica verde idrorepellente. In genere si preferisce nascondere i trasmettitori in oggetti riconoscibili, ma talvolta anche quelli assolutamente insignificanti vanno bene. Mette il tubo in un vaso di ceramica che contiene una pianta di seta dall’aria rigogliosissima sul tavolino vicino alle sedie, poi si precipita in fondo alla casa e ne sistema un altro, anch’esso verde, in un’altra pianta finta vicino alla cucina. Sente i passi della signora sulle scale e corre nella sala d’aspetto.
45
Benton e nella camera della casa di Aspen che usa come studio, seduto alla scrivania davanti al portatile, in attesa che Lucy attivi la minicamera, nascosta in una penna biro e collegata a un’interfaccia cellulare che sembra un cercapersone, e il trasmettitore ambientale ultrasensibile occultato in una matita. A destra del computer, sulla sua scrivania, c’e una valigetta contenente un sistema di sorveglianza ambientale modulare. Ricevitori e registratore sono in stand-by.
A Charleston sono le dieci e ventotto minuti del mattino e ad Aspen due ore prima. Benton fissa lo schermo nero del portatile con le cuffie in testa e aspetta pazientemente. E gia li da un’ora. Lucy lo ha chiamato ieri da