paesi.

Il regnante dell’Arabia Saudita, passati ormai da tempo gli ottant’anni, viveva vecchio e malato nella sua residenza principesca a Ginevra. Di fatto aveva abdicato a favore del fratello minore, Abdallah, anche se a lui spettava ancora il titolo di re.

«Sono lieto di poter parlare con lei, dottor Breil», disse una voce stanca. «E sono ancor piu appagato che una persona come lei stia perseguendo gli ideali di fratellanza e uguaglianza che dovrebbero esistere tra tutti i popoli. Per salvare molte vite musulmane lei ha messo a repentaglio la sua. Dio le rendera merito per il suo coraggio.»

«La ringrazio, eccellenza.»

«Certamente lei sa che la mia famiglia conta migliaia di parenti. C’e chi dice che siano addirittura cinquemila. Io, benche sia ormai vecchio, non sono mai riuscito a contarli tutti. Mi limito quindi a tenere sott’occhio quelli che mi sono piu cari: molti di loro vivono qui in Svizzera, altri negli Stati Uniti. La piccola Safiya, la bambina che lei ha salvato in occasione dell’attentato alla scuola di Pasadena, e una delle mie nipotine piu care.»

Dall’altro capo della linea, Oswald percepi la commozione nella voce dell’anziano monarca.

«Mi chieda quello che vuole, dottor Breil, e io esaudiro ogni suo desiderio. Qualsiasi somma sara poca cosa, in confronto alla vita della piccola Safiya.»

«Lei non mi deve nulla, eccellenza. Mi sono comportato come ogni altra persona avrebbe fatto in quella circostanza.»

«Mi permetto di insistere, mi piacerebbe poterle essere utile in qualche modo, dottor Breil.»

I pensieri di Oswald tornarono all’impenetrabile cordone di sicurezza che si ergeva attorno alla Citta Santa.

«Qualche cosa da chiedere forse l’avrei, vostra maesta… o meglio, custode dei luoghi sacri della Mecca e di Medina…»

Oswald era vestito con gli abiti rituali dei pellegrini: questi consistevano in due panni di stoffa bianca senza cuciture; l’uno, l’izar, era posto intorno alla vita; l’altro, la rida, era gettato sulle spalle come un mantello. Gli uomini dovevano avere il capo scoperto.

Al fianco di Oswald camminava Cassandra Ziegler, quasi irriconoscibile: i capelli sotto il velo erano neri corvini e la carnagione chiara era stata scurita artificialmente.

Le donne, limitatamente ai vincoli che la legge musulmana imponeva loro, avevano maggiore liberta riguardo all’abbigliamento. A differenza degli uomini erano obbligate a tenere il capo coperto.

Ogni pellegrino doveva osservare il divieto di pettinarsi, radersi, profumarsi, congiungersi carnalmente, litigare e cacciare.

Oswald si gratto infastidito il mento, allontanando i peli ispidi della barba.

«Ma guarda un po’ come mi sono dovuto conciare: mi sembra di essere una brutta copia del fauno di Fantasia.»

«Lo dici a me, Oswald?!» gli rispose Cassandra. «Pensa che ho dovuto sottopormi a una decina di sedute di lampada abbronzante per sembrare piu scura, proprio io che tengo tanto alla mia carnagione color della luna.»

«Devo dire, pero, che questa abbronzatura ti dona. Se non mi sentissi a tutti gli effetti un pellegrino ti farei una proposta indecente.»

«Speravo proprio di averti sedotto, Oswald», scherzo Cassandra. «Peccato che i precetti di castita valgano anche per noi donne.»

Il fiume di fedeli scorreva lento, proveniente dagli ampi viali d’afflusso. Quindi il serpente umano si contorceva attorno al Masgid Al Haram e qui incominciava a compiere volute sempre piu strette su se stesso, come una gigantesca spirale.

«Non mi sento affatto tranquilla, Oswald», disse Cassandra, controllando che il velo le coprisse il capo, lasciandole scoperto il volto cosi come comandava il precetto.

«E fai bene a esserlo: nonostante le amicizie altolocate che ci hanno consentito di giungere sino qui indisturbati, da ora in poi, in caso di incidente o se qualcuno dovesse riconoscerci, dovremmo cavarcela da soli. Non credo che un ebreo e una cittadina americana infiltrati sotto mentite spoglie nel luogo piu santo dell’Islam, se scoperti, riuscirebbero a sfuggire a un linciaggio di massa.»

«Cio che mi consola e che in mezzo a questa folla e piuttosto improbabile che qualcuno presti attenzione proprio a noi.»

Avevano compiuto il settimo giro attorno alla costruzione a forma di parallelepipedo, rivestita da grandi drappi di velluto nero ricamato in oro. Al suo interno era custodita la Pietra Nera, oggetto venerato dalla religione islamica. La Ka’ba, la cui origine e ancor oggi sconosciuta, sarebbe stata donata ad Abramo dall’arcangelo Gabriele: secondo la credenza, la roccia in origine era bianca e avrebbe assunto in seguito il colore nero a causa dei peccati degli uomini che l’avevano contaminata.

Oswald e Cassandra si trovarono nel flusso che si dirigeva verso l’interno del mausoleo. La pietra, danneggiata durante un incendio alla fine del Seicento, era racchiusa in una cornice rotonda d’argento. Oswald si chino e la sfioro con la fronte: «Un oggetto e sacro indipendentemente dal valore divino che gli attribuiscono gli uomini. E sacro per l’anima, le gioie e i dolori di tutti coloro che si sono rispecchiati in quell’oggetto e vi hanno riposto speranze, desideri, felicita e angosce», era solito ripetere Breil.

Era un fatto decisamente inusitato che un’alta autorita dello Stato d’Israele fosse ferma in religioso silenzio dinanzi a una reliquia islamica. Ma in realta per Oswald Breil i dogmi religiosi erano solo dei pretesti: secondo lui, se gli uomini avessero fatto miglior uso della loro intelligenza, il fanatismo religioso non avrebbe avuto ragione di esistere e tante tragedie umane si sarebbero potute evitare.

Terminata la venerazione della Ka’ba, i precetti prevedono che il pellegrino si disseti alla fonte di Zarnzam.

Fu mentre si incamminavano verso la fonte che Cassandra si irrigidi. La donna si alzo sulla punta dei piedi, guardando davanti a se.

«Che succede, Cassandra?»

«Mi e sembrato… mi e sembrato… No, non e possibile. Forse sono soltanto stanca. Ma si, e proprio lui!»

A una trentina di metri da loro, la testa di George Glakas appariva e spariva come il capo di un naufrago tra i flutti.

«Vieni, cerchiamo di raggiungerlo», disse Oswald prendendola per mano e tentando con notevole fatica di oltrepassare la massa di persone che si frapponeva tra loro e la meta.

Erano trascorsi alcuni giorni da quando Glakas aveva emanato il suo ultimo ordine riguardo alle indagini sul Giusto: il mandato di cattura nei confronti del sergente Kingston aveva preceduto di poco la sospensione dal servizio del dirigente della CIA.

La vendetta personale del greco-cipriota naturalizzato americano era diventata ormai la sua unica ragione di vita. Ma per portare a conclusione il suo regolamento di conti verso le popolazioni di religione musulmana, Glakas aveva bisogno di sfruttare il braccio terribile e violento del Giusto in nome di Dio.

Aveva ragione il terrorista: loro due erano indissolubilmente legati e la sua sospensione passava in secondo piano dinanzi al fatto che, depistando le indagini, Glakas aveva concesso al complice un notevole vantaggio sugli inseguitori.

Una volta ottenuto il suo scopo, poco sarebbe importato a Glakas se lo avessero indagato per la sua complicita col serial bomber: dopo aver lavorato per tanti anni alla CIA, conosceva almeno una ventina di posti in cui avrebbe potuto vivere indisturbato, dimenticandosi dei sensi di colpa e dei debiti con la giustizia.

Per questo non si era tirato indietro nemmeno di fronte all’ultima, incredibile richiesta del Giusto.

«Abbiamo una cosa in comune tu e io, Glakas. Una cosa che ci rende insensibili a qualsiasi pieta nei confronti di quei figli di puttana: entrambe le nostre madri sono state uccise nel nome di Allah dalle mani degli assassini musulmani. Per questo so che tu sarai dalla mia parte sino in fondo», gli aveva detto il Giusto nel corso di una delle loro ultime conversazioni telefoniche. «E ormai ci siamo quasi arrivati, al fondo. Adesso ascoltami bene e stai a sentire che cosa mi serve.»

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