insomma, quella bambina ha cambiato il tuo sguardo, nobile Hito Humarawa.»

Gli occhi dei due orientali corsero lungo il ponte della galea, sino a posarsi su una figura che osservava il mare a poppa. Da quando erano partiti Celeste trascorreva la molte ore in preda alla malinconia.

Hito si incammino in direzione del giardinetto della nave da guerra.

«Devo parlarti, Celeste. Devo dirti delle cose importanti», disse il samurai con dolcezza.

La figlia del Muqatil aveva abbandonato i modi aspri dei primi giorni di navigazione. Piano piano aveva capito che quell’uomo era un valoroso guerriero e non l’abietto untore colpevole della diffusione della peste a Tabarqa. Certo, non poteva amare una persona che, in qualche modo, era responsabile della morte dei suoi genitori, ma l’odio di Celeste andava trasformandosi in un sentimento sempre piu simile all’amicizia e alla fiducia. La bimba alzo gli occhi del colore del mare e, senza esitazione, sostenne lo sguardo dell’uomo.

«Tra qualche giorno arriveremo a Venezia. Il padre di tua madre Diletta, Angelo Campagnola, e una delle persone piu influenti della citta. Fa parte del Consiglio dei Dieci, il governo della Repubblica, capisci, ed e lui che influenza ogni decisione del doge. Ho giurato al Muqatil che mai ti avrei consegnato a tuo nonno, ma per rispettare questo patto avro bisogno del tuo aiuto.»

Il Consiglio dei Dieci era stato istituito nel 1310 per punire i responsabili di una sanguinaria congiura capitanata da Bajamonte Tiepolo. Da allora, con alterne vicende, era stato il sinistro compagno di ogni veneziano. Spesso, pur di tenere fede al suo compito istituzionale di garante della sicurezza della Repubblica, il Consiglio si era macchiato di ogni tipo di orrenda nefandezza: i decem sapientes agivano con la stessa intransigenza dei membri del Tribunale ecclesiastico dell’Inquisizione. La citta era disseminata di «buche» ove comuni cittadini deponevano denunce anonime. I numerosi scritti delatori giungevano quindi all’esame del Consiglio, che aveva facolta di decidere se archiviare o dare corso alla denuncia. Un «lettore», scelto tra i Dieci Sapienti, assumeva l’incarico di enunciare gli esposti all’assemblea. Il Consiglio a maggioranza decideva sulla fondatezza di cio che aveva appena appreso: in caso di mancato interesse la denuncia veniva arsa su due candele che rimanevano sempre accese durante le sedute del tribunale.

Angelo Campagnola faceva parte del Consiglio sin dal giorno in cui il doge aveva ripristinato l’istituzione, qualche anno addietro.

Da quando la sua unica figlia Diletta, anni prima, era fuggita con il piu temuto tra i pirati saraceni, il nobile veneziano viveva nel timore di vedere infangata la propria reputazione e di perdere il proprio potere. Ma tale timore si era dimostrato infondato: pochi conoscevano la vera storia di sua figlia e coloro che erano al corrente della vicenda avevano testimoniato solidarieta verso il potente, oltraggiato da una figlia indegna e per questo giustamente rinnegata.

Campagnola camminava nervosamente sulla banchina del porto: una staffetta lo aveva appena avvisato dell’arrivo della nave.

Le ultime notizie che aveva ricevuto da Tabarqa dicevano che la citta era in ginocchio, devastata dall’assedio e dall’epidemia di peste.

Angelo Campagnola non riusciva a trattenere l’impazienza, mentre la galea procedeva alle manovre di ormeggio. Il suo piu grande desiderio era che Tabarqa fosse caduta. Cio avrebbe sancito la fine del pirata che aveva razziato per anni i mari della Serenissima. Inoltre, con la morte del Muqatil, il nobile veneziano avrebbe potuto cancellare la macchia che oscurava il suo onore: la vergogna di aver dato alla luce una figlia degenere.

Campagnola non dedico nemmeno un pensiero alla sorte di Diletta: sua figlia era solo uno sgradevole ricordo che, complice l’ambizione, era stato quasi del tutto cancellato dalla sua mente.

«Humarawa», chiamo Campagnola a gran voce, varcando per primo la passerella di legno che collegava la murata della galea a terra. «Quali notizie mi portate, mio fedele guerriero?» chiese il veneziano non appena si trovo davanti Hito Humarawa.

«Tabarqa e caduta. Le nostre truppe hanno preso possesso della citta da circa un mese», rispose il samurai con voce piana e priva di enfasi.

«Che ne e stato di quella che non posso piu chiamare figlia e del suo maledetto compagno?»

«Ho saputo da un prigioniero che Diletta ha contratto il morbo e che non e sopravvissuta. Il Muqatil, invece…» Humarawa ebbe un istante di esitazione, «e morto con le armi in pugno.»

«E quale sorte e toccata a quella bambina figlia del Diavolo?»

«Credo abbia fatto la stessa fine di sua madre e della maggior parte della popolazione della citta: uccisa dalla peste.»

«Mi congratulo con te, mio fido Humarawa», disse Campagnola sinistramente rassicurato. «Chiedero al doge che venga indetta una giornata di festa per celebrare la sconfitta del Muqatil. Per quanto riguarda te e i tuoi uomini, faro in modo che il vostro valore venga riconosciuto e premiato.»

«Non sono state le nostre armi a sconfiggere quella gente, bensi il flagello della peste. Altrimenti, credo che ci troveremmo ancora fuori dalle mura a cingere la citta in un inutile assedio.»

«Poco importa se siano state le armi o il contagio: in ogni caso si e trattato della mano di Dio che ha voluto liberarci di un terribile nemico», disse il Campagnola. «E se devo ringraziare la peste per aver ridotto allo stremo il Muqatil, saro per sempre infinitamente grato a quel morbo.»

«Ho visto gente morire fra atroci tormenti. Ho visto padri abbandonare figli ancora in vita tra le fiamme nella vana speranza di scampare al contagio. Perdonami, Campagnola, ma mi sembra immorale rendere grazie a un flagello che colpisce indiscriminatamente uomini, donne e bambini innocenti.»

«Siamo tutti nelle mani di Dio…» disse il veneziano allargando le braccia in segno di misericordia.

Il gigantesco Wu era rimasto in disparte. Accanto a lui un fanciullo dai capelli neri e riccioluti e dagli occhi azzurri sembrava voler trovare riparo dietro l’imponente mole del cinese.

Il colore di quegli occhi accese un lampo nella memoria del nobile veneziano.

«Chi sarebbe quel… quel bambino che accompagna il tuo scudiero, Humarawa?» chiese il Campagnola.

«E stata un’idea dello stesso Wu, signore», rispose prontamente il samurai. «Dice che non riesce ad adempiere a tutte le sue mansioni e che gli acciacchi dell’eta e gli strati di adipe lo affaticano sempre piu. Per questo mi ha chiesto di essere affiancato da un apprendista al quale insegnare la non facile arte di stare al mio fianco e che gli sia d’aiuto nei compiti piu gravosi.»

Lo sguardo del Campagnola si fece attento, il suo viso, magro e pallido, si contrasse in una smorfia crudele. Non emise parola, ma i suoi occhi indugiavano con attenzione su Celeste.

Le giornate di festa per celebrare la sconfitta del Muqatil, la peggiore minaccia dei mari, furono addirittura tre. Venezia saluto lo scampato pericolo addobbando se stessa e i suoi abitanti come per il carnevale, ricorrenza peraltro imminente.

Alessandro Crespi sorrise, osservando dal suo palazzo sulla riva degli Schiavoni il corteo di imbarcazioni che procedeva lungo il Canal Grande.

In piedi sulla tolda della nave ammiraglia, Hito Humarawa sembrava quasi a disagio, oggetto dell’ovazione della gente che affollava la banchina e le barche che ingombravano il canale. Al fianco del samurai, oltre all’immancabile Wu, si trovavano il doge e alcuni tra i piu alti esponenti dell’aristocrazia cittadina.

Crespi richiuse la finestra e torno al tavolo lungo e stretto, ove si attardava quando doveva cimentarsi con la contabilita. Un non facile esercizio, data la vastita degli affari di uno dei mercanti piu ricchi di Venezia.

Crespi aveva ancora molte spedizioni da controllare, resoconti da verificare, conti da sistemare. Ancora il sorriso apparve sulle labbra del mercante: doveva a Hito Humarawa buona parte della sua posizione sociale. Se non fosse stato per il tesoro che avevano portato via dal Giappone, quando il samurai, prefetto di una grande provincia, era caduto nel disonore e aveva deciso di scappare, forse non sarebbe mai diventato il grande mercante che era.

Era pur vero che la mente fervida di Alessandro Crespi aveva saputo far fruttare al meglio quella fortuna inizialmente costituita da oro puro e pietre preziose. Una ricchezza alla quale Humarawa non aveva mai prestato alcun interesse: per essere appagato sembrava che al samurai fosse sufficiente il contatto con la lama fredda di una katana.

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