Le tenui brezze autunnali delle coste africane avevano lasciato spazio a un clima piu rigido, ma gli uomini mancavano da troppo tempo da Venezia: per questo motivo Humarawa aveva deciso di prendere il largo ugualmente, malgrado l’approssimarsi della cattiva stagione. Ormai lui e i suoi guerrieri avrebbero avuto ben poco da fare sotto le mura della citta capitolata.
La soddisfazione della vittoria non riusciva a colmare il vuoto che aleggiava nel cuore del samurai. Strano, un uomo che era incapace di amare stava provando sentimenti profondi e contraddittori per il suo piu valoroso nemico. Il Muqatil gli mancava, cosi come manca lo scopo di una vita, il traguardo che ci si e prefissati. La meta di Humarawa poteva dirsi raggiunta e, adesso che il Muqatil era stato sconfitto, al guerriero giapponese la vita appariva insulsa.
Wu, il gigantesco pirata di origine cinese, inseparabile ombra del suo padrone, interruppe i pensieri che affollavano la mente del samurai: «Contro chi potremo combattere da oggi in poi, mio signore? Chi riuscira a respingere i nostri assalti con altrettanta arguzia ed esperienza? E strano, sino a ieri avrei dato qualsiasi cosa pur di passare a fil di lama il Muqatil e i suoi uomini. Oggi mi sembra che una parte della mia esistenza non abbia piu senso».
«Come sta la bambina?» chiese Humarawa, cercando di cambiare discorso.
«Continua a non parlare. Rimane in silenzio nella cabina che le abbiamo assegnato, avvinghiata alla sua balia. Le poche volte che e salita sul ponte e rimasta muta a guardare il mare.»
La bimba teneva lo sguardo fisso in direzione della terraferma. Gli occhi del colore dell’acqua profonda sembravano voler imprimere nella mente i particolari del paesaggio che lentamente si allontanava a poppa. Le coste di Tabarqa stavano ormai scomparendo all’orizzonte.
Il samurai le si fece vicino. Raramente si era trovato a esprimersi con toni diversi da quelli in uso tra soldati. Adesso il guerriero indomito e senza paura pareva in imbarazzo nel rivolgere la parola a una bambina di dieci anni.
«Tu… tu parli la lingua dei cristiani, Celeste?» chiese titubante Humarawa.
Gli rispose solamente un impenetrabile silenzio.
«Io non conosco a sufficienza la tua lingua, piccola», disse il giapponese con le poche parole che conosceva in arabo.
Una lacrima scese lungo le gote della bimba, lambendole le labbra, ma negli occhi color cobalto baleno per un istante un lampo d’orgoglio e di sfida; quindi Celeste fuggi, correndo sul ponte della galea. Si arresto solo quando la cinsero le braccia della donna che dalla nascita aveva provveduto a lei.
Humarawa tacque. Il giapponese sapeva che avrebbe tenuto fede per sempre all’ultima promessa fatta al piu valoroso tra i guerrieri che avesse mai conosciuto. A qualunque costo.
Celeste aveva ancora lo sguardo appannato dal pianto quando, avvicinatasi di nuovo al samurai, si rivolse a lui nella lingua dei veneziani. Il piglio fiero ereditato dal padre attraverso i suoi occhi: «Mia madre e morta per l’epidemia che avete diffuso a Tabarqa. Tu hai ucciso mio padre e distrutto la nostra citta. Io ti odio!»
Humarawa rimase impassibile. Non era capace di provare risentimento nei confronti della bambina: alcune delle cose di cui lo accusava corrispondevano a verita, ma una folla di pensieri nuovi e sconosciuti si affacciarono alla mente del guerriero.
«Se si trattasse di un giovane», si trovo a pensare Humarawa, «saprei come catturare il suo interesse: saprei insegnargli l’arte del combattimento e renderlo partecipe di ogni mio segreto… ma con una fanciulla… non so davvero come fare. Avro tempo e modo di pensarci. Questa non e che una tra le tante battaglie che ho disputato. E certo non si trattera della piu difficile.»
In cuor suo, Humarawa cercava soltanto di convincersi della facilita di un compito arduo come quello di educare una bambina priva dei genitori.
4
Agosto 2002
La citta sembrava immersa in una sostanza fluida, appiccicosa e invisibile, una specie di melassa bollente che rallentava e rendeva difficoltoso ogni movimento. Le strade erano pressoche deserte e le poche persone che avevano il coraggio di affrontare l’afa erano costrette a frequenti soste all’ombra.
La temperatura oltre i quaranta gradi centigradi e l’umidita prossima al cento per cento avevano messo in ginocchio New York.
In Federal Plaza, al trentaseiesimo piano dell’edificio, sede del Federal Bureau of Investigation, una decina di uomini pareva immune dall’epidemia di «apatia da calore» che aveva colpito la metropoli. L’unica eccezione rispetto alle altre riunioni che avevano tenuto con ogni tempo e in ogni luogo era costituita dalla concessione che il direttore generale aveva appena fatto ai propri collaboratori: nel corso di quel meeting avrebbero potuto levare le giacche e rimboccare le maniche delle camicie.
Il direttore generale dell’Agenzia era un uomo rigoroso, altrimenti non sarebbe mai arrivato a dirigere la piu efficiente polizia federale del mondo. Conrad Deuville, questo il nome di colui che era seduto a capo del grande tavolo ovale per presiedere la riunione dei vertici dell’FBI, aveva una serie di precise convinzioni. Il rispetto della forma da parte dei suoi diretti sottoposti faceva parte di queste.
«Merda!» esclamo Deuville, mostrando la prima pagina del giornale ai suoi collaboratori. «Dio stramaledica questa manica di figli di puttana che risponde al nome di eletta casta dei giornalisti! Ci mancavano anche loro, come se non ne avessimo abbastanza!»
Le prime pagine di tutti i quotidiani del mondo erano dedicate al terribile incidente del golfo Persico e alle ripercussioni gravissime che aveva prodotto sui mercati internazionali. Primo fra tutti il prezzo del petrolio che aveva iniziato una vertiginosa salita sin dai primi minuti seguiti al naufragio. In qualche ora era arrivato alla cifra, mai nemmeno pensata in precedenza, di settantadue dollari al barile, e la corsa non pareva volersi arrestare. Alcuni analisti calcolavano che l’escalation non si sarebbe fermata prima dei settantacinque-ottanta dollari: un prezzo giudicato ai limiti dell’insostenibilita per qualsiasi economia.
L’attentato nello stretto di Hormuz stava mettendo in ginocchio il mondo occidentale e i paesi fornitori di petrolio.
L’elicottero per trasporto truppe si alzo in volo alle 5.22 del mattino. Deidra Blasey sapeva, cosi come ne erano convinti i diciannove marine ai suoi ordini seduti a bordo, che per gli EOD non esistevano missioni di routine. La bonifica di un campo minato o la neutralizzazione di una trappola esplosiva rappresentavano un rischio enorme sia in guerra che in pace. E un artificiere dei marine, Deidra era solita ripeterlo, doveva essere pronto a ogni evenienza: sia mentre si paracadutava dietro le linee nemiche da un Hercules che volava a bassa quota, sia se si immergeva per neutralizzare un muro di mine subacquee che precludevano l’accesso a un porto.
I soldati sottoposti al colonnello Blasey o «Mrs Fuse», come veniva chiamata dagli addetti ai lavori — letteralmente Signora Spoletta —, erano considerati tra i piu affidabili al mondo quando si trattava di maneggiare esplosivi, sminare e bonificare territori. Grazie a loro erano state rese nuovamente calpestabili vaste zone sparse in ogni angolo del mondo. I luoghi in cui era chiamata a operare la squadra speciale dei marine, il cui motto era: «Nervi d’acciaio», erano accomunati dagli invisibili meccanismi di innesco delle mine. Qualche ordigno del valore di pochi dollari, ma di potenza subdola e devastante, poteva ridurre un plotone di soldati a un gruppo di storpi. «Un solo militare ferito e piu pesante di cento morti», aveva l’abitudine di ripetere un vecchio stratega.
Le pale dell’elicottero fecero vorticare nuvole di sabbia, poi il velivolo si poso con la leggerezza di un insetto nella radura, a pochi passi dal fiume Tigri, che delimita il confine con l’Iraq. I marine scesero rapidi.
Prima di impartire l’ordine di muoversi il sergente Kingston verifico minuziosamente l’equipaggiamento che avevano appena scaricato. Quindi il sottufficiale si rivolse al suo comandante. Se non fosse stato per il rombo dei rotori, la zona attorno al villaggio di Faysh Kabur avrebbe risonato della stentorea voce di Kingston.
Deidra Blasey fece un cenno d’assenso con il capo coperto dall’elmetto e il plotone di sminatori si mise