tenente Cassali.

«Grazie, signor colonnello», aveva risposto Sciarra della Volta. Quindi, indicando i feriti attorno a lui aveva aggiunto: «Dobbiamo soprattutto al valore di questi uomini e di tutti i caduti sotto il fuoco nemico la riuscita dell’attacco».

«E vero, onore ai caduti e ai valorosi alpini», aveva convenuto Cantini con aria enfatica.

«Molti ufficiali sono rimasti vittima del fuoco austriaco, anche un mio valoroso parigrado, il capitano Martini, e caduto al comando della sua compagnia mentre stava difendendo una postazione strategica conquistata dai suoi uomini.»

Il colonnello fece un rapido giro dell’ospedale, ricavato nello slargo di una galleria. Si soffermo brevemente dinanzi ai feriti piu gravi. L’alto ufficiale poso le mani sulla fronte di un ragazzo di diciotto anni che, al posto degli arti superiori, aveva delle bende intrise di sangue.

Alberto Sciarra ripenso all’adagio di chissa quale poeta: «…La guerra e bella… »

La stretta della mano del tenente Cassali lo riporto alla realta.

«Ce l’abbiamo fatta, signor capitano, non e vero?» chiese Cassali con lo sguardo annebbiato e ormai fisso nel vuoto. «Ditelo voi ai miei genitori che ce l’abbiamo fatta.»

Il giovane tenente chiuse gli occhi per sempre.

Tabarqa, 1347

All’interno della propria tenda il guerriero giapponese, prima di cedere al sonno, si dibatteva tra dubbi e rimorsi.

Per lui la guerra doveva sottostare alle leggi dell’onore. E l’aver disseminato l’epidemia nella citta sotto assedio andava contro le inflessibili regole del bushido, l’antico codice di comportamento dei samurai.

Quanto tempo era passato da quando Hito Humarawa era fuggito dal suo paese coperto dal disonore! Un’onta talmente vergognosa che, sebbene lui combattesse da tempo per i veneziani, nessuno in patria gli avrebbe mai piu perdonato.

Ma mentre la stanchezza lo stava per vincere e i suoi pensieri si facevano sempre piu confusi, un rumore all’interno della tenda lo riporto alla realta e, prima che potesse rendersi conto di che cosa stesse succedendo, una voce ferma e forte lo desto del tutto.

«Sono io, Humarawa. Vengo in pace», disse la voce nel buio. «Prima di aggredirmi ascolta quanto ho da dirti. Nei miei confronti tu hai contratto il piu indissolubile dei debiti: quello dell’onore.»

«Ti ascoltero, Muqatil», rispose Humarawa, che aveva subito riconosciuto la voce. «Ti ascoltero, mio onorevole nemico.»

Poco fuori, le sentinelle ignare e rese distratte dall’inattivita dell’assedio si aggiravano tra i fuochi del campo. All’interno della tenda di uno dei comandanti della spedizione veneziana, due uomini si stavano confessando l’un l’altro sentimenti profondi e debolezze. La circostanza era singolare perche i due si combattevano ormai da tredici ininterrotti anni: ciascuno aveva come principale scopo della propria vita la sconfitta dell’altro.

«So», disse il saraceno, «che la vile idea di diffondere il contagio nella citta assediata non e stata tua. Conosco il tuo valore e sono certo che tu non ricorreresti a certi odiosi espedienti.»

Il giapponese era seduto sul letto e aveva alzato la fiamma del lume a olio. Il cenno di diniego di Humarawa confermo al saraceno la sua estraneita a quella macchinazione.

Gli occhi color cobalto del Muqatil brillarono alla luce della lampada, mentre continuava: «Ritengo ormai inutile tacere. I pochi soldati rimasti ai tuoi ordini stanno solo aspettando che i corvi scendano sulla citta a banchettare. Quello sara il segnale che anche l’ultimo degli abitanti e stato colpito dalla peste. Almeno settanta soldati ogni cento sono gia morti per l’epidemia. Tra le donne e i bambini la percentuale e molto superiore. Diletta, la donna che amo, non vedra il sorgere del nuovo giorno. Ma io ti assicuro, Humarawa, che non moriro tra i versamenti dei bubboni, mentre la carne annerisce per la cancrena. Io voglio morire da guerriero, e a un guerriero mi rivolgo, in nome della lealta».

«Vai avanti, Muqatil», disse il giapponese, senza distogliere lo sguardo dal suo avversario.

«Credo tu sia stata una delle prime persone a prendere in braccio mia figlia, quando, per ordine del padre di mia moglie, il perfido Campagnola, la sottraesti a sua madre Diletta. Io adesso ti chiedo di portare la mia Celeste in salvo, lontana dagli spettri di morte che aleggiano su Tabarqa. Tu non puoi sapere, Humarawa, cosa sia il contagio all’interno di una citta assediata.»

La luce del sole illumino il campo. Con lentezza rituale, Humarawa procedette alla vestizione, aiutato da Wu, il suo scudiero, intento a stringere i legacci di seta che assicuravano l’armatura da samurai al corpo muscoloso del giapponese.

Il sole era alto quando la porta principale della citta si spalanco.

Il Muqatil cavalcava un purosangue nero. I pennacchi variopinti sulla sommita dell’elmo ondeggiavano scossi dal vento caldo proveniente dai vicini deserti.

Dietro al guerriero saraceno avanzava un gruppo di soldati in armi, pronti a morire combattendo. Erano gli unici abitanti di Tabarqa sopravvissuti alla peste.

Humarawa era schierato alla testa dei suoi. Levo la spada dinanzi alla maschera da guerra che portava. La lama della katana si arresto all’altezza del viso, in segno di saluto verso l’onorevole nemico.

Il Muqatil, il volto segnato dall’incedere del male, rispose al saluto, preparandosi a quella che, forse, sarebbe stata la sua ultima battaglia.

Base aerea di Konya, 200 km a sud di Ankara, giugno 2002

Il rumore dei motori del trireattore Boeing della US Air Force le ronzava ancora nelle orecchie, e si sovrapponeva al sibilare del vento proveniente da sud.

Il colonnello Blasey sollevo lo zaino e si diresse risoluta verso l’edificio a destra della pista.

Il sergente Kingston accenno appena un gesto di cavalleria, offrendosi di trasportare il pesante bagaglio. Poi il corpulento sottufficiale scosse il capo: Deidra Curring Blasey era un ufficiale dei marine a tutti gli effetti, uno tra i piu esperti ufficiali in servizio.

«Andiamo, ragazzi», disse rivolgendosi ai sessanta uomini, tra artificieri, tecnici e sminatori ai suoi ordini. Nessuno tra loro dimostrava la minima perplessita dinanzi al fatto che fosse una donna a impartire ordini: il loro comandante si era guadagnato i gradi sul campo. «I cammellieri del deserto hanno bisogno della nostra consulenza per trovare strade sicure», spiego il colonnello, issando lo zaino sulle spalle. «Diamoci da fare, se vogliamo tornare a casa rapidamente… e attenti a dove mettete i piedi: la zona e piena di mine antiuomo.»

Il vento portava con se un vortice di ricordi: lei era appena rientrata dalle operazioni nel Golfo, quasi dieci anni prima, quando un maledetto cancro le aveva portato via il marito, un onesto assicuratore del North Carolina. Poco dopo, le era stato strappato l’unico affetto che le era rimasto: suo figlio Martell era morto dilaniato dalla mano assassina di un terrorista in un bar del Cairo.

PARTE PRIMA

Ah, Dieu! Que la guerre est jolie avec ses chants ses longs loisirs.

Ah, Dio, com’e bella la guerra con i suoi canti e i suoi lunghi ozi.

Guillaume Apollinaire, Calligrammi
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