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Hormuz, agosto 2002

Quando era stata varata, nel 1973, la Emerald Light, una VLCC, Very Large Crude Vessel, era un vero gioiello della piu elevata tecnologia, una petroliera capace di caricare circa trecentomila tonnellate di greggio, riducendo cosi gli iperbolici costi di trasporto derivanti dalla forzata circumnavigazione dell’Africa. La prima conseguenza della guerra tra Egitto e Israele era stata, infatti, la chiusura del canale di Suez.

Con il passare degli anni, con il mutare degli equilibri nel Medio Oriente, e soprattutto con la riapertura del canale, quei colossi d’acciaio erano stati prossimi al disarmo e alla rottamazione, poi alcuni avevano ammainato la bandiera delia Major Oil Company americana a cui erano appartenuti e avevano issato il vessillo di qualche paese produttore. Per questi Stati, infatti, riuscire a esportare la maggior quantita di greggio possibile equivaleva a un maggior introito.

L’opera viva della Emerald Light in origine era di un colore verde scuro, ora interrotto da vaste chiazze scrostate, indotte dall’ossidazione.

Il vecchio logo della Chevron Oil Company si intravedeva ancora sul fumaiolo, appena nascosto da una mano di vernice di colore giallo. Sotto la scritta recante il nome della nave, sia a prora che a poppa, troneggiava la traduzione del medesimo in caratteri arabi, sebbene la nave battesse bandiera liberiana.

La superpetroliera era destinata a esportare quantita consistenti di greggio, tutte quelle che il governo di Teheran riusciva a far filtrare tra le maglie non troppo strette delle quote imposte dall’OPEC. Nulla di illegale, soltanto una palese violazione al gentlemen agreement a cui sottostavano gli Stati produttori di petrolio. E nello stesso tempo un espediente a cui i paesi del cartello ricorrevano sovente, non appena l’economia nazionale mostrava segni di difficolta.

L’imponente sagoma della Emerald Light, con i suoi trecentosessantotto metri di lunghezza, stava all’ancora al largo dell’isola di Abu Musa, maestosa creatura d’acciaio, mentre attendeva la formazione del convoglio alla testa del quale avrebbe dovuto muovere. Non appena le altre sei navi l’avessero raggiunta, la Emerald Light avrebbe salpato per dirigersi verso lo stretto che separa il golfo Persico dal mare dell’Oman.

I contatti radio fra la terraferma e il ponte di comando si erano andati intensificando, mentre gli addetti al controllo del traffico impartivano le istruzioni necessarie agli uomini in plancia.

«Emerald Light, Emerald Light», gracchio la radio. «Qui controllo traffico. Avete via libera per l’attraversamento dello stretto. Sarete alla testa di un gruppo di navi formato da altre tre petroliere, una nave carica di prodotti chimici e due cargo. Buon viaggio!»

La nave si trovava al traverso di Jazire-ye Qesh, e in breve avrebbe doppiato lo stretto di Hormuz, poi si sarebbe diretta verso il mare aperto. Dietro alla Emerald Light avanzava il resto del convoglio.

A bordo della Danae, una nave cisterna capace di trasportare cinquantamila tonnellate di prodotti petroliferi raffinati, la giornata si prospettava tranquilla. La Danae era la prima al seguito della EmeraldLight. Il secondo ufficiale chiamo il comandante in plancia non appena ricevette l’autorizzazione a salpare.

«Posizioniamoci a un quarto di miglio dalla poppa della VLCC», disse il comandante della Danae, «e manteniamo la distanza di sicurezza. Anche se potrebbero servire a poco alcune centinaia di metri se quel colosso che ci precede dovesse trovarsi in difficolta.»

Il secondo ufficiale, un norvegese massiccio dal colorito rubizzo, si esibi in un gesto scaramantico, poi si rivolse al suo superiore. «Senza contare che siamo noi stessi una bomba innescata: a causa dei gas presenti nelle tanche, una nave vuota e ben piu pericolosa di quanto non lo sia da carica.»

La Danae, infatti, faceva la spola tra le raffinerie del Mediterraneo, dove imbarcava benzina che veniva poi rivenduta lungo le coste del golfo Persico. Puo sembrare un paradosso, ma i paesi produttori di petrolio soffrono da sempre di croniche carenze di prodotti petroliferi raffinati.

Sulla Emerald Light uno dei marinai di guardia inforco la bicicletta, utile mezzo di locomozione per percorrere rapidamente i quasi quattrocento metri di lunghezza del ponte.

La prima esplosione scosse la poppa in prossimita della enorme pala del timone. Quindi le venti cariche poste sotto la linea di galleggiamento deflagrarono l’una dopo l’altra.

La Emerald Light emise un assordante lamento, mentre le lamiere si contorcevano, poi le vampe di fuoco invasero la coperta seminando morte e distruzione.

Sul ponte di comando, gli ufficiali e i piloti avevano avuto appena il tempo di accorgersi che, dopo la prima esplosione, la nave era diventata ingovernabile: quasi certamente la carica aveva danneggiato irrimediabilmente il timone. La successiva serie di detonazioni aveva scosso l’intero scafo ferendolo a morte.

Un giovane addetto della guardia costiera degli Emirati raccolse per primo il breve messaggio di mayday da un non meglio identificato ufficiale della Emerald. Poi un silenzio denso di tristi presagi scese sulle comunicazioni radio.

Il gigante d’acciaio ferito rallento bruscamente, mantenendo pero la linea di rotta.

A quel punto la Danae inizio la manovra di arresto, ma fermare un gigante di cinquantamila tonnellate di stazza non era cosa semplice ne immediata.

Il comandante e il secondo ufficiale della Danae rimasero a guardare increduli la fiancata della Emerald Light che sfilava miracolosamente a dritta della loro nave. Un’espressione di sollievo si dipinse sul volto dei due ufficiali quando si resero conto entrambi che il pericolo di collisione era stato scongiurato per una manciata di centimetri.

Fu in quell’istante che accadde l’irreparabile: la fiancata della EmeraldLight si apri come una scatola di latta, riversando in mare il contenuto delle stive.

Il petrolio grezzo prese immediatamente fuoco, investendo la Danae. Nessuno ebbe il tempo di rendersi conto di quello che stava succedendo: la petroliera, un immenso serbatoio di vapori combustibili, esplose.

Soltanto le ultime due navi del convoglio sarebbero riuscite a evitare il lago di fiamme che si era propagato lungo la rotta: il mare era diventato in pochi secondi la scena di un’apocalisse in cui fumo e fiamme inghiottivano qualsiasi cosa.

Centinaia di migliaia di tonnellate di petrolio bruciavano nel punto piu angusto dello stretto e quattro delle navi del convoglio erano scomparse in quell’inferno senza aver avuto modo di evitarlo, anzi contribuendo ad alimentare ulteriormente l’incendio.

Nessuno a bordo delle due navi sopravvissute alla strage, mentre si allontanavano dal mare in fiamme, pote rendersi conto dell’effettiva portata di quel disastro.

Nessuno si fermo a considerare il fatto che il petrolio e i prodotti chimici avrebbero bruciato ancora a lungo e che i relitti delle navi avrebbero precluso a tempo indeterminato la percorribilita di una delle piu battute rotte del petrolio.

Nessuno ebbe tempo e modo di valutare immediatamente le conseguenze dell’incidente: nessuno, tranne l’autore di quel vile massacro.

2

Fronte dolomitico, 31 dicembre 1915

«Che cosa puo augurarsi dall’avvento del nuovo anno un uomo in guerra?» A questo stava pensando Alberto Sciarra della Volta mentre percorreva la trincea della prima linea, cercando di portare conforto e coraggio ai propri soldati. La promozione a maggiore era arrivata subito dopo il primo assalto: a dire il vero quello scontro era rimasto una battaglia isolata, nell’ambito di un conflitto fatto di mantenimento di postazioni, attese e brevi

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