Laden», aveva aggiunto.

Mentre componeva il numero interno di Glakas, il direttore della CIA immaginava quanto le pressioni subite dal presidente avessero influito sulla sua decisione di classificare il Giusto al primo posto tra i nemici degli Stati Uniti.

Glakas tacque solo per poco di fronte alla sfuriata del suo capo. Lo lascio sfogare, quindi passo al contrattacco: «Si, signore, mi rendo conto che molti paesi arabi sono di vitale importanza per la politica e l’economia degli Stati Uniti, cosi come mi rendo conto che il Giusto costituisce una minaccia per gli equilibri tra gli Stati. Capisco bene che i novecento morti del Bahrein pesano come macigni anche sulle nostre coscienze. Ma le accuse, piu o meno velate, che ci vengono rivolte sono del tutto infondate. Ci stiamo dando da fare per identificare il Giusto, cosi come abbiamo sempre fatto con ogni terrorista. A questo proposito, signore, stiamo mettendo in piedi una trappola nella quale ci auguriamo che il Giusto cada. Certo, signore… non ne dubiti… la terro informata».

Glakas poso il telefono e cerco sulla sua agenda il numero di Gavrilovic. In breve la voce del russo gracchiava, resa roca dalla vodka, nel ricevitore del funzionario governativo: «No, signore, nessuna novita. Non ha piu richiamato dopo quell’unico contatto… e sono gia passati cinque giorni…» Dall’altra parte della linea, Glakas udi il trillo di uno di quei campanelli posti a segnalare l’entrata in un pubblico esercizio. «La terro informata, signore, e la contattero non appena si fara vivo. Non ne dubiti… adesso ho gente… a presto, signore.»

L’ucraino si esibi in un sorriso smagliante, salutando con aria melliflua il cliente che gli stava davanti: «Eccomi a lei. Sono a sua disposizione… In che cosa posso esserle utile?»

Le mani dalle dita sottili posarono sulla mensola una voluminosa borsa di tela plastificata, dalla quale estrassero un antico vaso cinese alto cinquanta centimetri e dal diametro di una trentina.

«E un vaso Ming originale. Vale almeno seimila dollari», disse il cliente.

«Vuole venderlo o darlo in pegno?» chiese il russo, senza riuscire a mascherare la sua cupidigia.

«Lo voglio vendere. E vorrei anche acquistare uno di quei telefoni usati che ho visto in vetrina: ho perso il mio cellulare.»

Gavrilovic aveva tratto il vaso Ming al di la della pesante grata protettiva d’acciaio e lo stava esaminando con attenzione. Non poche volte quella griglia che lo separava da clienti spesso violenti gli aveva salvato la vita.

«Posso darle trecento dollari e un Motorola ultimo modello con dieci dollari di traffico prepagato. Non un soldo di piu.»

«Va bene», disse il cliente, senza fare una piega.

Il russo impreco tra i denti, maledicendo la sua fretta: forse il cliente avrebbe accettato di vendere il vaso anche a una cifra inferiore. Ma era inutile recriminare: l’affare era concluso.

L’uomo usci dopo aver preso sei banconote da cinquanta dollari e un telefono cellulare alquanto malconcio.

«Torni quando ha bisogno di me», disse il russo con aria soddisfatta.

La gente stava sempre peggio ed era costretta a reperire liquidi ovunque, penso Gavrilovic. Questa era una garanzia per i suoi traffici e, ora che i federali avevano smesso di intromettersi nelle sue attivita, i suoi affari sarebbero andati sempre meglio.

«La gente ormai e davvero pronta a tutto, se esiste chi e disposto a cedere per trecento dollari un oggetto che ne vale seimila!» disse fra se Gavrilovic, sollevando con cura il vaso Ming. Dopo di che il russo, estraendolo da sotto una pila di pubblicazioni sul tavolo, prese un libro d’antiquariato e incomincio a scorrerlo nella speranza di trovarvi qualche immagine di oggetti di fattura simile.

La sua attenzione fu attratta da un vaso pressoche identico al suo. Il libro faceva risalire l’opera al periodo di Shenzhong-Zhu Yijun, che andava dal 1572 al 1620. Seguivano alcune valutazioni, nessuna delle quali era inferiore ai diecimila dollari.

Felice per l’affare che aveva appena concluso, Gavrilovic decise che avrebbe esposto il vaso sul ripiano alle sue spalle, nella vetrina degli oggetti importanti. Era il primo luogo in cui guardavano i suoi migliori acquirenti, tra i quali figuravano alcuni collezionisti e quotati antiquari di New York. Tutti condividevano con lui l’assoluta mancanza di scrupoli quando si trattava di fare affari.

Gavrilovic spinse a fatica la mano dentro il collo del vaso. L’oggetto che tocco con la punta delle dita gli sembro familiare. Anche se non riusci a capire subito di che cosa si trattasse, il russo intui che li dentro non avrebbe dovuto starci.

Quando riconobbe le forme di un telefono cellulare, penso a cio che gli aveva detto il suo distratto cliente. Ecco dov’era finito! Peggio per lui, penso il ricettatore, cercando di estrarre il telefono. L’apparecchio era assicurato con del nastro adesivo al fondo del vaso. Gavrilovic ebbe appena il tempo di rendersi conto del pericolo.

Le dita sottili si strinsero attorno al Motorola che probabilmente qualche tossico, dopo averlo rubato, aveva venduto a Gavrilovic per procurarsi i soldi di una dose. Il banco dei pegni non era ancora scomparso alla vista.

Il Giusto compose un numero sulla tastiera e, nell’istante in cui ricevette il segnale di libero, una vampa di fuoco fuoriusci dal negozio del russo e un boato assordante riempi la strada.

Imperturbabile, il Giusto giro l’angolo. Compose un altro numero sulla tastiera e avvicino una specie di microfono all’apparecchio.

«Glakas?» La voce che udi il funzionario della CIA era palesemente alterata da qualche meccanismo elettronico.

«Sono io», rispose Glakas, chiedendosi come mai uno sconosciuto avesse ottenuto il suo numero privato.

«Non cercare di rintracciare la chiamata. Sarebbe inutile. Tra non molto qualcuno ti avvertira che il corpo del tuo amico Gavrilovic e stato ‘filtrato’ dalla grata che lo separa dal pubblico nella sua agenzia di ricettazione.»

«Che cosa vuoi dire?»

«Esattamente quello che ho detto, Glakas. Non mi capacito che tu abbia scelto un simile compare per i tuoi sporchi giochi. Ma davvero mi credevi tanto stupido da cadere in una trappola del genere?»

«Chi sei? Chi sta parlando?»

«Sai bene chi sono. Addio, Glakas.»

«No, aspetta. Tu e io dobbiamo parlare. Io potrei esserti utile…»

Clic.

Il suono intermittente di interruzione della linea provoco nel funzionario della CIA un senso di impotente frustrazione, del tutto inusuale in un uomo come lui.

Il Giusto appoggio il telefono cellulare sul bordo del marciapiede, quindi, con la punta della scarpa, spinse l’apparecchio dentro a un tombino: nessuno avrebbe mai potuto ritrovarlo e, se anche cio fosse avvenuto, la sua permanenza nelle fogne di New York l’avrebbe reso nel frattempo inutilizzabile.

30

Luglio 1917

Il piroscafo Citta di Tripoli era stato adibito al trasporto delle truppe verso le coste africane dall’inizio della guerra. Era una nave di medie dimensioni, poco meno di tremila tonnellate di stazza, ma in grado di tenere bene il mare.

Sciarra della Volta respirava a pieni polmoni, come se fosse rimasto chiuso dentro a una stanza per mesi. E in effetti c’era una bella differenza tra l’aria rarefatta delle Dolomiti e i profumi che la brezza delle coste dell’Africa portava verso il Mediterraneo.

«L’uomo si abitua a tutto», si disse il colonnello italiano, appoggiandosi alla balaustra incrostata di salsedine. «Anche alla maledizione della guerra.»

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