Ragusa, 1348

«Avremmo dovuto capire a che cosa stavamo andando incontro: la bonaccia e la nebbia altro non erano se non presagio di sventura», diceva uno degli sgherri a un suo compagno.

«Gia, abbiamo impiegato piu di dieci giorni per raggiungere un’altra citta dove si va diffondendo la peste. Come se non ce ne fosse stata abbastanza a Venezia…» aveva risposto l’altro, appena prima che Campagnola piombasse su di loro come un falco.

«Che cosa state dicendo?» Il veneziano estrasse lo spadino che portava sempre alla cintura. Nonostante l’eta non piu rosea era ancora un ottimo schermitore, in grado di incutere timore e rispetto.

La punta della spada era appoggiata sulla guancia del secondo uomo che aveva parlato.

«Attenzione, mio caro», disse Campagnola con un’aria diabolica. «Su ognuno di voi, da quando vi ho tirati fuori dalle galere nelle quali eravate destinati a morire, vanto diritto di vita o di morte. Non vorrei doverlo esercitare adesso. Se davvero credete ai presagi, provate a pensare che da quando quel maledetto ragazzino e sbarcato nella nostra citta, su Venezia pare scesa la maledizione del Demonio. Presto, Tommaso.» Campagnola ritrasse l’arma e si rivolse al capo dei suoi: «Abbiamo girato la citta in lungo e in largo, senza trovare traccia di Adil. Credo sia meglio allontanarci da questi effluvi mefitici, tanto piu che chi cerchiamo probabilmente e fuggito via mare. Torniamo alla cocca e prepariamoci a salpare».

«Quanti erano?» aveva chiesto Humarawa alla donna, non appena Rhoda gli aveva riferito della visita degli sgherri veneziani.

«Torneranno», disse il giapponese. «Per quanto conosco Campagnola non rinuncera molto presto a noi. Dobbiamo prepararci a riceverli.»

«Perche questo Campagnola e cosi accanito contro di voi? Wu mi aveva detto che avete prestato i vostri servigi a lui e alla Repubblica veneziana per lungo tempo. Come mai ha cambiato idea?»

«Credo che sia a causa di Adil. Penso che Campagnola veda in lui un pericolo o una maledizione.»

«Un bambino? Come e possibile che una delle persone piu influenti a Venezia dia la caccia a un bambino…»

«E una lunga storia, donna. Un giorno te la raccontero, adesso pero dobbiamo prepararci a ricevere visite sgradite e io devo tentare di riprendere un po’ di forze.»

Humarawa aveva trascorso gli ultimi giorni ad armeggiare con corde e pesi, aiutato da Rhoda, che eseguiva in silenzio gli ordini impartiti dal giapponese e che assisteva affascinata agli esercizi del samurai, intento a recuperare la potenza e a mimare duelli e battaglie con la sua spada.

Il corpo di Crespi era stato avvolto in una vecchia rete, zavorrato con dei pesi e gettato in mare.

«Che cosa stiamo aspettando?» chiese Adil, dopo alcuni giorni. «Perche non torniamo da Humarawa? Vorrei sapere come sta.»

«Il piu importante dei motivi, Adil, e che siamo stati a contatto con un uomo malato di peste. E meglio aspettare ancora un po’ prima di scendere a terra e, soprattutto, non dovremmo avvicinarci a una persona indebolita da una grave ferita. Sempre ammesso che il mio signore sia riuscito a cavarsela. Ma quando smettera questa maledetta bonaccia che ci costringe a restare immobili nella nebbia piu fitta e se saremo sicuri di non essere stati contagiati, accosteremo alla spiaggia dove c’e la casa di Rhoda.»

Le cocche erano da sempre destinate al commercio locale: da Venezia queste robuste imbarcazioni, lunghe dai dieci ai diciotto metri, trasportavano nell’Adriatico merci di ogni genere.

Ma da quando era scoppiata la peste, molte di quelle navi erano state requisite e destinate al trasporto dei cadaveri e dei malati verso le isole della morte, cosi che il commercio aveva subito un brusco arresto.

La cocca avanzava a buona andatura. Per fortuna la nebbia si era diradata, sospinta da un freddo vento proveniente da nord che gonfiava la vela latina.

Le coste sfilavano a dritta, a una distanza ravvicinata.

Campagnola aveva ordinato di costeggiare ogni terra emersa, comprese le isole. A chi gli aveva fatto notare che trovare i fuggiaschi sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio, il veneziano aveva aspramente risposto: «Abbiamo tutto il tempo necessario: la loro imbarcazione non potra passare inosservata. Dovranno pur tirarla in secco o ormeggiarla da qualche parte».

«Cos’e quella catapecchia?» disse Campagnola, indicando una casupola su un’altura che dominava la spiaggia. Dal camino si alzava un sottile filo di fumo.

«Vi consiglio di stare alla larga da quella casa, signoria. Del resto noi ci siamo gia stati», disse Tommaso, «li abita una fattucchiera: dalle sue pozioni si sprigiona un odore fetido che e rimasto impregnato ai nostri abiti per giorni.»

«Quindi avete gia controllato. Bene, mi pare non ci siano altre case lungo la costa deserta.»

«Non e stato, a dire il vero, un controllo molto approfondito… L’odore che aleggiava nella casa ci ha impedito di entrare…»

A questo punto Tommaso si fermo, rendendosi conto di essere stato, per stupidita o leggerezza, superficiale e distratto. Ma Campagnola non lo era altrettanto. Con gli occhi ridotti a due fessure, incomincio a dettare i suoi ordini: «Girate dietro quello sperone di roccia. Dalla casa non si deve vedere la barca. Se dovessero trovarsi la dentro non devono accorgersi del nostro arrivo. Quando saremo al riparo troveremo un punto dove sbarcare e procederemo via terra. Dobbiamo muoverci con circospezione: soltanto agendo di sorpresa potremmo sopraffare combattenti come Humarawa o il cinese».

Rhoda si era recata, come di consueto, alla ricerca delle preziose erbe medicinali che le servivano per preparare i suoi infusi.

L’aria era ancora densa della persistente umidita che giorni e giorni di nebbia avevano depositato ovunque, anche nelle ossa delle persone. Si tiro dritta, la mano destra che stringeva la roncola. Poco distante la cesta piena di erbe, bacche e radici.

La casa era poco lontana, nascosta alla vista da uno sperone di roccia. Da quando aveva accolto quell’uomo la sua vita era molto cambiata, decisamente in meglio. Sempre piu spesso la mente di Rhoda era sgombra dai pensieri terribili che l’avevano accompagnata nel corso degli ultimi anni.

«Signora!» disse fra se sorridendo, «mia signora!» ripete, pensando a Wu che si rivolgeva a lei con appellativi degni di una regina. Un velo di apprensione scese sugli occhi della donna, preoccupata per l’incerto destino in cui poteva essere incappato il gigante cinese.

Rimase a guardare la nave, una nave tozza, come tutte le imbarcazioni da trasporto che incrociavano lungo le coste tra Ragusa e Spalato. A mano a mano che la vedeva avvicinarsi, l’angoscia si impadroniva di lei. Osservo gli uomini che si alternavano alle manovre, la barca porsi al vento e gettare l’ancora. Si mise di sentinella, nascosta nella vegetazione. Quando vide l’equipaggio montare sulla scialuppa e dirigere verso la spiaggia ebbe conferma dei suoi timori: l’uomo che, quasi un mese prima, l’aveva interrogata sul giapponese e sui suoi compagni, adesso era accanto a un altro, piu anziano ed elegante, che le parve essere il capo di quel manipolo. Un cavallo stava al centro della scialuppa: quasi certamente era destinato a quello vestito piu riccamente.

Rhoda prese a correre verso la casa, scivolando spesso sul fondo fangoso e ferendosi con le spine dei rovi. Doveva fare presto, se voleva avvertire in tempo Hito Humarawa del pericolo.

Il marinaio aveva un’aria soddisfatta: preferiva di gran lunga restare a bordo a montare la guardia piuttosto che accompagnare il suo iroso padrone nella spedizione a terra.

Stava ingannando il tempo sistemando cime e bozzelli e pulendo sommariamente il ponte della nave con secchiate d’acqua salata.

Non si accorse del gigante fino a che non se lo trovo davanti.

Anni e anni passati ad assaltare navi con ogni mare e ogni vento gli avevano insegnato qualcosa. Wu aveva tirato in secco la barca da pesca in una spiaggetta isolata. Aveva chiesto a Adil di nascondere il piccolo peschereccio con delle frasche ed era scivolato in mare, con l’agilita dei grandi mammiferi marini.

Come una balena aveva nuotato a pelo d’acqua sino alla murata della cocca, quindi, impugnando la spada, aveva oltrepassato il parapetto strisciando sul ponte come un serpente in caccia.

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