anteriori munite di artigli affilati come pugnali e si preparo ad aggredire. Adil strinse il pugnale nella mano e affibbio un colpo dal basso verso l’alto tra le scapole dell’animale, che parve vacillare per alcuni istanti.

Allora Vlad miro al centro del petto: la lama penetro quasi sino all’elsa e l’orso si accascio riempiendo la foresta del suo urlo di morte.

Ansimante, Adil ebbe la forza di rivolgere un sorriso al compagno, ma questi, ancora divorato dal rimorso per quel bacio contro natura, non osava alzare lo sguardo su di lui. La luce del fuoco era ancora viva: gli artigli dell’orso avevano strappato la casacca e la camicia di Adil.

Vlad si sincero con un rapido sguardo che il compagno non fosse ferito. Fu allora che i suoi occhi increduli si fermarono sul seno sodo e tornito: la zampata dell’orso aveva ridotto a brandelli anche la fascia con cui Celeste soleva costringerlo e nasconderlo alla vista.

«Ma tu… ma tu sei…» Gli occhi di Vlad avevano un’espressione incredula e felice come quelli di un bambino di fronte alla magia di un illusionista.

«Era proprio quello che stavo cercando di dirti, Vlad, prima che questo bestione venisse a interrompermi. Volevo anche dirti che non sei il solo a cui sono capitate cose strane dal momento del nostro incontro…»

Celeste non fece a tempo a finire la frase: la bocca di Vlad sulla sua la ridusse al silenzio.

Il fuoco li vide avvinghiati, e fu il loro unico testimone mentre, sotto le stelle della notte d’estate, rotolavano nudi sulle stuoie.

Per la prima volta Celeste si strinse a un uomo, lo scopri palmo a palmo. Si soffermo sulle loro diversita e imparo, guidata dalla mano di Vlad, a conoscere i segreti dei loro corpi.

L’istinto e il desiderio furono buoni maestri. Quando lo senti premere contro di lei si apri per accoglierlo.

Le labbra della giovane cercarono quelle di lui per soffocare il grido di dolore. Ma fu un attimo. Le bocche rimasero incollate in un interminabile bacio che trattenne nelle loro gole un urlo di piacere.

Con la forza della gioventu rimasero avvinti tutta la notte, cercandosi e donandosi a vicenda. Il giorno li sorprese ancora abbracciati.

«Perche eri travestita da uomo, Celeste?»

Brevemente la ragazza gli parlo di Campagnola e della persecuzione che il veneziano aveva compiuto ai danni della sua famiglia.

«Non avrai piu nulla da temere: accanto a me non correrai alcun pericolo. Sempre che tu voglia restare al mio fianco… lo vorrei tanto… io… io credo di essermi innamorato di te.»

I due giovani legarono le zampe della preda a un palo e, non senza fatica, trasportarono l’orso sino alla residenza del voivoda di Valacchia. Non fecero parola con nessuno del loro segreto, sino a che Vladislav non si confido con la madre e Adil parlo del suo desiderio di ritornare a essere donna con Humarawa.

Era sera quando, in una sala della residenza, Vladislav chiese la parola al padre.

Gli uomini, seduti attorno al fuoco e intenti a raccontarsi a vicenda epiche imprese di caccia, fecero silenzio.

«Avrei deciso di sposarmi, padre mio», disse il giovane al principe.

«Sei nell’eta giusta, Vladislav. La figlia dei principi di Moldavia mi sembra un ottimo partito. Altrimenti cerchero tra i nostri confinanti per trovare una moglie adatta a te, figlio.»

«Se non vi dispiace, padre, avrei gia scelto la mia sposa.»

«Mi auguro sia di nobile lignaggio…»

La moglie del principe lo colpi sotto la tavola con il ginocchio, ricordandogli con quel gesto che lei proveniva da una benestante famiglia di mercanti, ma non aveva certo origini principesche.

«Su chi sarebbe ricaduta la tua scelta, Vlad?» chiese il padre, cercando di non apparire troppo intransigente.

«Vorrei sposare… Adil… padre mio.»

«Adil?! Adil?!» Mano a mano che il significato delle parole del figlio prendeva corpo nella mente del principe, la sua voce si faceva piu vibrante. I cacciatori erano improvvisamente ammutoliti. «Non starai parlando di quell’Adil? Il tuo compagno nella battuta di caccia, non e vero?»

«Proprio lui avrei scelto… aspetta un solo istante, padre.»

Ma l’incredulita ormai aveva lasciato il posto all’ira.

«Non e possibile… tu, mio figlio, sei… sei un… sodomi…» Non fini la frase.

Il vestito di gala che la madre di Vlad aveva prestato a Celeste aveva avuto bisogno di qualche ritocco e Rhoda si era impegnata con ago e filo per molte ore. Adesso la veste di colore azzurro tenue le stava a pennello.

Un corpetto ricamato con fili d’oro e impreziosito da pietre dure scendeva dalle spalle fin quasi alla vita. La parte superiore della veste era abbastanza aderente e lasciava intuire la soda rotondita del seno. Le maniche, anch’esse attillate, coprivano le braccia sino ai polsi. La sopraveste era in preziosa stoffa di Francia ricamata e terminava in un corto strascico. Sul capo, Celeste portava un cappello a rete dello stesso colore dell’abito, formato da due falde imbottite che si univano proprio sopra alla fronte. Qui Humarawa aveva personalmente inserito il proprio regalo di fidanzamento: uno zaffiro delle dimensioni di un uovo di quaglia, e blu come gli occhi della sua figlia adottiva.

Celeste era bellissima. Quando apparve nel vano della porta il silenzio si fece palpabile. Incedeva con passo sicuro, benche fosse la prima volta che indossava scarpe da donna.

Il principe Nicolae rimase a bocca aperta e la sua espressione irata si trasformo in bonario sorriso.

Gli occhi di Humarawa e Wu si incontrarono per un istante, poi il samurai e il cinese distolsero lo sguardo: due guerrieri della loro fama non avrebbero mai dovuto cedere alla commozione di cui si sentivano preda.

45

Agosto 2004

Dal diario di Asher Breil, Bucarest, 1968.

Certo, era vero quello che il conducator Nicolae Ceausescu mi aveva detto: io conoscevo piu cose di quanto si potesse supporre. E se un giorno fosse riuscito a sapere come e perche ero giunto sino a lui, forse mi avrebbe fatto fare la stessa fine che si mormorava avessero fatto molti oppositori del regime. A dire il vero il conducator aveva bisogno di molti appoggi in quel periodo: il suo piu ambito traguardo pareva consistere nell’affrancarsi dal giogo, non solo economico, dell’Unione Sovietica. Era inutile che si facesse altri nemici, oltre ai dirigenti del soviet che gia non vedevano di buon occhio la sua smania di indipendenza.

Diverso era l’atteggiamento della moglie Elena, che in molti reputavano la vera mente della politica rumena, ma anche il braccio armato di Nicolae. Sin dal primo momento in cui l’avevo incontrata, avevo provato un’antipatia epidermica che, ne ero certo, la first lady ricambiava.

Elena Petrescu era di un anno piu giovane del marito. Aveva abbandonato la scuola in tenera eta: anche il lavoro di una bambina era importante per una famiglia molto povera. Aveva conosciuto Nicolae nel 1930 e nove anni piu tardi si erano sposati.

Il marito, che mostrava nei suoi confronti una vera e propria venerazione, aveva in serbo per lei le cariche piu prestigiose: appena giunto al potere, Ceausescu assegno alla moglie incarichi di grande importanza. In pubblico Elena Petrescu era abile a recitare il ruolo di comprimaria e rimanere in disparte, apparentemente timida ed elegantissima nei suoi lussuosi tailleur di Chanel. Si diceva che i metodi adottati dalla polizia segreta rumena, la famigerata Securitate, fossero farina del suo sacco. E si trattava di metodi che poco avevano da invidiare al Ghepeu di Stalin o alla Gestapo di Hitler.

Commentando lo strapotere della polizia segreta, nell’entourage dei Ceausescu si faceva un gran ripetere che quella era la migliore forza di una «Romania che fara da se!» Si trattava dello slogan di Gheorghiu-Dej, fatto proprio da Ceausescu e teso a sottolineare, in maniera meno traumatica possibile, la mira

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