– Ehi! Vi prego! Alfred e mio nipote! E figlio di mia sorella! E un po' sotto la mia responsabilita. Non farebbe male a una mosca, vi do parola!

– La prossima volta che venite a trovarmi terro una mosca pronta, cosi lui si divertira a non farle male.

– Non fate cosi, signore. Vi prego, non fate cosi. Ho una propostina molto simpatica…

– Silenzio – ordinai. Mi sentivo la faccia bruciare. Facevo fatica a parlare chiaro. Mi pareva d'essere un po' ubriaco. – Un mio amico… – dissi lentamente, con la lingua grossa – un mio amico mi ha raccontato la storia di un tale al quale avevano fatto uno scherzo come questo. Era seduto alla scrivania, come me. Aveva una pistola, proprio come l'ho io. C'erano due uomini, dall'altra parte della scrivania, rome voi e Alfred. A un certo punto l'uomo dalla mia parte della scrivania ha cominciato a perdere la calma. E stato piu forte di lui. Ha cominciato a tremare. Non e piu riuscito a dire una parola. E in mano aveva la pistola. Cosi, senza una parola, ha sparato due colpi da sotto lo scrittoio, mirando proprio all'altezza del vostro ventre.

L'omone divento verdastro in faccia e fece l'atto di alzarsi. Ma poi cambio idea. Trasse di tasca un fazzoletto dai colori strazianti e si asciugo il viso.

– L'avete visto al cinema – disse.

– Precisamente – convenni. – Ma l'uomo che aveva scritto il soggetto mi ha raccontato dove aveva preso l'idea. Quella non l'aveva trovata in nessun film. – Deposi la Luger sullo scrittoio, davanti a me, e dissi con voce piu naturale. – Dovete fare attenzione con le armi da fuoco, signor Toad. Non si puo mai sapere che effetto puo fare a un uomo vedersi scattare in piena faccia una 'quarantacinque' dell'esercito, specialmente se non sa che e scarica. A me… Mi ha innervosito un po' per un istante. Non ho piu fatto una puntura di morfina, dall'ora di colazione.

Toad mi studio attentamente, stringendo gli occhi. Il giovane Alfred si alzo, s'avvicino a un'altra sedia, la volto con una pedata, si sedette e appoggio la testa unta contro la parete. Ma il suo naso e le mani non cessarono mai di contrarsi.

– Ho sentito dire che eravate un tipo piuttosto duro – dichiaro Toad lentamente, con gli occhi freddi, all'erta.

– Vi hanno informato male. Sono un ragazzo sensibilissimo. Per un nonnulla vado in convulsioni.

– Gia. Capisco. – Toad mi fisso a lungo, senza aprir bocca. – Forse questa partita l'abbiamo giocata male. Posso mettere una mano in tasca?

Non sono armato.

– Accomodatevi – dissi. – Mi farebbe un piacere immenso vedere che cercate di puntarmi una pistola contro.

Toad si acciglio, poi, molto lentamente, sfilo di tasca un portafogli di cinghiale e ne trasse un biglietto da cento dollari, nuovo e frusciante. Lo depose sull'orlo dello scrittoio, poi ne tiro fuori un altro, identico, poi, uno per uno, altri tre. Li depose accuratamente in fila sulla scrivania, facendoli combaciare. Alfred riporto sul pavimento le gambe anteriori della sedia e fisso il danaro con le labbra tremanti.

– Cinque centoni – disse Toad. Chiuse il portafogli e se lo ficco in tasca. Io seguii con lo sguardo ogni suo singolo gesto. – Per niente. Solo per badare ai fatti vostri. Chiaro?

Io mi limitai a guardarlo.

– Voi non state cercando nessuno – prosegui il grassone. – Non riuscite a trovare nessuno. Non avete tempo di lavorare per nessuno. Non sentite niente e non vedete niente, Siete fuori da tutto. Pulito. Una pulizia da cinquecento dollari. D'accordo?

Nell'ufficio non si udiva alcun suono. Solo Alfred, che tirava su col naso. L'omone, giro il capo a meta.

– Sta buono, Alfred. Ti daro un pizzico di polverina, quando ce ne andremo. Cerca di fare il bravo. – E si succhio di nuovo il taglio sulla mano.

– Con voi per modello dovrebbe essergli facile – dichiarai.

– Impiccati – m'invito Alfred.

– Vocabolario limitato – osservo l'omone. – Molto limitato. Allora, capita l'idea, compare? – M'indico il danaro. Io pasticciai col calcio della Luger. Lui si chino un poco in avanti. – Mettevi calmo, da bravo. E molto semplice. Si tratta di una caparra. Voi non fate nulla, per meritarla. Non far niente e il vostro compito precipuo. Se continuate a non far nulla per un lasso ragionevole di tempo alla fine ricevete altri cinquecento dollari.

Semplice, no?

– E per conto di chi non dovrei far nulla?

– Per me, Joseph P. Toad.

– Che mestiere fate?

– Potete chiamarmi consulente commerciale.

– E come potrei chiamarvi, ancora, oltre agli epiteti che inventerei da me?

– Potreste definirmi un tizio che vuole aiutare un tizio che non vuole creare difficolta a un altro tizio.

– E come posso chiamare quell'ammirevole creatura? – m'informai.

Joseph P. Toad riuni le cinque banconote da cento dollari, ne pareggio bene i margini e spinse il pacchetto verso di me lungo la scrivania.

– Potreste chiamarlo un tale che preferisce sparger danaro, piuttosto che sangue – spiego. – Pero non avrebbe scrupoli a sparger sangue, se capisse che non puo farne a meno.

– E come se la cava, con uno scalpello da ghiaccio? Lo vedo per mio conto che disastro e, con una quarantacinque.

L'omone si addento il labbro inferiore poi lo tiro all'infuori, col pollice e l'indice e ne mordicchio l'interno delicatamente, come una mucca che rumina.

– Non stavamo parlando di scalpelli da ghiaccio – riprese finalmente.

– Stavamo dicendo che voi potreste partire col piede sbagliato, e farvi male, molto male. Mentre se non partite, con nessun piede, vi trovate seduto bello comodo e vi arrivano soldi in casa.

– Chi e la bionda? – domandai. Lui ci penso sopra, e tentenno il capo.

– Forse siete gia andato troppo in la – sospiro. – Forse e troppo tardi, per fare affari.

Dopo un istante si protese verso di me e disse con gentilezza:

– E va bene. Mi mettero in contatto col principale e sentiro fin dove vuol spingersi. Forse possiamo ancora concludere. Comunque finche non avrete mie notizie restiamo intesi cosi. Chiaro?

Questa gliela passai per buona. Lui puntello le mani sulla scrivania e si alzo, molto lentamente, cogli occhi fissi sulla pistola che facevo scorrere sulla cartella.

– I quattrini potete tenerli – disse. – Andiamo Alfred.

Si volto, e usci pesantemente dall'ufficio. Gli occhi di Alfred lo seguirono, con uno sguardo obliquo, poi si posarono di scatto sul danaro. Come per incanto la grossa automatica riapparve nella sua fragile destra. Con un guizzo d'anguilla Alfred si accosto alla scrivania. Sempre con la pistola puntata contro di me, afferro le banconote con la mano sinistra e se le fece sparire in tasca. Mi rivolse un sorriso freddo, gentile, vuoto, chino brevemente il capo e si allontano, a quanto pareva senza rendersi conto, per un solo istante, che anch'io avevo una rivoltella in mano.

– Andiamo, Alfred – chiamo aspramente il grassone, dall'ingresso dell'altro ufficio. Il ragazzo varco la soglia e spari.

L'uscio che dava sul corridoio si aperse e si richiuse. Lungo l'atrio risonarono dei passi. Poi silenzio. Rimasi seduto al mio posto, ripensando alla scena, cercando di decidere se si trattava di pura idiozia, o era una nuova tecnica per far prendere uno spavento a una persona.

Cinque minuti dopo squillo il telefono. Una voce robusta, simpatica disse:

– Oh, a proposito signor Marlowe, voi conoscete Sherry Ballou, vero?

– No.

– Sheridan Ballou e Soci. Il grande agente teatrale. Dovreste conoscerlo, un giorno o l'altro.

Rimasi col ricevitore in mano, in silenzio, per un momento. Poi domandai:

– E il suo agente?

– Puo darsi – dichiaro Joseph P. Toad, e fece una breve pausa. – Certo avrete capito che siamo una coppia di attori da strapazzo, signor Marlowe. Ecco tutto. Due attori da strapazzo. Qualcuno voleva scoprire qualcosa, sul vostro conto, e questa era sembrata la via piu semplice. Ora non ne sono tanto sicuro.

Non risposi. Misi giu il ricevitore. Il telefono riprese a suonare immediatamente.

Una voce provocante disse:

– Io non vi piaccio molto, vero, amigo?

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