didascalie delle illustrazioni. C'era una foto del tenente a pagina tre, che reggeva uno scalpello da ghiaccio e lo contemplava, con profonda concentrazione, aggrottando le sopracciglia.
C'era una foto del numero 449 di Idaho Street, che faceva piu che giustizia all'ambiente, e c'era la foto di un oggetto informe, coperto da un lenzuolo, accanto al tenente Maglashan che l'indicava, con piglio severo. C'era anche un primo piano del sindaco, piu direttoriale che mai, assiso alla sua scrivania, in municipio, nonche un'intervista con lui, sul tema dei delitti postbellici. Diceva esattamente quel che ci si aspetta di sentir dire da un sindaco… una parafrasi annacquata di J. Edgar Hoower, con una congrua aggiunta di errori di grammatica.
Alle nove meno tre la porta di 'Tutto per la Foto' si aperse e un vecchio negro comincio a spazzare il marciapiedi, gettando l'immondizia nel rigagnolo. Alle nove precise un giovanotto occhialuto, dall'aria linda, sblocco la molla della serratura ed io entrai nel negozio, con lo scontrino arancione che il dottor G. W. Hambleton aveva incollato nella parrucca.
Il giovanotto dall'aria linda mi lancio un'occhiata indagatrice, mentre scambiavo lo scontrino e un po' di danaro con una busta che conteneva una minuscola negativa e mezza dozzina di copie, ingrandite otto volte la negativa. Non disse una parola, ma ebbi l'impressione che ricordasse che non ero stato io a lasciare la negativa.
Uscii, mi sedetti in automobile ed esaminai la mia preda. Le copie mostravano un uomo e una ragazza bionda seduti nel separe semicircolare d'un ristorante, con del cibo davanti. Guardavano in su, come se qualcosa avesse attratto improvvisamente la loro attenzione, e loro avessero avuto appena il tempo di reagire, prima che l'otturatore scattasse. Era chiaro, dalle ombre, che non era stato usato il flash.
La ragazza era Mavis Weld. L'uomo era piuttosto piccolo, piuttosto bruno, piuttosto inespressivo. Non lo riconobbi. Non avevo ragione di riconoscerlo. Il divano di pelle era cosparso di minuscole figure di coppie che ballavano. Dunque si trattava del ristorante Alle Danze. Questo non faceva che accrescere la confusione. Un fotografo dilettante che avesse cercato di scattare istantanee in un locale di classe come quello senza il permesso della direzione sarebbe stato buttato fuori con una tale violenza che avrebbe continuato a rimbalzare fino a Hollywood. Immaginai che la foto fosse stata presa a macchina nascosta, con un trucco come quello che era servito per ritrarre Ruth Snyder sulla sedia elettrica. L'operatore doveva aver avuto una macchinetta fotografica appesa al collo, sotto la giacca con l'obiettivo che spuntava appena fra le falde e doveva aver manovrato l'otturatore con una peretta da una tasca. Non mi fu troppo difficile indovinare chi avesse preso l'istantanea. Il signor Orrin P. Quest doveva essersi mosso con molta grazia e velocita, per essere uscito da quel ristorante con la faccia ancora nella parte anteriore della testa.
Riposi la foto in tasca del panciotto, e le mie dita sfiorarono un foglio sgualcito. Lo tirai fuori e lessi: Dottor Vincent Lagardie, Wyoming Street 965 Bay City. Era il Vince al quale avevo parlato al telefono, forse lo stesso Vince che aveva cercato di chiamare Lester B. Clausen.
Un piedipiatti piuttosto in eta camminava lungo la fila di macchine ferme, marcando i copertoni con un gesso giallo. Mi disse dove era Wyoming Street, e io mi avviai da quella parte. Era una via che tagliava perpendicolarmente la citta, molto al di fuori dal centro commerciale, e correva parallela a due strade numerate. Il numero 965 era una casa d'angolo di legno grigio. Sulla porta una targa diceva: Vincent Lagardie – Medico- chirurgo.
Orario 10-12, 14,30-16.
La casa era tranquilla e decorosa. Una donna con un ragazzino recalcitrante stava salendo i gradini d'ingresso. Lesse la targa, consulto un orologetto appuntato a un risvolto e si mordicchio un labbro, con aria indecisa.
Il ragazzino si guardo attorno attentamente, poi le mollo un calcio in uno stinco. La donna strabuzzo gli occhi, ma parlo con voce paziente.
– Su, Johnny, non devi fare cosi, alla tua zia Fern.
Aperse la porta, e trascino dentro il piccolo bruto. Diagonalmente al di la dell'incrocio, c'era una grande villa bianca in stile coloniale, con un portico ricoperto da un tetto, e di gran lunga troppo piccolo. Nel prato antistante alla casa erano piazzati alcuni riflettori. Il viale d'accesso era fiancheggiato da cespugli di rose in boccio. Una insegna nera e argento, sopra il portico, diceva: La casa della Pace Garland. Mi chiesi come poteva piacere al dottor Lagardie, guardare su una cappella funeraria, dalle finestre di strada.
Forse la cosa lo rendeva prudente.
Svoltai all'incrocio, ritornai a Los Angeles e salii in ufficio a dare un'occhiata alla posta e a chiudere il mio bottino nella vecchia cassaforte verde e malandata: riposi tutto, meno una copia. Quella me la portai alla scrivania e la studiai con una lente. Nonostante l'ingrandimento del fotografo e quello della lente i particolari erano ancora chiari. C'era un giornale, un 'News Chronicle', sul tavolo, davanti all'uomo magro e inespressivo che sedeva accanto a Mavis Weld. Potevo leggere, per quanto a malapena, un titolo a tutta pagina: MUORE UN MEDIOMASSIMO PER FERITE RIPORTATE SUL RING. Solo un'edizione del pomeriggio o una delle ultime edizioni sportive avrebbe usato un titolo del genere. Tirai il telefono verso di me. Suono proprio mentre stavo appoggiandovi la mano sopra.
– Marlowe? Parla Christy French della Centrale. Avete qualche nuova idea da suggerirci, questa mattina?
– No, se le vostre telescriventi funzionano. Ho visto un giornale di Bay City.
– Gia, siamo stati informati – fece lui, con noncuranza. – Pare lo stesso tizio, no? Stesse iniziali, stessa descrizione; stesso metodo di morte.
Anche l'elemento tempo pare che quadri. Spero in Dio che questo non significhi che la banda di 'Sole' Moe Stein ha ricominciato a darsi da fare.
– In questo caso ha cambiato tecnica – affermai. – Mi sono documentato un po', in proposito, ieri sera. La banda Stein aveva l'abitudine di ridurre le sue vittime come colabrodi. Una e stata trovata con piu di cento pugnalate per il corpo.
– Possono sempre essersi perfezionati – obietto French, con aria un po' evasiva, come se non ci tenesse a parlarne. – Ma io vi ho chiamato per via di Flack. L'avete piu visto, da ieri pomeriggio?
– No.
– Se l'e battuta. Non si e presentato al lavoro e l'albergo ha chiamato la sua padrona di casa, pare che abbia fatto fagotto e se ne sia andato ieri sera. Destinazione ignota.
– Non l'ho visto e non ho avuto sue notizie – dissi.
– Non vi e parso strano che il nostro cadavere avesse soltanto quattordici dollari in saccoccia?
– Un po' si. Ma poi voi avete spiegato tutto.
– Parlavo tanto per parlare. Ma non ci credo piu, ora. Flack ha preso paura, oppure ha fatto soldi di colpo. O ha visto qualcosa che non ci ha detto, ed e stato pagato per levarsi di torno, oppure ha soffiato il peculio al nostro uomo, lasciando quattordici dollari per dare un tocco di verita alla scena.
– Una delle due ipotesi ve la do per buona. Magari tutt'e due. La persona che ha perquisito cosi a fondo quella stanza, chiunque fosse, non cercava danaro.
– Perche no?
– Perche quando il nostro dottor Hambleton mi ha telefonato gli ho consigliato di servirsi della cassaforte dell'albergo. La cosa non l'ha interessato.
– Un tipo come lui non vi avrebbe mai assunto per tenergli al sicuro i quattrini, comunque, – affermo French. – Non vi avrebbe assunto per tenergli al sicuro niente. Aveva bisogno di qualcuno che lo proteggesse, oppure gli occorreva un complice… magari voleva soltanto un messaggero.
– Spiacente – replicai. – A me ha detto solo quel che vi ho riferito.
– E dal momento che, quando siete arrivato in albergo era gia morto – continuo il tenente, strascicando la voce, con esagerata noncuranza. – Ben difficilmente, avreste potuto dargli il vostro biglietto da visita d'ufficio.
Strinsi troppo forte il ricevitore e rivissi rapidamente il mio colloquio con Hicks nella pensione di Idaho Street. Lo vidi col mio biglietto da visita tra le dita, che lo studiava. Poi vidi me stesso che glielo facevo saltare di mano, di scatto, prima che ci si addormentasse sopra. Inspirai profondamente, e lasciai andare il fiato a poco a poco.
– Ben difficilmente – convenni. – E piantatela di cercar di farmi morire di paura.
– Ma ne aveva davvero uno, amico. Piegato in quattro, nel taschino dell'orologio dei calzoni. Sulle prime non ce n'eravamo accorti.
– Ho dato un biglietto a Flack – dichiarai, con le labbra rigide.
Vi fu una pausa di silenzio. Sentivo sullo sfondo delle voci e il ticchettio di una macchina da scrivere. Finalmente French disse, in tono asciutto.
– Abbastanza plausibile. Arrivederci a piu tardi – e mise giu il ricevitore di scatto.
Deposi il ricevitore anch'io, molto lentamente sulla forcella e sgranchii le dita che parevano irrigidite da un