– Smerciare… Volete dire per danaro?… Qui? A Hollywood?

– Puo darsi.

– Che genere di indecenze? Non abbiate paura di scandalizzarmi.

– E un po' osceno, signorina… signorina… – Allungai il collo, per leggere la targa, sulla scrivania.

– Helen Grady – m'informo lei. – Be', un pizzico di raffinate oscenita non ha mai fatto male a nessuno, vi pare?

– Non ho detto che fossero raffinate.

La rossa si chino in avanti, con cautela e mi soffio una boccata di fumo in faccia.

– Insomma, in due parole e un ricatto – e trasse un sospiro. – Perche non filate via in quarta, cocco? Prima che vi metta alle calcagna una dozzina di poliziotti grandi e grossi.

Mi sedetti su un angolo della scrivania, mi feci schermo al viso con le mani e le soffiai nei capelli il fumo della sua sigaretta. Lei si scosto, rabbiosamente.

– Fuori dai piedi, animale – mi disse con una voce che sarebbe potuta servire come solvente per vernici.

– Oh, oh! Che cosa ne e stato del vostro accento aristocratico? Senza voltarsi la rossa chiamo seccamente:

– Signorina Vane.

Una ragazza alta, snella, elegante, dalle sopracciglia altere sollevo lo sguardo. Era entrata un istante prima da una porta che fingeva d'essere un finestrone a vetri colorati. Ci venne vicino e la signorina Grady le porse il mio biglietto:

– Spink.

La signorina Vane spari dietro la porta a vetri col mio biglietto.

– Sedetevi e riposate un po' i 'fettoni', grand'uomo – m'invito la signorina Grady. – Puo darsi che dobbiate star qui tutta la settimana. – Mi sedetti su una poltrona di chintz. Lo schienale mi sorpassava la testa d'una ventina di centimetri, e mi faceva sentire piccolo e raggrinzito. La signorina Grady mi regalo un altro sorriso, dai bordi taglienti e torno a chinarsi sul telefono.

Mi guardai attorno. La ragazza, nell'angolo, aveva smesso di piangere e stava rifacendosi il viso, placidamente. Un uomo, molto alto e molto distinto sollevo un braccio, con un gesto aggraziato, per consultare un elegante orologio da polso, scivolo in piedi, e calzo un capello Homburg grigio perla, inclinandolo spavaldamente su un occhio. Poi lancio un'occhiata scrutatrice ai propri guanti di camoscio giallo e al bastone dal pomo d'argento e s'incammino, languidamente verso la ricevitrice dai capelli rossi.

– Sono due ore che aspetto di parlare col signor Ballou – disse in tono gelido, con una voce dolce, ricca, modulata da anni di esercizio. – Non e mia abitudine aspettare due ore per parlare con chicchessia.

– Spiacentissima, signor Fortescue. Il signor Ballou e terribilmente occupato, questa mattina.

– Mi duole di non potergli lasciare un assegno – dichiaro l'elegantone, in tono di stanco disprezzo. – Probabilmente e l'unica cosa che potrebbe interessarlo. Ma in mancanza di questo…

– Un istante pupo. – La rossa sollevo la cornetta del telefono e protesto nel microfono: – E chi lo dice, oltre a Goldwyn? Non potete chiederlo a qualcuno che non sia completamente pazzo?… Be', provate ancora. – E mise giu il ricevitore di scatto. L'uomo alto non si era mosso.

– In mancanza di questo – riprese, come se non fosse mai stato interrotto – vorrei lasciargli un breve messaggio personale.

– Ma certo – gli disse la signorina Grady. – Vedro di farglielo pervenire in un modo o nell'altro.

– Fategli i miei piu sentiti omaggi, e ditegli che e una fetida moffetta.

– Fate puzzola, tesoro – consiglio la ragazza. – Lui non sa geologia.

– E allora facciamo puzzola, una lurida e fetentissima puzzola – replico Fortescue. – Con una piccola aggiunta di idrogeno solforato e di profumo di bordello da poco prezzo.

Si assesto il cappello, e lancio un'occhiata di controllo al proprio profilo in uno specchio.

– E con questo vi auguro il buon giorno, e possa sprofondare tutta l'agenzia Sheridan Ballou e soci.

L'attore usci a lunghi passi eleganti aprendo la porta con il bastone.

– Ma che cosa gli e preso? – domandai.

La rossa mi lancio un'occhiata piena di pieta.

– A Billy Fortescue? Niente. Da un po' di tempo non trova piu parti, cosi viene qui ogni giorno e ripete tutta la scena. Spera che qualcuno la veda e la trovi di suo gusto.

Chiusi la bocca lentamente. Si puo vivere molto tempo a Hollywood e non conoscere mai la vera faccia del cinema.

La signorina Vane apparve sulla soglia della porta interna e mi chiamo con un cenno del mento. La raggiunsi e varcai la soglia.

– Da questa parte. Seconda a destra.

Rimase ad osservarmi mentre percorrevo il corridoio fino alla seconda porta, che era aperta. Entrai e la chiusi alle mie spalle.

Un uomo paffuto, dai capelli bianchi era seduto dietro una scrivania e mi sorrideva, teneramente.

– Omaggi – disse. – Sono Moss Spink. Che cosa mi raccontate di bello? Parcheggiatevi in quella poltrona. Sigaretta?

Aperse un affare che pareva un baule e mi fece omaggio di una sigaretta lunga piu d'una spanna. Era chiusa in un tubo di vetro.

– No, grazie – risposi. – Fumo tabacco.

Lui sospiro.

– E va bene. Parlate. Vediamo un po'. Vi chiamate Marlowe, eh? Marlowe, Marlowe. Ho mai sentito nominare un certo Marlowe, io?

– Probabilmente no – ribattei. – E io non ho mai sentito nominare un certo Spink. Ho chiesto di parlare con un tale che si chiama Ballou. Vi pare che Ballou somigli a Spink? Io non sono in cerca di nessuno Spink. E proprio tra noi, al diavolo tutti quelli che si chiamano Spink.

– Antisemita, eh? – chiese il paffuto. – Agito una mano, in un gesto generoso, facendo baluginare un brillante paglierino che pareva la luce arancione d'un semaforo. – Non fate cosi – mi prego. – Sedetevi e riordinate un po' le idee. Voi non mi conoscete. E dite che non avete voglia di conoscermi. D'accordo. Mica mi offendo. In un'impresa come questa deve pur esserci qualcuno che non si offende.

– Voglio Ballou – ripetei.

– Su, siate ragionevole, figliolo. Sherry Ballou e un ragazzo molto occupato. Lavora venti ore al giorno e nonostante questo e sempre in ritardo col programma. Sedetevi e raccontate tutto al vostro Spinky.

– Che cosa siete voi, qua dentro?

– La barriera protettiva di Sherry, figliolo. Devo per forza proteggerlo.

Sherry non puo ricevere tutti. E io ricevo la gente in sua vece. Sono l'alter ego di Sherry… fino a un certo punto, capite?

– Puo darsi che quanto ho da dirgli io vada da quel punto in poi.

– Puo darsi – convenne Spink, cordialmente. Strappo lo spesso cerotto di chiusura da un astuccio di alluminio, ne trasse un sigaro, quasi con tenerezza, e lo studio, in cerca di eventuali nei. – Non dico di no. Perche non mi date una piccola dimostrazione? Poi lo sapremmo piu di preciso. Fino a questo momento non avete fatto che recitare una parte. E qui ci siamo tanto abituati che non significa piu niente, per noi.

Rimasi a osservarlo mentre spuntava e accendeva il suo sigaro di lusso.

– Come posso esser certo che non gli fate il doppio gioco? – chiesi con aria astuta.

I piccoli occhi intensi di Spink ammiccarono e non avrei potuto giurare che non vi fosse spuntata una lacrima.

– Fare il doppio gioco a Sherry Ballou? Io? – Chiese in tono desolato, con una voce sommessa, da funerale da seicento dollari. – Io? Ma farei il doppio gioco a mia madre, prima!

– Questo non vuol dir molto, per me – replicai. – Non conosco vostra madre.

Spink depose il sigaro, in un portacenere che aveva le dimensioni di una bagnarola, e agito le braccia. Il dolore lo divorava.

– Oh, figliolo, son cose da dire! – vagi – Io voglio bene a Sherry Ballou, come se fosse mio padre. Anzi, di piu. Mio padre… be', lasciamo correre. Suvvia, figliolo, siate buono. Abbiate un po' di fiducia… Siatemi amico. Raccontate tutta la porcheriola al piccolo Spink, eh?

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