Trassi di tasca una busta la feci scorrere verso di lui lungo il piano della scrivania. Spink ne trasse la foto ritagliata e la fisso, con aria solenne. Poi torno a deporla sullo scrittoio. Alzo gli occhi su di me, li abbasso sulla foto, torno ad alzarli su di me.

– Bene – disse rigidamente, con una voce a un tratto priva della fiducia e dell'amicizia che aveva invocato. – Che cos'ha di straordinario questa roba?

– Devo dirvi chi e la ragazza?

– Chi e l'uomo? – rimbecco Spink.

Non risposi.

– Chi e l'uomo, ho detto? – ripete Spink, quasi urlando. – Sputate, bel giovane, sputate il rospo!

Continuai a tacere. Spink allungo una mano, lentamente, verso il telefono, tenendomi incollati in faccia gli occhietti duri e luminosi.

– Avanti, chiamateli – invitai. – Chiamate la Centrale e chiedete del tenente Christy French, della Squadra Omicidi. E un altro ragazzo piuttosto duro, da convincere.

Spink tolse la mano dal telefono. Si alzo lentamente e usci, portando con se la fotografia. Aspettai. Fuori, sul Sunset Boulevard il traffico rumoreggiava, lontano, monotono. I minuti cadevano silenziosi nel fondo d'un pozzo. Il profumo del sigaro appena acceso di Spink gioco nell'aria per un istante, poi venne succhiato dal ventilatore dell'impianto d'aria condizionata. Sfiorai con lo sguardo le innumerevoli fotografie alle pareti, tutte dedicate a Sheridan Ballou, con l'imperituro affetto di questo e di quello. Dovevano essere celebrita passate di moda, mi dissi, se le avevano messe nell'ufficio di Spink.

CAPITOLO XVII

Dopo un certo tempo Spink ricomparve e mi accenno di seguirlo. Percorremmo il corridoio, attraversammo una doppia porta e arrivammo in un'anticamera con due segretarie. Di li raggiungemmo un'altra doppia porta, di grosso cristallo nero, con due pavoni d'argento incisi nei pannelli. Mentre ci avvicinavamo i battenti si apersero da soli.

Scendemmo tre gradini coperti da un tappeto e arrivammo in un ufficio che conteneva tutto, all'infuori di una piscina. Era alto due piani, e circondato da una balconata carica di scaffali di libri. C'era uno Steinway da concerto, in un angolo, una quantita di mobili di cristallo e legno decolorato dappertutto, una scrivania che aveva le dimensioni di uno sferisterio, e sedie, divani, tavolini e un uomo, adagiato su uno dei divani, in maniche di camicia, con una cravatta all'ultima moda, di seta cosi morbida che la si sarebbe potuta ritrovare al buio solo ascoltandola far le fusa. L'uomo aveva un panno bianco sulla fronte e sugli occhi e una bionda snella come un salice stava strizzando un altro panno in una boccia d'argento, piena d'acqua diaccia, posata su un tavolino accanto al divano.

L'uomo era grande, robusto e ben fatto, coi capelli neri e ondulati e un viso bruno, dai lineamenti decisi, sotto il panno bianco. Aveva lasciato ricadere una mano sul tappeto e tra le dita stringeva una sigaretta che esalava un sottile ricciolo di fumo. La bionda cambio il panno, abilmente.

L'uomo sul divano diede un gemito. Spink disse:

– Ecco il ragazzo, Sherry. Si chiama Marlowe.

L'uomo sul divano gemette di nuovo.

– Che cosa vuole?

– Non parla.

– E allora perche me l'hai portato? Sono stanco.

– Be', sai com'e, Sherry. Ogni tanto devi.

– Come hai detto che era il suo dolcissimo nome? – chiese l'uomo del divano.

Spink si rivolse a me.

– Potete dirci quel che volete, adesso. E cercate di sbrigarvi, Marlowe.

Io non apersi bocca.

Dopo un istante l'uomo del divano alzo lentamente la mano che posava sul tappeto. Si porto stancamente la sigaretta alle labbra e aspiro una boccata di fumo con l'infinito languore di un aristocratico decadente che si lascia morire d'inedia in un castello in rovina.

– Parlo con voi, bel giovane – mi apostrofo Spink, con voce rauca. La bionda cambio di nuovo il panno, senza guardare nessuno. Il silenzio gravava sulla stanza, acre come il fumo della sigaretta. – Avanti, bel tomo, sgancia.

Trassi di tasca una delle mie Carnei, l'accesi, e mi accomodai su una poltrona. Poi stesi una mano e l'osservai. Il pollice si contraeva, su e giu, lentamente, a intervalli di pochi secondi.

La voce furiosa di Spink interruppe la mia contemplazione.

– Sherry non ha tutto il giorno da perdere, sapete.

– Perche, che cosa ha da fare, per tutto il resto della giornata? – mi sentii dire. – Se ne sta adagiato su un divano di raso bianco a farsi dorare le unghie?

La bionda si volto di scatto e mi guardo. Spink spalanco la bocca. Poi ammicco violentemente. L'uomo sul divano alzo, con mano lenta, un angolo della pezzuola. La scosto quel tanto che bastava perche un occhio neropece potesse osservarmi. Poi il panno ricadde.

– Non potete parlare cosi, qua dentro – m'investi Spink, con voce dura.

Mi alzai e dissi:

– Ho dimenticato di portare il libro di preghiere. E la prima volta che sento dire che il Padreterno lavora su commissione.

Tutti tacquero, per un minuto. La bionda cambio di nuovo pezzuola.

Da sotto al suo panno l'uomo del divano ordino con perfetta calma:

– Fuori dalle scatole, angioletti. Tutti, meno il mio nuovo amico.

Spink mi lancio un'occhiata intensa, carica d'odio. La bionda usci, senza rumore.

– Perche non lo sbattiamo fuori a calci nel didietro? – chiese Spink.

La voce stanca, di sotto alla pezzuola replico:

– Me lo son chiesto per tanto tempo che ormai il problema non riveste piu alcun interesse, per me. Fila.

– Benissimo, capo – fece Spink, e si ritiro, con riluttanza. Sulla porta si fermo un istante, mi lancio un ultimo ringhio silenzioso, poi scomparve.

L'uomo sul divano ascolto l'uscio richiudersi, poi chiese:

– Quanto?

– Non avete nulla da comprare.

L'uomo si tolse la pezzuola dagli occhi, la getto da parte e si rizzo a sedere lentamente. Appoggio le scarpe all'ultima moda fatte su misura sul pavimento, e si passo una mano sulla fronte. Aveva un'aria stanca, ma non viziosa. Tiro fuori da chissa dove una altra sigaretta, l'accese e fisso il pavimento con aria cupa, attraverso il fumo.

– Avanti – disse.

– Non so perche abbiate sprecato tutta questa messinscena per me – dichiarai. – Ma immagino abbiate abbastanza cervello da sapere che non potete comprare qualcosa e poi essere matematicamente sicuro che l'acquisto tenga.

Ballou prese la foto che Spink aveva deposto accanto a lui su un lungo tavolo basso. Poi mi tese una mano, con gesto languido.

– Il pezzo mancante e il 'numero d'attrazione', senza dubbio.

Trassi di tasca la seconda busta, gli porsi l'angolo ritagliato, e l'osservai mentre faceva combaciare i due frammenti.

– Con una lente si puo leggere il titolo – l'informai.

– Ce n'e una sulla mia scrivania. Prego…

Andai alla scrivania, e gli portai la lente.

– Siete abituato a farvi servire in tutto, vero, signor Ballou?

– Pago la gente apposta. – Studio la fotografia attraverso la lente e sospiro. – Mi pare di aver assistito a

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