– E un nuovo genere di terzo grado – disse. – I poliziotti si cazzottano a sangue e l'elemento sospetto, sconvolto dallo spettacolo, perde le staffe e confessa.

Alzo una mano e si tasto l'angolo della mascella. Stava gia gonfiandosi.

La bocca sorrideva, ma gli occhi erano ancora un po' vaghi. French era rimasto inchiodato al suo posto, immobile e silenzioso.

Beifus trasse di tasca un pacchetto di sigarette, lo scosse, per farne uscire una e lo porse al collega. French guardo la sigaretta. Poi guardo Beifus.

– Diciassette anni di questa vita – mormoro. – Anche mia moglie mi odia.

Diede un leggero schiaffo a Beifus, sulla guancia, con la mano aperta.

Beifus continuo a sorridere. French domando:

– Eri tu, quello che ho picchiato, Fred?

– Nessuno mi ha picchiato, Christy. – Nessuno, che io ricordi.

– Liberagli i polsi e portalo fuori, in macchina – ordino French. – E in arresto. Ammanettalo al volante, se ti pare necessario.

– Benissimo. – Beifus mi giro dietro. Le manette si apersero. – Andiamo, cocco.

Fissai French, intensamente. Lui mi guardo come se fossi stato la tappezzeria. I suoi occhi non mi vedevano.

Uscii dalla sala e uscii dalla casa.

CAPITOLO XXIX

Non venni mai a sapere il suo nome. Pero era piuttosto piccolo e magro, per un poliziotto; cosa che doveva essere, sia perche si trovava la, sia perche quando si era sporto sul tavolo, per prendere una carta gli avevo visto, sotto l'ascella, una fondina a tracolla e il calcio di una trentotto d'ordinanza della polizia.

Non parlava molto, ma quando apriva bocca aveva una voce simpatica, morbida e tranquilla. E un sorriso che riscaldava tutta la stanza.

– Magnifica disposizione – osservai, guardandolo al di sopra delle carte.

Stavamo giocando un doppio 'rosso e nero'. O meglio lui lo stava giocando. Io ero la, e lo guardavo, guardavo le sue mani piccole, molto ben fatte, molto pulite muoversi lungo il tavolo, sfiorare una carta, sollevarla delicatamente e deporla in un altro posto. Giocando sporgeva le labbra e fischiettava, senza melodia, un fischio discreto e sommesso, come quello di una locomotiva giovanissima, non ancora del tutto sicura di se.

L'uomo sorrise e depose un nove rosso su un dieci nero.

– Che cosa fate nelle ore libere? – domandai.

– Suono molto il piano – rispose. – Ho uno Steinway a coda. Suono Mozart e Bach, principalmente. Molti li giudicano noiosi. Io no.

– Magnifica disposizione – ripetei, e spostai una carta.

– Non potete credere come siano difficili certi pezzi di Mozart – soggiunse l'uomo. – E sembra cosi semplice, quando e suonato bene.

– Chi lo suona bene?

– Schnabel.

– E Rubinstein?

Scosse il capo.

– Troppo carico. Troppo emotivo. Mozart e solo musica. Non ha bisogno di commento da parte dell'esecutore.

– Scommetto che riuscite a metter molta gente nelle disposizioni migliori per confessare – dissi. – Vi piace il vostro lavoro?

Lui sposto un'altra carta e flette leggermente le dita. Aveva le unghie lucide, ma corte. Si capiva che gli piaceva muovere le mani, fare tanti piccoli gesti insignificanti, ma morbidi, fluenti come le piume del petto d'un cigno. Erano mani che facevano pensare a cose delicate, compiute delicatamente, ma non senza forza. Mozart, appunto. Potevo capirlo.

Erano circa le cinque e mezzo e il cielo, dietro gli scuri abbassati, si stava facendo piu chiaro. La scrivania a saracinesca, nell'angolo, era chiusa.

Era la stessa stanza del pomeriggio precedente. A un capo della tavola giaceva una tozza matita di legno, che qualcuno aveva raccolto dopo che il tenente Maglashan di Bay City l'aveva scaraventata contro il muro. La scrivania dove era stato seduto Christy era cosparsa di cenere. Un vecchio mozzicone di sigaro era in bilico, sull'orlo di un portacenere di vetro. Una falena girava in circolo attorno alla lampada, che pendeva per un cordone dal soffitto, protetta da uno di quei paralumi di vetro bianco e verde che si usano ancora negli alberghi di campagna.

– Stanco? – domando l'omino.

– Sfinito.

– Non dovreste andarvi a cacciare nei pasticci cosi elaborati. Non vedo che senso ci sia.

– Non c'e senso a sparare a un uomo?

Lui sorrise, il suo sorriso caldo.

– Voi non avete sparato a nessuno.

– Che cosa ve lo fa dire?

– Il buon senso… e la vasta e ricca esperienza, che ho acquistato standomene qui, a far compagnia alla gente.

– Credo che il vostro lavoro vi piaccia veramente – osservai.

– E un lavoro notturno. Mi lascia tempo di giorno per esercitarmi col piano. Sono dodici anni che lo faccio, ormai. Ho visto un mucchio di tipi curiosi andare e venire.

Scoperse un altro asso, appena in tempo. Eravamo quasi bloccati.

– Ottenete molte confessioni?

– Io non ricevo le confessioni – obietto. – Solo favorisco un determinato stato d'animo.

– Perche mi scoprite il vostro gioco?

Si appoggio allo schienale della sedia e batte leggermente il bordo del tavolo col bordo d'una carta. E di nuovo sorrise.

– Non scopro nessun gioco. Ci siamo gia fatti un'idea, su di voi, molto tempo fa.

– E allora perche mi trattengono?

A questo non volle rispondere. Diede un'occhiata all'orologio a muro.

– Credo che potremo farci mandar su qualcosa da mangiare, ora.

Si alzo e ando alla porta. Aperse per meta il battente e parlo sottovoce con qualcuno di fuori. Poi torno, si mise a sedere e guardo come stavamo a carte.

– Inutile – osservo. – Ne alziamo altre tre e poi siamo bloccati. Ci state a cominciare una partita nuova?

– Ci sarei stato anche a non cominciare del tutto. Io non gioco a carte.

Sono per gli scacchi.

Lui mi lancio una rapida occhiata, dal sotto in su.

– Perche non l'avete detto? Anch'io avrei preferito giocare a scacchi.

– Per me, preferirei a tutto una tazza di caffe, nero e amaro come il peccato.

– Arrivera da un momento all'altro. Ma non vi posso promettere il caffe al quale siete abituato.

– Oh, ma io mangio dove mi capita… Be', se non ho sparato io, al nostro uomo, chi gli ha sparato?

– Dev'essere appunto questo che li irrita un po'.

– Dovrebbero esser contenti che e andato al creatore.

– Probabilmente lo sono – affermo il mio compagno. – Ma non apprezzano il modo con cui ce l'han mandato.

– Personalmente mi e parso un lavoretto pulito. Meglio di cosi…

Lui mi guardo, dal sotto in su, in silenzio. Aveva in mano le carte, in un mazzo solo. Le pareggio ben bene, se le fece scorrere fra le dita, a faccia in su e le divise nei due mazzi originari. Sembrava che le carte fluissero dalle sue mani in un rivolo, velocissimo, quasi indistinto.

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