– La rivoltella?
– Non cercate di guadagnare tempo per pensare. Ditemelo, semplicemente. Avevate intenzione di ucciderlo?
– Perche no, tesoro? Credevo di significare qualcosa, per lui. Temo di essere un po' vanitosa. E invece nessuno significa niente, per gli Steelgrave di questo mondo. E nulla significa nulla, per le Mavis Weld di questo mondo ormai…
Si stacco bruscamente da me e mi rivolse un sorriso stentato.
– Non avrei dovuto darvi quella rivoltella. Se vi avessi ucciso potrei ancora cavarmela.
Trassi la rivoltella di tasca e gliela porsi. Lei la prese e si alzo di scatto.
La canna puntava contro il mio petto. La ragazza contrasse di nuovo le labbra nel suo piccolo sorriso stanco. L'indice era fermo, sul grilletto.
– Mirate alto – consigliai. – Ho la cannoniera di maglia di ferro.
Lascio ricadere la mano lungo il fianco, e per un istante rimase immobile, a fissarmi. Poi getto l'arma sul divano.
– Il copione non mi piace – affermo. – Non mi vanno le battute. Non e adatto alla mia personalita, se capite che cosa intendo.
Rise brevemente e si mise a fissare il pavimento. La punta della sua scarpina si moveva avanti e indietro, sul tappeto.
– Abbiamo fatto una bella chiacchierata, tesoro. Il telefono e laggiu, in fondo al bar.
– Grazie per avermi fatto memoria. Ricordate il numero di Dolores?
– Perche proprio Dolores?
Quando vide che non le rispondevo fini col dirmelo. Andai in fondo alla stanza, nell'angolo del bar, e chiamai. Fu la stessa trafila dell'altra volta.
Buona sera, parla il Chateau Bercy. Chi desidera la signorina Gonzales, prego? Un momento per cortesia, buzz, buzz, buzz, e poi una voce imbronciata che diceva.
– Pronto?
– Qui parla Marlowe. Avevate davvero intenzione di farmi ammazzare?
Arrivai quasi a sentire che le si mozzava il fiato. Non proprio. Non si puo sentire una cosa simile, al telefono. Ma a volte si crede di potere.
– Oh, sono contenta di sentire la vostra voce, amigo! Sono molto, molto contenta.
– Allora, avevate intenzione di farmi ammazzare o no?
– Io… non lo so. Mi rattrista molto il pensiero che avrei potuto nuocervi. Mi piacete… tanto.
– Sono un po' nei guai, qui.
– Lui e… – Una lunga pausa. Telefono di casa albergo. Prudenza. – Lui e li?
– Be', in un certo senso. C'e e non c'e.
La sentii davvero respirare, questa volta. Un'aspirazione prolungata.
Quasi un sibilo.
– Chi altri c'e li, con voi?
– Nessuno. Solo io e il mio lavoro a maglia. Voglio farvi una domanda.
E d'importanza vitale. Ditemi la verita. Dove avete preso la cosa che mi avete consegnata questa sera?
– Ma… da lui. Me l'ha data.
– Quando?
– Questa sera, sul presto. Perche?
– Quanto presto?
– Verso le sei, mi pare.
– Perche ve l'ha data?
– Mi ha chiesto di conservarla, per lui. Ne porta sempre una in tasca.
– E perche vi ha chiesto di conservargliela?
– Non me l'ha detto, amigo. Era fatto cosi. Ben di rado dava spiegazioni.
– Avete notato qualcosa d'insolito nella cosa che vi ha consegnata?
– Ma… no. Non ho notato niente.
– Invece si. Avete notato che aveva sparato da poco e che puzzava di polvere bruciata.
– Ma io non…
– Si. L'avete notato. Il fatto vi ha lasciata perplessa. Non vi garbava l'idea di tenervi quell'oggetto. Cosi non lo avete tenuto. Lo avete restituito a lui. Non vi piace avere arnesi di quel genere per casa, comunque.
Vi fu un lungo silenzio. Alla fine lei disse:
– Ma certo. Ma perche lui voleva che io lo tenessi? Voglio dire, se e successo cosi?
– Non vi ha detto il perche. Ha semplicemente tentato di liberarsi d'una pistola appioppandola a voi e voi non avete voluto saperne. Ricordate?
– E una cosa che dovro dire a qualcuno?
– Si.
– Non avro guai se lo diro?
– Quando mai avete cercato di evitare i guai?
Diede una risatina sommessa.
– Amigo, come mi conoscete bene!
– Buona notte – mormorai.
– Un momento, non mi avete detto che cosa e successo!
– Non vi ho nemmeno telefonato.
Deposi il ricevitore e mi voltai.
Mavis Weld era in piedi, in mezzo alla sala e mi osservava.
– Avete qui la vostra macchina? – le domandai.
– Si.
– Filate.
– E poi?
– Niente. Andate a casa.
– Non potete cavarvela, in questa situazione – mormoro.
– Siete la mia cliente.
– Non posso permettervelo. L'ho ucciso io. Perche dovrei trascinarvi in questo pasticcio?
– Non tergiversate. E quando ve ne andate prendete la strada posteriore.
Non quella che mi ha fatto fare Dolores.
Lei mi guardo dritto negli occhi e ripete, con voce vibrante:
– Ma io l'ho ucciso.
– Non riesco a sentire una sola parola di quel che dite.
Poso i denti sul labbro inferiore e ve li affondo, crudelmente. Se ne stava rigida, in piedi, e pareva quasi che non respirasse. Le andai vicino e le toccai la guancia con la punta d'un dito. Premetti forte. Poi guardai la macchia bianca diventare lentamente rossa.
– Se ci tenete a saperlo, le mie ragioni non hanno nulla a che vedere con voi – le dissi. – Sono in debito coi questurini. Non ho fatto un gioco pulito, questa volta. Loro lo sanno. Io lo so. Sto semplicemente cercando di offrir loro l'occasione di darsi un po' di arie.
– Come se non se ne procurassero abbastanza da soli – osservo Mavis, poi si volto di scatto e si allontano. La fissai, mentre si dirigeva verso l'arco, aspettando che si guardasse indietro. Se ne ando senza voltarsi. Dopo molto tempo udii un ronzio. Poi una specie di tonfo… la porta del garage che si alzava. Un'automobile si avvio, a grande distanza. Poi rallento, vi fu una pausa di silenzio… poi di nuovo il ronzio.
Il ronzio cesso, poi il rombo del motore si perse in lontananza. Non udivo piu nulla, ora. Il silenzio della casa mi avvolgeva, come la cappa di pelo intorno alle spalle di Mavis Weld.
Riportai la bottiglia e il bicchiere al bar e scavalcai il banco. Sciacquai il bicchiere nel minuscolo acquaio e riposi la bottiglia sullo scaffale. Questa volta trovai la serratura e spalancai lo sportello, dal lato opposto del telefono.
Tornai da Steelgrave. Trassi di tasca l'automatica che mi aveva dato Dolores, la ripulii col fazzoletto. Chiusi la