asciutto. Il liquido non bagnava.
Incredibile, si disse. Un liquido piu caldo dell’acqua, piu pesante, coesivo, e non bagnava. Forse Nicodemus aveva un transmog… no, al diavolo. Nicodemus aveva un lavoro da sbrigare e, appena l’avesse terminato, se ne sarebbero andati da quel pianeta, avanti nello spazio, probabilmente verso altri pianeti, o forse senza meta. E se fosse stato cosi, lui sarebbe rimasto ibernato, non sarebbe stato richiamato in vita. Il pensiero sembrava spaventarlo meno di quanto sarebbe stato logico.
Ora, per la prima volta, ammetteva cio che aveva in fondo alla mente, da sempre. Quel pianeta non andava. Carnivoro l’aveva detto nelle prime parole di benvenuto, che non era un buon pianeta. Non era pericoloso, ne spaventoso, ne ripugnante… non valeva niente. Non era il posto dove un uomo poteva desiderare di restare.
Cerco di analizzare le ragioni di quel pensiero, ma sembrava non vi fossero fattori specifici da allineare e contare. Era solo un’intuizione, una reazione psicologica inconscia. Forse il guaio era che quel pianeta era troppo simile alla Terra… una sorta di Terra sciatta. Aveva immaginato che un pianeta alieno fosse alieno, e non una copia sbiadita e insoddisfacente della Terra. Molto probabilmente, altri erano alieni in modo piu soddisfacente. Avrebbe dovuto chiederlo ad Elayne: lei lo avrebbe saputo. Strano, ,penso, com’era uscita dal tunnel ed aveva salito il sentiero. Strano che, su quel pianeta, due vite umane s’incrociassero… no, non due, ma tre, perche aveva dimenticato Shakespeare. Chissa come, il fato aveva frugato nella sua borsa piena di trucchi ed aveva estratto tre umani, in un arco di tempo limitato… cosi limitato da farli incontrare, o quasi, nel caso di Shakespeare… in modo che tutti e tre influissero l’uno sull’altro. Adesso Elayne era giu, al tunnel, insieme a Nicodemus, e tra poco Horton li avrebbe raggiunti. Ma prima, probabilmente, avrebbe esaminato quella collinetta conica. Tuttavia, non sapeva come indagare, ne cosa avrebbe potuto rivelargli l’indagine. Ma, inspiegabilmente, sembrava importante che le desse un’occhiata. Molto probabilmente aveva quella sensazione, si disse, perche sembrava tanto fuori posto.
Si alzo, fece lentamente il giro dello stagno, dirigendosi verso la collina. Il sole, a meta del cielo, ad oriente, era caldo. Era azzurro pallido, senza traccia di nubi. Horton si sorprese a chiedersi com’era il clima, su quel pianeta. Lo avrebbe chiesto a Carnivoro: era li da un tempo sufficiente per saperlo.
Aggiro lo stagno e arrivo ai piedi della collina. L’erta era cosi ripida da costringerlo a procedere sulle mani e sulle ginocchia, piegandosi in avanti per afferrarsi a quella specie d’erba, per non scivolare in basso.
A meta della salita si fermo, ansimando. Si distese, piantando le mani nel suolo per non sdrucciolare. Giro la testa per guardare lo stagno. La superficie, adesso, era azzurra anziche nera. La tenebra lucida rispecchiava, l’azzurro del cielo. Horton ansimava tanto, per lo sforzo, che gli pareva di sentire la collina ansimare con lui… o forse, era come se nell’interno vi fosse un grande cuore che pulsava ritmicamente.
Ancora semisfiatato, riprese a procedere, sulle mani e sulle ginocchia, e finalmente raggiunse la cima. La, da una piccola piattaforma che coronava la collina, guardo dall’altra parte, e vide che aveva veramente la forma di un cono. Per tutta la circonferenza, il pendio saliva con la stessa angolazione, come dalla parte da cui si era arrampicato lui.
Sedette incrociando le gambe e guardo oltre lo stagno; sul dorsale di fronte, riusci a distinguere qualche tratto in muratura del villaggio deserto. Tento di seguire i contorni delle case, ma si accorse che era impossibile, a causa della fitta vegetazione. Un po’ sulla sinistra c’era la casa di Shakespeare. Un sottile filo di fumo si levava dal fuoco. Non si vedeva nessuno, in giro. Carnivoro, molto probabilmente, non era tornato dalla caccia. E data la depressione del terreno, non poteva vedere il tunnel.
Distrattamente, tiro qualche ciuffo di quella specie d’erba. Alcuni si staccarono, con l’argilla attaccata alle radici.
Si alzo, e discese cautamente il pendio.
Al tunnel trovo Elayne e Nicodemus. Lei era seduta su un macigno, e guardava lavorare il robot, che impugnava uno scalpello e un martello e stava incidendo una linea intorno al quadro.
«Sei tornato,» disse Elayne a Horton. «Come mai ci hai messo tanto?»
«Ho esplorato un po’.»
«Nella citta? Nicodemus me ne ha parlato.»
«Non sono stato nella citta,» disse Horton. «E non c’e nessuna citta.»
Nicodemus si giro, con il martello e lo scalpello che gli penzolavano nella mano. «Sto cercando di staccare il quadro dalla roccia,» disse. «Forse, se ci riesco, potro arrivarci da tergo e lavorare cosi.»
«Riuscirai soltanto a tagliare i fili,» disse Horton.
«Non credo che ci siano fili,» disse Elayne. «Non puo essere un sistema tanto grossolano.»
«E forse,» disse Nicodemus, «se riesco a liberare il pannello, potro scalzare il coperchio.»
«Il coperchio? Dicevi che era un campo di forza.»
«Non so cosa sia,» disse Nicodemus.
«A quanto ho capito,» disse Horton, «non c’era la seconda scatola. Quella che attiva il coperchio.»
«No,» disse Elayne. «E questo significa che qualcuno ha manomesso l’impianto. Qualcuno che non voleva permettere a nessuno di lasciare il pianeta.»
«Vuoi dire che il pianeta e chiuso?»
«Credo di si,» disse lei. «Immagino che dovesse esserci qualche avvertimento, davanti agli altri tunnel, per sconsigliare di usare il selettore che poteva portare su questo pianeta: ma se c’era, i cartelli sono spariti da tempo, o forse ci sono ancora e noi non siamo stati in grado di riconoscerli.»
«E anche se li avesse riconosciuti,» disse Nicodemus, «probabilmente non sarebbe stata capace di leggerli.»
«E esatto,» disse Elayne.
Carnivoro stava arrivando, lungo il sentiero. «Sono tornato con carne nuova e fresca,» annuncio. «Come va, qui? Avete risolto tutto?»
«No,» disse Nicodemus, e si rimise al lavoro.
«Ci metti parecchio,» disse Carnivoro.
Nicodemus torno a voltarsi di scatto. «Non starmi addosso!» scatto. «Non fai altro che ossessionarmi da quando ho cominciato. Tu e il tuo amico Shakespeare siete stati per anni senza combinar nulla, e adesso pretendi che noi risolviamo tutto in un’ora o due.»
«Ma gli utensili li hai,» gemette Carnivoro. «Utensili e competenza. Shakespeare non li aveva, e neppure io. Pensavo che, con gli utensili e la competenza…»
«Carnivoro,» disse Horton, «non ti abbiamo mai assicurato di poter fare qualcosa. Nicodemus ha detto che avrebbe tentato. Non ti ha garantito niente. Smettila di comportarti come se infrangessimo una promessa. Non te ne abbiamo mai fatte.»
«Forse e meglio,» disse Carnivoro, «che tentiamo un po’ di magia. Magia messa insieme. La mia magia, la tua magia e la sua magia.» E indico Elayne.
«La magia non servirebbe a niente,» fece brusco Nicodemus. «La magia non esiste.»
«Oh, esiste, sicuro,» disse Carnivoro. «Su questo non c’e dubbio.» E si appello ad Elayne. «Non lo diresti anche tu?»
«Io ho visto la magia,» disse lei, «o quella che veniva considerata tale. In parte sembrava funzionare. Non sempre, naturalmente.»
«Pura coincidenza,» disse Nicodemus.
«No, piu che una coincidenza,» disse Elayne.
«Perche non ce ne andiamo tutti quanti,» disse Horton, «e lasciamo lavorare in pace Nicodemus? A meno che,» disse al robot, «tu ritenga di aver bisogno d’aiuto.»
«Non ne ho bisogno,» disse Nicodemus.
«Andiamo a vedere la citta,» propose Elayne. «Muoio dalla voglia di visitarla.»
«Ci fermeremo al campo, a prendere una lampada tascabile,» disse Horton. E chiese a Nicodemus: «Ce l’abbiamo, vero?»
«Si,» disse il robot. «La troverai nello zaino.»
«Tu vieni con noi?» chiese Horton a Carnivoro.