«Ti ho detto che ci sono anche gli altri.»

«Ma anche se foste un milione, uno solo di voi avrebbe la probabilita di ritornare ad un mondo che e stato visitato prima. E sarebbe tempo sprecato, se uno solo trovasse la via del ritorno. Dovreste essere in parecchi a riuscire, prima che vi fosse la probabilita statistica di realizzare la mappa dei tunnel, o almeno di cominciare a realizzarla.»

Elayne lo fisso freddamente. «Dal luogo da cui provieni, di certo, avrai sentito parlare della fede.»

«Certo che ho sentito parlare della fede. Fede in se stessi, nel proprio paese, nella propria religione. E questo che c’entra?»

«La fede e spesso tutto cio che uno possiede.»

«La fede,» disse lui, «e pensare che sia possibile qualcosa quando sei ben sicura che non lo e.»

«Perche sei cosi cinico?» chiese lei. «Cosi miope? Cosi materialista?»

«Non sono cinico,» disse Horton. «Ma tengo conto delle probabilita. E non eravamo miopi. Fummo noi, ricordalo, i primi ad andare alle stelle; e ci andammo, ci convincemmo ad andare, grazie al materialismo che tu hai l’aria di disprezzare tanto.»

«E vero,» riconobbe Elayne. «ma non e di questo che sto parlando. La Terra era una cosa; le stelle un’altra. Quando vai tra le stelle, i valori cambiano, i punti di vista si modificano. C’e un’antica frase… ‘e un altro gioco’. Sai dirmi cosa significa?»

«Immagino alluda a un evento sportivo.»

«Vuoi dire quegli sciocchi esercizi che si eseguivano un tempo sulla Terra?»

«Non li eseguite piu? Non ci sono piu sport?»

«C’e troppo da fare, troppo da imparare. Non abbiamo piu bisogno di cercare divertimenti artificiali. Non ne abbiamo il tempo e, anche se lo avessimo, non interesserebbero a nessuno.»

Elayne indico un edificio semisepolto da cespugli ed alberi. «Credo sia quello,» disse.

«Quello?»

«Quello dov’e la stranezza. La cosa strana di cui ti ho parlato.»

«Dobbiamo andare a vedere?»

«Non so bene,» disse lei. «Per dirti la verita, ho un po’ paura. Di quel che potremmo trovare, capisci?»

«Non ne hai idea? Dici di percepire questo qualcosa. La tua percezione arriva almeno a darti qualche accenno?»

Elayne scosse il capo. «Solo che e strano. Qualcosa di straordinario. Forse spaventoso, anche se non provo un vero spavento. Solo un’agitazione della mente, la paura dell’insolito, dell’inaspettato. Solo quel terribile senso di stranezza.»

«Sara faticoso entrare,» disse Horton. «La vegetazione e molto fitta. Dovrei tornare all’accampamento a prendere un machete. Mi pare che l’abbiamo portato.»

«Non e necessario,» disse Elayne. Estrasse l’arma dalla fondina che portava alla cintura.

«Questo brucera la vegetazione e aprira un passaggio,» disse. Era un’arma piu grossa di quanto apparisse nella fondina, con la canna ad ago, un po’ ingombrante.

Horton la guardo. «Un laser?»

«Credo. Non lo so. Non e solo un’arma, ma anche un utensile. Sul mio pianeta d’origine, e normale. Lo portano tutti. Si puo regolare, vedi…» Gli mostro il quadrante inserito nell’impugnatura. «Un filo tagliente, un effetto a ventaglio, quello che vuoi. Ma perche me lo domandi? Ne hai uno anche tu.»

«E diverso,» disse Horton. «Un’arma piuttosto rozza, ma efficiente, se si sa come usarla. Lancia un proiettile. Una pallottola. Calibro quarantacinque. E un’arma, non un utensile.»

Elayne aggrotto la fronte. «Ho sentito parlare del principio,» disse. «Un concetto molto antico.»

«Puo darsi,» disse Horton, «ma era il meglio, al tempo in cui lasciai la Terra. Nelle mani di un uomo che sa farla funzionare, e precisa e mortale. Alta velocita, enorme potenza di arresto. Attivata a polvere… nitrato, credo, forse cordite. Non ne conosco bene la chimica.»

«Ma la polvere… ma nessun composto avrebbe potuto durare per tutti gli anni che hai passato a bordo della nave. Con il tempo si sarebbe decomposto.»

Horton le lancio un’occhiata sbigottita, sorpreso di scoprire che lei sapesse tante cose. «Non ci avevo pensato,» disse. «Ma e vero. Il convertitore di materia, naturalmente…»

«Hai un convertitore di materia?»

«Nicodemus mi ha detto di si. In realta non l’ho visto. Non ne ho mai visto uno, per dire la verita. I convertitori di materia non esistevano, quando venni ibernato. Vennero realizzati piu tardi.»

«Un’altra leggenda,» disse Elayne. «Un’arte perduta…»

«Per niente,» disse Horton. «Tecnologia.»

Lei scrollo le spalle. «Qualunque cosa sia… e perduta. Noi non abbiamo convertitori di materia. Come ho detto, un’altra leggenda.»

«Bene,» disse Horton, «andiamo a vedere cos’e quella tua stranezza, oppure…»

«Andiamo a vedere,» disse Elayne. «Lo regolero alla potenza minima.»

Spiano l’utensile, ed una foschia celeste se ne irradio. Il sottobosco si dileguo con uno sbuffo ed un bizzarro mormorio, la polvere fluttuo nell’aria.

«Attenta,» ammoni Horton.

«Non preoccuparti,» rispose Elayne, con voce tagliente. «So adoperarlo.»

Ed era evidente. Apri un sentiero, stretto e regolare, aggirando un albero. «E inutile bruciarlo. Sarebbe uno spreco.»

«La senti ancora?» chiese Horton. «La stranezza. Riesci a capire cos’e?»

«C’e ancora,» disse lei. «Ma non ho idea di cosa sia, come non l’avevo prima.»

Rinfodero la pistola; e Horton, accendendo la torcia elettrica, la precedette nell’edificio.

L’interno era buio e polveroso. Lungo i muri c’erano mobili semisgretolati. Un animaletto lancio uno squittio di terrore e attraverso correndo la stanza, un guizzo di movimento nell’oscurita.

«Un topo,» disse Horton.

Imperturbata, Elayne disse: «Probabilmente non era un topo. I topi appartengono alla Terra, o almeno cosi dicono le vecchie filastrocche. Ce n’e una che dice ‘Topolino, topolino, cosa fai di buon mattino?’»

«Allora le filastrocche per bambini sono sopravvissute?»

«Alcune si,» disse lei. «Non tutte, credo.»

Si trovarono davanti ad una porta chiusa, e Horton tese una mano, la spinse. La porta crollo, sfasciandosi sulla soglia.

Horton alzo la torcia, proiettando il raggio nell’altra stanza. E la stanza sfolgoro, un bagliore di luce dorata venne ributtato loro in faccia. Indietreggiarono vacillando di un passo, e Horton abbasso la lampada. Cautamente la rialzo e questa volta, nel bagliore della luce riflessa, videro che cosa l’aveva causata. Al centro della stanza che riempiva quasi completamente, c’era un cubo.

Horton abbasso la torcia elettrica per ridurre il riflesso, e muovendosi lentamente entro nella stanza.

La luce della lampada, non piu riflessa dal cubo, pareva venirne assorbita, risucchiata e irradiata nel suo interno, cosi che il cubo pareva luminoso.

Nella luce stava sospeso un essere. Un essere… era l’unica descrizione che poteva venire in mente. Era enorme: riempiva quasi il cubo, ed il corpo si estendeva oltre la loro visuale. Per un momento, vi fu un senso di massa, ma non una massa qualunque. C’era un senso di vita, un flusso che istintivamente annunciava che si trattava di una massa viva. Quella che pareva una testa era reclinata contro quello che poteva essere il petto. E il corpo… ma era un corpo? Era coperto da una complessa filigrana di incisioni. Come un’armatura, penso Horton… come un esemplare costoso dell’arte orafa.

Al suo fianco, Elayne si lascio sfuggire un grido soffocato di sbalordimento. «E bellissimo,» disse.

Horton si sentiva impietrito, in parte per lo stupore, in parte per la paura. «Ha una testa,» disse. «Quella maledetta cosa e viva.»

«Non si e mossa,» disse lei. «E si sarebbe mossa. Al primo tocco della luce, si sarebbe mossa.»

«Dorme,» disse Horton.

«Non credo che dorma,» ribatte Elayne.

«Deve essere viva,» disse lui. «Tu l’avevi sentita. Deve essere questa, la stranezza che sentivi. Non hai ancora idea di cosa sia?»

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