monetina per telefonargli. Niente. Il telefono nell’ufficio di Peggy. Avrebbe potuto chiamarlo da li.

Barcollando, sbilanciata dalla gravidanza, Nattie avanzo piano piano sostenendosi alla parete. Il sudore le colava negli occhi e gocciolava dal naso. Per due volte, fu fermata da attacchi di tosse da spezzarle le costole. La mano e la parete erano macchiate di rosso.

«Nattie?… Nattie, sdraiati immediatamente! Li dove sei. Chiamo il pronto soccorso. Mio Dio, guardatela!»

La voce di Peggy pareva riecheggiare attraverso un lungo tunnel.

«La mia bambina…»

Un dolore atroce le esplose in testa e Nattie cadde su un ginocchio. Una luce bianca le inondo gli occhi. Senti l’intestino e la vescica rilasciarsi, mentre il collo le si tendeva all’indietro. Sapeva che stava cadendo, ma non poteva farci nulla.

«Sta avendo una crisi epilettica! Chiamate il pronto soccorso!»

Le parole di Peggy furono l’ultima cosa che Nattie senti prima che l’oscurita annullasse misericordiosamente il dolore.

1

Belinda, West Virginia

«Matt, sono Laura del pronto soccorso… Matt?»

«Si.»

«Matt, stai ancora dormendo.»

«No.»

«Si che stai dormendo. Lo sento.»

«Che ore sono?»

«Le due e mezzo. Matt, per favore, accendi la luce e svegliati. C’e stato un incidente alla miniera.»

Matt Rutledge emise un gemito. «Maledetta miniera», borbotto.

«Il dottor Butler ha attivato il protocollo per i disastri. Questa notte tocca alla squadra B. Matt, sei sveglio?»

«Sono sveglio», rispose con voce roca, cercando di accendere la lampada sul comodino. «Nove per sette, cinquantasei. La squadra di pallacanestro di Miami e la Heat. Il quinto presidente…»

«D’accordo, d’accordo. Ti credo.»

Fin dai tempi dell’universita, durante l’internato e anche ora, gli era sempre stato difficile chiudere la mente e addormentarsi, ma non tanto quanto poi svegliarsi. Laura Williams conosceva questa sua caratteristica, avendo lavorato con lui al pronto soccorso dell’ospedale regionale della contea di Montgomery per due anni, prima che Matt decidesse di passare alla libera professione. Lei e tutte le altre infermiere non credevano che il dottor Matthew Rutledge fosse completamente sveglio, finche non lo dimostrava oltre ogni ragionevole dubbio.

«La luce e accesa? I piedi sul pavimento?»

«Sono in piedi, sono in piedi. Aspetta un secondo.» Matt lancio il ricevitore sul letto e infilo un paio di jeans sgualciti, una T-shirt con la scritta CAN AEROSOLS NOW e un maglione leggero. «Si e trattato di una frana?» chiese, tenendo fermo il ricevitore con la spalla. Mentre pronunciava quelle parole senti le viscere aggrovigliarsi.

«Credo di si. Le ambulanze sono gia la, non ne e ancora tornata una. E appena arrivato l’uomo della miniera, pensa vi siano dieci o dodici feriti.»

«L’uomo della miniera?» Matt infilo un paio di calzettoni da ginnastica. Due dita, il mignolo e il quarto, spuntavano da un buco nel sinistro. Penso per un attimo di cambiarli, poi tiro indietro le dita e prese gli stivali.

«Ha detto di essere l’addetto alla sicurezza, o qualcosa di simile», rispose lei.

«Alto, capelli neri e una ciocca bianca davanti?» Una specie di gigantesca canaglia, avrebbe voluto aggiungere, ma non lo fece.

«Proprio cosi.»

«Dovrebbe essere Blaine LeBlanc. E una persona molto importante alla Citta della Miniera. Prova a chiederglielo. Laura, grazie, sono in piedi, vestito e gia per strada.»

«Bene. La prima unita di soccorso impieghera un po’ ad arrivare, per cui guida adagio.»

«Lo so. Lo so. I motociclisti sono tra i primi donatori di organi.» S’infilo gli stivali. «Non correro, te lo prometto. Il resto della squadra sta arrivando?»

«Tutti tranne il dottor Crook. Finora non ha risposto ne al telefono ne al cercapersone.»

Bene, speriamo che non si faccia vivo, penso Matt. Robert Crook era un cardiologo i cui pazienti facevano tutti parte dell’alta societa. Era uno dei medici anziani del Policlinico di Belinda ed era stato il piu deciso oppositore al passaggio di Matt dal pronto soccorso alla libera professione. Alla fine, comunque, coloro che ritenevano che una persona amata da tutti, nata e cresciuta a Belinda, un internista addestrato a Harvard e specialista in pronto soccorso, avrebbe di certo soddisfatto il bisogno di un medico di base la spuntarono su Crook, la cui principale obiezione (espressa ad alta voce) era che Matt era un tipo strano e arrogante che non si vestiva ne assomigliava a un medico e che, ma questa considerazione non l’aveva di certo espressa ad alta voce, Matt aveva una volta rifiutato l’invito di sua figlia al ballo studentesco.

«Bene, dovrei arrivare in dieci minuti.»

«Meglio quindici.»

«D’accordo, d’accordo.»

«E, Matt?»

«Si?»

«Nove per sette fa sessantatre, non cinquantasei.»

«Lo sapevo.»

Matt appese il ricevitore e si lego con un elastico i lunghi capelli castano scuro in una coda di cavallo. Per tutto il tempo in cui lui e Ginny si erano frequentati aveva tenuto i capelli corti, non un taglio da militare, ma quasi. E, per decreto di Ginny, solo lei aveva il permesso di tagliarglieli. Da quando era morta, aveva regolato soltanto le basette. Un anno o poco dopo si era infilato una borchia nel lobo dell’orecchio destro e, pochi mesi dopo, si era fatto fare un tatuaggio sul deltoide sinistro: una riproduzione perfetta, ricavata da una fotografia, del biancospino in fiore nel loro giardino, l’albero preferito da Ginny.

La casa di legno con cinque stanze che avevano progettato insieme era in cima a una scogliera che dava sulla Sutherland Valley nei monti Allegheny. Infilandosi una giacca di jeans, Matt usci sulla veranda dove, verso la fine dei suoi giorni, Ginny aveva trascorso quasi tutto il tempo. Era stato l’artista del tatuaggio a Morgantown a convincerlo a farsi tatuare sul braccio il biancospino invece della veranda dicendogli: «Posso capire il sentimento, amico, ma, mi creda, l’estetica e antiquata».

Ogni volta che Matt iniziava a dubitare della decisione di tornare nel West Virginia, e ultimamente quei momenti gli capitavano di frequente, non doveva fare altro che andare sulla veranda. Questo era il genere di notte che piaceva a Ginny. Nel cielo illuminato dalla luna nuova non vi era una sola nuvola. Direttamente sopra la sua testa, l’eterno fiume della Via Lattea scintillava nell’oscurita. La fresca aria di fine estate era, come sempre, permeata di un accenno di fumo proveniente dall’enorme stabilimento di lavorazione del carbone adiacente alla miniera. Ciononostante, l’aria era dolce e fragrante di lavanda, tigli, orchidee e rose selvatiche, erba di San Giovanni e centinaia d’altri fiori.

Strade di campagna, portatemi a casa, la dove sono i miei legami…

Matt giro dietro la casa, raggiunse il garage e mise in moto la Harley Electraglide rosso cupo. Oltre a quella grossa moto, aveva anche una Kawasaki 900 e una Honda 250: di tutte e tre curava la manutenzione da solo. Sceglieva la Harley per viaggiare a velocita di crociera e la Kawasaki, veloce come una lepre, quando voleva vivere in modo un po’ piu spericolato. La Honda, un fuoristrada, oltre a essere emozionante nei boschi, era l’ideale per le visite a casa di buona parte della sua clientela, raggiungibile solo per strade infernali.

Mentre percorreva il viale in ghiaia verso la Statale 6, Matt provo la prima scarica di adrenalina al pensiero

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