«Quindi, niente. Mi disse dove si trovava e che voleva che lo raggiungessi.»

«Per l’omicidio di un poliziotto.»

Nina esito. «Si.»

«Che non c’entra niente con l’FBI e nemmeno con lui. A meno che…»

Lei rimase in silenzio per venti secondi buoni mentre metteva insieme gli elementi. «Oh, Cristo.»

«Gia. E possibile.»

«Allora per quale cavolo di motivo dovremmo parlare con lui?»

«Perche non abbiamo nessun’altra scelta e poi perche cosi gli fai questa domanda e vedi cosa ti risponde. E se non ha una buona risposta, allora… o siamo in guai peggiori di quanto pensiamo o abbiamo qualcosa su cui lavorare.»

Nina aveva chiaramente preso la sua decisione prima che io parlassi. Scese dal letto e recupero il suo cellulare dalla borsa, accendendolo. Nel giro di pochi secondi comincio a cinguettare diverse volte.

«Messaggi della segreteria telefonica,» disse. Li ascolto, poi allontano il cellulare dall’orecchio e rimase immobile con una strana espressione sul volto.

«Era John?»

Lei scosse la testa. «Monroe. Quattro volte. Nessun messaggio, solo: ‘Chiamami’.»

«Allora chiamalo, ma non al numero dell’ufficio. Chiama sul cellulare.»

«Ma se fa una ricerca scoprira dove siamo.»

«Sapra dove eravamo. Dai, telefona.»

Compose il numero, rimase in ascolto tenendo gli occhi su di me.

Poi: «Charles, sono Nina.»

Da due metri di distanza riuscii a sentire il fiume di parole che proruppe immediatamente. Nina ascolto.

«Che cosa stai… Oh Cristo, Charles, ti richiamo.»

Interruppe la comunicazione e per un momento apparve senza parole.

«Che c’e, Nina, cosa e successo?»

«Hanno trovato un’altra donna con un hard disk.»

Alle cinque e mezzo stava diventando buio e noi eravamo in macchina, a una cinquantina di metri da un ristorante chiamato Daley Bread. Lo avevamo notato la notte precedente nella sua imponenza anonima, e lo avevamo scelto perche dava su una strada importante, a quattro curve di distanza dalla 99, l’arteria principale che portava a nord o a sud. Facile da trovare e facile da lasciare in fretta. Ci andammo presto perche volevamo verificare se qualcuno si stava appostando, se fossero state fatte delle telefonate alla polizia del luogo o al distaccamento locale dell’FBI o a chiunque altro. In altre parole, se potevamo fidarci almeno un po’ di Monroe.

In mezz’ora non notammo nessuno, eccetto un manipolo disordinato di cittadini vestiti in modo trasandato, che passarono inframmezzati da piccoli gruppi di giovani facoltosi. I due gruppi apparivano totalmente indipendenti tra loro ed era anzi difficile pensare che potessero coabitare negli stessi spazi e luoghi. Sembravano due specie distinte che avessero appena cominciato a studiarsi vicendevolmente. Guardavamo ogni gruppo avvicinarsi e sparire. Alcuni sbirciavano verso la nostra macchina e sicuramente si domandavano perche una coppia se ne stesse li in una sera buia e fredda. Noi restituimmo gli sguardi. Eravamo paranoici come non mai. Quando in giro non c’era nessuno ci limitavamo semplicemente a osservare la strada in ambo le direzioni.

Alle sei e un quarto, quindici minuti prima dell’appuntamento, aprii la portiera e uscii.

«Fai attenzione,» mi disse.

«Andra tutto bene. Lui non sa che faccia ho.»

«No, ma altri si.»

Risalii la strada a passo moderato, cercando di apparire come una via di mezzo tra i derelitti e i giovani di successo. Aspettai un secondo sull’altro lato della strada rispetto al ristorante, ma fuori non vidi nessuno che ricordasse le forze dell’ordine e dentro c’era pochissima gente.

Mentre attraversavo la strada, mi resi conto che qualunque persona con un po’ di sale in zucca avrebbe tenuto segreto il luogo dell’incontro fino a che Monroe non fosse arrivato in citta, per rendere piu difficile mobilitare agenti locali, qualora ne avesse avuto l’intenzione. Sentivo piu che mai la mancanza di Bobby, o di mia madre. Senza di loro sapevo che non mi sarei mai sentito del tutto con le spalle coperte.

Feci una domanda silenziosa, senza muovere le labbra.

«E un’idea stupida?» Non ci fu risposta.

Dentro il ristorante faceva caldo e l’aria era viziata. Una ragazza in uniforme e dall’aria stanca mi venne incontro con un menu in mano. «Io sono Britnee,» disse, pleonasticamente, dato che aveva un distintivo col suo nome delle dimensioni di una targa d’automobile. «Cena da solo?»

Risposi di si, aggiungendo che avevo notato uno dei separe che correvano su ambo i lati della stanza. Dato che in tutto il locale c’erano solo due coppie, la ragazza non pote far altro che farmi sedere dove volevo.

Ordinai del chili senza nemmeno consultare il menu. Quando ando a svegliare il cuoco io mi sistemai nel posto che avevamo concordato con Nina. Mi sedetti sul lato destro del separe, con la schiena rivolta al muro basso che lo separava dal suo gemello sull’altro lato. Nessun tavolo poteva essere visto dall’altra parte, ma era comunque possibile ascoltare quello che si diceva.

Tirai fuori una rivista gratuita che avevo preso nella hall dell’hotel e cominciai a leggere.

Cinque minuti dopo sentii la porta del ristorante che si apriva. Una rapida occhiata mi disse che era Nina. Britnee cerco di dirottarla su uno dei tavoli accanto alla vetrina, probabilmente per la favolosa vista che offrivano sulla strada fredda e bagnata, ma Nina insistette. La persi di vista quando la cameriera la guido verso il lato dove mi trovavo, e un minuto dopo sentii il rumore di qualcuno che si sedeva al di la del muro divisorio.

Rimanemmo in silenzio per un po’. Udii un’altra cameriera avvicinarsi a Nina e chiederle se voleva da bere e ascoltai la sua risposta. Dal punto di vista acustico la posizione era ottima.

Continuai a far correre gli occhi su pubblicita di negozi locali che non mi interessavano e di ristoranti di storica tradizione, e a conduzione familiare, che sembravano identiche a quelle che si trovavano in qualsiasi altra citta del paese. Era strano sapere che Nina si trovava dall’altra parte del muretto, intenta alle stesse occupazioni. Ogni tanto fissavo per un po’ la strada esterna. Non accadeva nulla.

Poi, alla fine, sentii Nina bisbigliare.

«E arrivato,» disse.

Diedi un’altra rapida occhiata verso la porta e vidi un uomo che aveva passato i quarantacinque anni, dal fisico atletico. Indossava un vestito e un lungo soprabito di pelle. Entro nel locale con passo rapido e supero Britnee prima ancora che lei riuscisse a suggerirgli un posto carino sulla terrazza. Aveva evidentemente individuato Nina da fuori.

«Ciao, Charles,» udii un momento dopo.

Segui il rumore di qualcuno che si sedeva. «Perche non potevamo vederci al tuo hotel?»

«Come fai a sapere che sto in un hotel?»

«E dove altro potresti stare?»

Ci fu una lunga pausa, poi Nina disse: «Charles, ti senti bene?»

«No,» rispose lui. «E nemmeno tu. Abbiamo controllato il video. Si tratta di John e non c’e stata nessuna manipolazione. Anche la sua impronta sul cavatappi a Portland non e contraffatta, e ora c’e un testimone oculare, che ha visto un uomo uscire dall’edificio trascinando una donna. Sembra che l’uomo abbia detto al testimone che la donna era ubriaca e che la stava riaccompagnando a casa. L’identikit assomiglia a John in modo incredibile, e la ragazza ha confermato. Ho anche parlato a Olbrich e so quello che ha scoperto per tuo conto. John era a Portland quella notte.»

«Grazie, Doug.»

«E un poliziotto, non il tuo cazzo di servizio informazioni. Zandt ha ucciso Ferillo, Nina, accettalo. Ha anche colpito la ragazza abbastanza forte da provocarle una commozione cerebrale. Non so cosa diavolo gli passi per la testa, ma proteggerlo non puo che danneggiarti.»

«Braccarlo non servira nemmeno a te. Sei coinvolto anche tu.»

«Cosa vuoi dire?»

In quel momento accaddero due cose: la prima fu che la cameriera arrivo con il mio chili e che ci mise un

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