Laval che si sedeva di fronte a lei con le gambe divaricate per lasciare spazio alla pancia prominente.
«Vivra?» chiese Vera.
«Oh, si, credo di si.»
«Allora…»
«E molto malata, Vera. Non posso negarlo.»
Vera capi che Laval esitava a dire tutto. Teneva gli occhi bassi, poi sbircio Ned, cercando di evitare lo sguardo di Vera.
«Voglio sapere tutto», disse lei.
«D’accordo», annui lui a malincuore. «Vera», prosegui lentamente, «la vista di Annie e rimasta offesa da questo virus.»
Si interruppe. Segui un lungo silenzio. Ned e Vera si scambiarono un’occhiata terrorizzata e angosciata. Poi Vera non riusci piu a trattenersi. «Dottor Laval», imploro con una voce che era quasi un urlo, «Annie e cieca?»
«Be’», rispose Laval, «la nostra attuale diagnosi…»
«E cieca?»
Laval sospiro, un lungo, profondo sospiro. «Ora come ora, non ci vede bene. Non sapremo per un po’ se e una condizione permanente o temporanea.»
Vera si limito a fissare Laval, odiando per un attimo l’uomo che le dava quella notizia. Poi si affloscio sulla sedia, battendosi le ginocchia con i pugni. «Ma ha solo sette anni!» gemette. «La mia piccola ha solo sette anni!»
Ned sembrava tramortito, disperato. «C’e qualche speranza?» chiese.
«Speranza, una parola che puo molto», rispose Laval. «Ma si, la speranza c’e. Abbiamo coperto gli occhi di Annie con dei bendaggi per evitare che la luce diretta li danneggi. Le stiamo somministrando energici antibiotici, con il controllo di uno specialista. Non voglio che vi culliate nelle illusioni, ma, certo, esiste la possibilita che la cecita possa essere temporanea. Non abbiamo ancora localizzato l’area effettiva del danno, se sia nel cervello o nel sistema ottico. Questa malattia e anomala. Ma stiamo impiegando le terapie migliori a nostra disposizione.»
«Quando sapremo?» domando Vera.
Laval fisso il soffitto, poi Vera. «Esattamente, non posso dirlo. Le prossime ventiquattr’ore saranno quelle critiche.»
«Sandy», intervenne Ned, «non vorrei offenderti, ma…»
«Dovremmo chiamare a consulto altri medici?» lo interruppe Laval, completando la frase per lui.
«Be’, si.»
«Non mi offendi, stai tranquillo. Se occorreranno altri specialisti non esiteremo a convocarli.»
«Quando potro vedere Annie?» chiese Vera, trasalendo alla parola «vedere» che all’improvviso assumeva un significato terrificante.
«Adesso», rispose Laval. «Ma solo per qualche minuto.»
Ned aiuto dolcemente Vera ad alzarsi. Appoggiandosi al suo braccio lei usci lentamente nell’atrio gelato e segui Laval verso il pronto soccorso. All’improvviso ebbe davanti un’intera famiglia in lacrime, il padre era appena morto per un infarto, e lei avverti una strana felicita. Perlomeno, la sua Annie respirava.
Arrivo al banco dell’accettazione, bianco e freddo. «Aspettate qui», disse Laval e si avvio nel reparto degenti.
Tutt’intorno Vera scorse disperazione e sconforto. Il piccolo locale dell’accettazione era pieno di gente seduta su nude panche di legno, in attesa di notizie. Molti avevano parenti coinvolti in incidenti d’auto dovuti alla pioggia torrenziale. Altri, venuti da un quartiere popolare non lontano, aspettavano di sapere che cosa ne fosse stato delle vittime di qualche sparatoria. Alcuni offrivano un contrasto quasi comico con quella scena: aspettavano infatti il loro turno per farsi togliere schegge di vetro o un bruscolino dall’occhio.
All’improvviso echeggio un grido altissimo. Vera e Ned videro una donna di mezza eta in preda a un attacco isterico scortata fuori del reparto degenti dal marito stravolto. Vera lancio uno sguardo interrogativo verso il banco dell’accettazione.
«Scossa elettrica», spiego la bionda infermiera alla scrivania. «Ha perso il figlio. Diciassette anni. Ha toccato un cavo elettrico abbattuto.» Riprese a riempire moduli. Lutto e dolore facevano parte della sua routine.
Laval fu di ritorno. «Seguitemi, prego», disse. Guido Vera e Ned lungo uno stretto corridoio imbiancato a calce fino a un piccolo complesso di stanze. Arrivarono alla E21, una cameretta privata proprio di fronte a un refrigeratore d’acqua.
«E qui», annuncio Laval. «Mi raccomando, massimo silenzio.»
Scorgeva la paura sul volto di Vera, che esito un attimo prima di avvicinarsi alla porta.
«D’aspetto… e cambiata?» domando.
«A parte il bendaggio sugli occhi, ci sono le bottiglie della fleboclisi. Il che e normale.»
Ned non smise di sostenere Vera, mentre entrava pian piano nella stanza. Senza piangere, fisso la piccola, il suo visetto pieno e paffuto, il naso a patatina, i biondi capelli ricciuti.
La testata del letto di Annie era rialzata, tenendo la bimba in posizione semiseduta. Dormiva, con la testa girata sulla destra. Vera trasali al voluminoso bendaggio sugli occhi e alla enorme camicia da notte dell’ospedale che si arricciava sulle spalle della figlia. Annie appariva tranquilla, penso Vera, ma pallida, e respirava con qualche affanno. Vera non dovette chiedere perche le sponde di metallo del letto fossero rialzate. Annie aveva avuto una convulsione incontrollabile nell’ambulanza e chissa quante altre al pronto soccorso.
Vera e Ned si accostarono al letto in punta di piedi, mentre Laval attendeva sulla porta. Con mani gentili, la donna sistemo la camicia da notte e sfioro la pelle di Annie. Era piu fresca e asciutta di quanto non fosse stata in ambulanza. Vera cerco di non guardare le bende.
«Ciao, tesoro», sussurro, tentando un sorriso.
«Non credo ti possa sentire», disse Laval.
«Soffrira ancora?» domando Vera.
«Un po’, forse», rispose Laval. «Ma abbiamo farmaci per calmare il dolore.»
Con espressione vacua, Vera volle sapere. «Glielo… direte?»
«Quanto le abbiamo somministrato la terra semincosciente. Le spiegheremo soltanto che la teniamo al buio finche non sappiamo come curarla definitivamente.»
Poi Vera, in piedi e fissando il vuoto, comincio a muovere le labbra come se pregasse. Nessuno oso intervenire. «Tanto varrebbe che fosse morta», gemette Vera alla fine, poi cadde in ginocchio e strinse convulsamente le sponde di metallo del letto.
Le permisero di rimanere, lasciandola a vegliare a lungo dopo che Laval se ne fu andato. Ned resto con lei finche anche lui fu costretto ad andarsene per concedersi qualche ora di sonno, con la promessa che sarebbe tornato la mattina presto. Ma Vera era decisa a non muoversi dall’ospedale finche Annie non si fosse svegliata. Voleva essere la prima a parlarle, a consolarla, ad alleviare il suo terrore.
Seduta al capezzale di Annie, Vera lotto contro l’impulso disperato di abbandonarsi a un pianto isterico, mentre nuove e terribili visioni le affollavano la mente: Annie che avanzava a tentoni, tastando il pavimento con un bastone; Annie con un cane-guida; Annie che leggeva in Braille. Vera, tentando di farsi forza davanti all’ipotesi peggiore, immagino Annie con lo sguardo vuoto dei ciechi.
Poi, alla fine, si affloscio su una sedia e comincio ad assopirsi, tornando sempre con il pensiero ai nitidi mormorii di Annie nell’ambulanza. «Lei avra cura di noi. Ci proteggera lei.»
E di nuovo Vera si chiese chi fosse colei da cui Annie si aspettava protezione per loro due.
3
Vera, finalmente, si addormento. Fece solo un unico sogno: il sogno ricorrente di essere paurosamente sola sulla terra, di camminare lungo vie e di entrare in negozi senza trovare nessun’altra persona viva. L’aveva sognato gia molte altre volte, specialmente in tempi difficili. Alimentava la sua paura di non avere assolutamente affetti che la sostenessero. Quel terrore della solitudine che spesso aveva paralizzato le sue decisioni e la sua indipendenza.