Era sempre stata felice che il suo tenero marito prendesse le decisioni e che in quel momento, in modo diverso, si occupasse di lei suo cognato. La malattia di Annie, riflette, la obbligava a tentare di essere forte, di decidere come madre e come padre.

Si sveglio alle 8.53 e si guardo attorno.

Annie non c’era piu. Il letto rifatto sembrava attendere un nuovo paziente. Le avrebbero forse taciuto che Annie era morta?

Vera si slancio nell’atrio, scontrandosi in pieno con un’infermiera che portava un vassoio colmo di cibo. I piatti volarono via e l’infermiera per poco non cadde.

«Signora, e matta?» strillo la donna.

«Dov’e mia figlia?» imploro Vera, afferrando l’infermiera e scuotendola.

Accorsero infermiere e inservienti a liberare la donna dalla stretta di Vera e trattenendo quest’ultima. «Si calmi!» le ordino un negro gigantesco e Vera ebbe paura.

Occorsero solo pochi minuti perche qualcuno scoprisse che Annie era stata trasferita in una stanza normale nel reparto pediatria. «Settimo piano», disse brusca a Vera una capoinfermiera dai capelli grigi. Poi aggiunse con maggior dolcezza: «Lei appariva cosi stanca e sfinita che hanno pensato bene di non svegliarla».

Vergognandosi un po’, ma con l’ossessione di Annie, Vera corse all’ascensore. Mentre lo aspettava si guardo a uno specchio. Occhiaie pesanti e livide, capelli in disordine, vestito spiegazzato. Si senti sporca e sudata, ma prima di ogni altra cosa voleva verificare come stava Annie. Comincio comunque a ravviarsi i capelli con la mano, ma la porta dell’ascensore si apri rumorosamente e lei vi si infilo.

Il portello si riapri al settimo piano. Vera ne usci a precipizio, per trovarsi subito davanti il banco di formica bianca dell’infermiera di guardia. Questa, una ragazza dai fiammeggianti capelli rossi, parve stupita per una visitatrice cosi mattiniera.

«Dov’e Annie McKay?» ansimo Vera. «Sono sua madre.»

L’infermiera consulto un elenco. «E qui, ma adesso lei non puo entrare.»

«I casi urgenti non possono essere visitati anche fuori orario?»

«Si, ma adesso c’e dentro il dottore.»

«Il dottor Laval?»

«Si. Voglia attendere.» L’infermiera le indico una panca.

«Mi dica solo come sta», la prego Vera.

«Procede bene», rispose l’infermiera con un ampio sorriso. «Fuori pericolo.»

«Gli occhi?»

«Non lo so, signora. E la cartella clinica l’ha il dottor Laval.» Di nuovo, e piu esplicitamente, le indico la panca.

Vera si sedette, ma continuo a guardare da una parte e dall’altra nell’atrio. Il corridoio era bianco a pois colorati. C’erano anche dipinti sulle pareti pagliacci e animali. Ogni porta era di colore differente con applicata sopra una decalcomania di un personaggio di Walt Disney. Un’atmosfera accogliente e gaia. Ma la mente di Vera rimaneva fissa sul fatto che Annie non poteva nemmeno vedere quelle allegre decorazioni.

Con le mani strette in grembo sbircio lo sproporzionato orologio di Topolino sopra la scrivania dell’infermiera. Di tanto in tanto, ma con frequenza, vedeva passare un bimbo su una sedia a rotelle, o altri piccoli ingessati o con cicatrici da operazione. Un’infermiera assisteva una bambina cieca, che tastava il pavimento con un bastone, ai suoi primi passi nel buio. Vera distolse lo sguardo dalla piccola testa bionda, ma il ticchettio del bastone le rimbombava nelle orecchie a mano a mano che la piccola si avvicinava.

Vi fu un tonfo sordo quando la bimba urto contro un muro, un tintinnio quando il bastone picchio contro un carrello. Vera degluti penosamente.

Finalmente Laval usci da una delle camere, evidentemente affaticato. Si muoveva lentamente, trascinando piu del solito la gamba offesa.

Vera si alzo, con il cuore che batteva con violenza, poi vide un mezzo sorriso sulle labbra di Laval.

«Mi dica», lo prego.

«Buone notizie!» annuncio Laval. Per la prima volta dopo molte ore l’ombra di un sorriso illumino anche il viso di Vera. «Sta mostrando notevoli progressi.»

«Gli occhi?»

«Il bendaggio e ancora su, naturalmente, ma mi riprometto di toglierlo tra non molto. Annie e stata abbastanza lucida da dire che vede qualche ombra. Lo considero un ottimo sintomo.»

Sollevata, ma esausta, Vera si rimise a sedere, mentre le sue emozioni ondeggiavano tra l’euforia e l’apprensione. «Non e che possa… peggiorare?» domando.

«Vera», ribatte Laval, dandole un colpetto sulla spalla, «c’e sempre la possibilita di una ricaduta. Ma Annie sta mostrando notevolissimi segni di ripresa.»

«Quando posso vederla?»

«Le infermiere stanno procedendo ad altri esami e io devo visitare un bambino, ma saro di ritorno tra meno di mezz’ora. Penso che allora potrai vederla.» Dette un’occhiata al suo orologio.

Vera gli sorrise. «Grazie», gli disse. «Grazie di cuore.»

Ned arrivo un po’ piu tardi e trovo Vera che aspettava nella stanza dei giochi. Era riuscita a lavarsi la faccia e a pettinarsi. Ned portava dei regali per Annie: una scatola di cioccolatini e un cagnolino di pezza, peloso, soffice e imbottito. Almeno, aveva pensato, Annie quello poteva sentirlo. A Vera, il cognato parve ancora piu disfatto e teso di Laval.

«Come sta?» le chiese subito.

Vera riusci a sorridergli. «Molto meglio. Sandy Laval e appena andato via. Ha detto che tornera tra una ventina di minuti e allora potremo vedere Annie.»

Ned le si avvicino e la bacio sulla guancia. «Finalmente una buona notizia. Non ho chiuso occhio.»

«Siediti», gli ordino Vera. «Dove hai trovato regali a quest’ora?»

«In un emporio aperto tutta la notte. Spero che ad Annie…»

«Ne sara felice. E da quanto dice il dottore sara anche in grado di apprezzarli. Io ho fiducia in Laval.»

«Si», annui Ned. «Anch’io. E anche Harry l’aveva.» Poi, dopo una brevissima pausa, aggiunse: «Come vorrei ci fosse anche lui».

Vera fisso il pavimento e non rispose. Il suo desiderio di Harry era struggente. Ne poteva avvertire la presenza tangibile, sentirne praticamente lo spirito tagliente, ma bonario. Poteva vederlo, come se fosse li, dirigersi alla reception e chiedere di Annie. Sapeva che Ned riteneva di doversi sostituire ad Harry nei confronti di Annie, con tutte le sue capacita e nei limiti raggiungibili da un uomo.

Vera riferi a Ned quanto aveva detto Laval. E poi rimasero seduti in silenzio, aspettando il ritorno del medico.

Vera lo vide, all’improvviso, sgusciare oltre la porta, diretto alla stanza di Annie. Scatto in piedi, pronta a seguirlo. Laval le sorrise.

«Voglio fare un esame preliminare», le spiego senza neanche fermarsi. «Vi chiamero io il piu presto possibile.»

Vera torno a sedersi.

Stare vicino a Ned le infondeva fiducia. Mentre Harry era gioviale Ned aveva sempre avuto un’indole decisa. In citta era considerato il piu equilibrato, il piu responsabile dei due fratelli McKay. E probabilmente era vero. Quando Harry era stato poco piu che ventenne, Vera lo aveva saputo molto prima di conoscerlo, era andato via da casa per andarsene a Topeka, nel Kansas, per un anno. I McKay sapevano dove si trovava, ma piu tardi lui aveva troncato ogni rapporto con i suoi. A Tarrytown erano giunte voci che si fosse dato ad attivita di compravendita, a transazioni sbrigative e forse scarsamente ortodosse. Vera sapeva che la condotta di Harry costituiva cio che zia Matilda chiamava eufemisticamente «i segreti di famiglia». Ma lei li aveva accettati e aveva imparato a vivere con essi. In quel momento, ascoltando i pianti dei bambini nella corsia, vedendo con la mente Annie che giaceva a letto con gli occhi bendati, pregava che Harry tornasse a Tarrytown, come aveva gia fatto una volta.

Venti minuti piu tardi, l’infermiera dai vistosi capelli rossi fece capolino nella stanza dei giochi. «Il dottor Laval vi aspetta», comunico con voce morbida e cantilenante.

Vera e Ned si alzarono di scatto, tanto che il cane di pezza cadde per terra. Ned lo raccolse in fretta e,

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