Il capitano Ian disse: — Esatto. Ieri sera lei portava solo una sbronza, una grossa sbronza. Tesoro, odio dirlo ma Betty ha avuto una pessima influenza. Deplorevole.

— Santo cielo! Allora e meglio fare subito un salto al gruppo di preghiera? Ti va, Marjorie? Te e biscottini qui, e saltiamo la cena? L’intera congregazione preghera per te.

— Come vuoi tu, Janet. — (Dovevo accettare? Non so che etichetta sia prevista per i «gruppi di preghiera».)

Il capitano Tormey disse: — Janet, forse e meglio portarla a casa e pregare per lei li. Non credo che Marj sia abituata alla confessione pubblica dei peccati.

— Marjorie, preferisci cosi?

— Credo di si. Grazie.

— Allora va bene. Ian vuoi chiamare Georges?

Georges era Georges Perreault. Per il momento non ebbi altre informazioni sul suo conto, a parte il fatto che guidava una pariglia di stalloni neri aggiogati a una carrozza Honda da ricconi. Che stipendio ha un capitano di Sb? Friday, non sono affari tuoi. Comunque era una vettura molto bella. E lo era anche Georges, a dire il vero. Bello, intendo. Alto, capelli scuri, abito scuro e cheppi; il ritratto del cocchiere perfetto. Ma Janet non lo presento come un servo, e lui si chino a baciarmi la mano. Un cocchiere fa il baciamano? Continuavo a incontrare usanze umane non previste dalla mia educazione.

Ian ando a sedersi a cassetta con Georges. Janet mi fece salire nella carrozza con lei e distese una grossa coperta. — Ho pensato che non avessi niente per coprirti, venendo da Auckland — spiego. — Infilati sotto. — Non le spiegai che non soffrivo mai il freddo; era un pensiero molto gentile, e andai sotto la coperta con lei. Georges si immise sull’autostrada e incito i cavalli, che partirono a un trotto deciso. Ian prese una tromba delle molte che c’erano a cassetta e la suono a tutto spiano. Non mi parve che ci fosse motivo di farlo; probabilmente aveva solo voglia di un po’ di rumore.

Non entrammo nella citta di Winnipeg. La loro casa si trovava a sud-ovest di una cittadina, Stonewall, a nord della citta, nelle vicinanze del porto.

Quando arrivammo era gia buio, ma vidi bene una cosa: quella villa di campagna era in grado di resistere a qualunque attacco, a parte l’assedio di un esercito professionale. C’erano tre cancelli in fila, col cancello uno e due che facevano da recinto chiuso.

Non vidi Occhi o armi comandate a distanza, ma ero sicurissima che ci fossero. La villa si stagliava nei raggi rossi e bianchi che avvertono i vascelli aerei di non provarci.

Intravvidi solo vagamente le altre difese che completavano i cancelli. Troppo buio. Vidi un muro e due recinti, ma non mi fu chiaro se fossero dotati di armi e/o ordigni esplosivi, ed esitavo a chiedere. Comunque, nessuna persona normale spende cosi tanto per proteggere la casa per poi affidarsi solo a difese passive. Avrei voluto chiedere anche degli Shipstone, visto che alla fattoria Boss aveva perso lo Shipstone principale (sabotato da «zio Jim») e con esso tutte le sue difese; ma, di nuovo, non era la domanda piu adatta per un ospite.

Ancora di piu mi chiesi cosa sarebbe successo se ci avessero assaliti prima di superare i cancelli del loro castello. Ma anche li, col florido commercio di armi illegali che finiscono in mano a gente in teoria disarmata, era una domanda da non fare. Io di solito vado in giro disarmata, ma non credo lo facciano anche gli altri; la maggioranza della gente non possiede ne le mie capacita super ne il mio addestramento speciale.

(Preferisco affidarmi al mio stato di «disarmata» che dipendere da congegni che ti possono essere sottratti a qualunque punto di controllo, o che puoi perdere, o che possono restare senza munizioni, o incepparsi, o essere scarichi quando servirebbero. Io non sembro armata, e questo mi da un vantaggio. Ma altra gente, altri problemi; io sono un caso speciale.)

Percorremmo un sentiero in salita, passammo sotto una tettoia e ci fermammo, e Ian suono di nuovo la sua stupida tromba, ma questa volta con uno scopo preciso; le porte d’ingresso si aprirono. Ian disse: — Portala dentro, amore. Io vado a dare una mano a Georges coi cavalli.

— Non mi serve aiuto.

— Stai calmo. — Ian salto giu e ci fece scendere, diede la mia sacca a sua moglie, e Georges riparti. Ian semplicemente lo segui a piedi. Janet mi accompagno dentro, e io restai a bocca aperta.

Dall’atrio vedevo una fontana luminosa programmata; cambio forme e colori sotto i miei occhi. In sottofondo c’era una musica dolce che (forse) controllava la fontana.

— Janet… Chi e il vostro architetto?

— Ti piace?

— Naturalmente!

— Allora lo ammetto. L’architetto sono io, Ian e il tecnico, Georges ha supervisionato gli interni. E un artista multiforme. Un’altra ala della casa e il suo studio. E tanto vale ti dica subito che Betty mi ha ordinato di nascondere i tuoi vestiti finche Georges non avra dipinto almeno un tuo nudo.

— Betty ha detto questo? Ma io non ho mai fatto la modella, e devo tornare al mio lavoro.

— Tocca a noi farti cambiare idea. A meno che… Ti vergogni? A Betty non sembrava probabile. Georges potrebbe accontentarsi di un ritratto vestito. Per cominciare.

— No, non mi vergogno. Be’, forse un po’ per l’idea di posare. E una novita. Senti, non si puo aspettare? Al momento mi interessa di piu andare al gabinetto che posare. Non vedo una toilette da che ho lasciato l’appartamento di Betty. Dovevo pensarci al porto.

— Scusa, tesoro. Non avrei dovuto tenerti qui a parlare dei dipinti di Georges. Mia madre mi ha insegnato anni fa che la prima cosa da fare per un ospite e mostrargli il bagno.

— Mia madre mi ha insegnato la stessa identica cosa — mentii.

— Per di qui. — Alla sinistra della fontana si apriva un corridoio; Janet mi ci guido fino a una stanza. — La tua camera — annuncio, buttando la mia sacca sul letto — e il bagno e da quella parte. Lo dividerai con me. La mia stanza e il riflesso speculare di questa, sull’altro lato.

C’era un’enormita di spazio da dividere: tre cubicoli, ognuno con wc, bidet, e lavandino; una doccia grande abbastanza per un comitato politico, con comandi su cui avrei dovuto chiedere informazioni; un tavolo per il massaggio e l’abbronzatura; una piscina (o era solo una vasca da bagno?) chiaramente progettata per sguazzare in compagnia; due mobiletti per il trucco con lavandino; un terminale; un frigorifero; una libreria con uno scaffale riservato alle cassette.

— Nessun leopardo? — chiesi.

— Te lo aspettavi?

— Tutte le volte che ho visto questa stanza nei sensifilm l’eroina aveva un leopardo addomesticato.

— Ah. Ti accontenti di un micio?

— Certo. Tu e Ian siete gente da gatti?

— Non proverei mai a mettere su casa senza un gatto. Anzi, in questo momento potrei farti un’offerta d’oro, se ti piacciono i micini.

— Mi piacerebbe tenerne uno, ma non posso.

— Ne discuteremo piu tardi. Adesso accomodati. Vuoi fare la doccia prima di cena? Io ho intenzione di farne una. Ho perso troppo tempo a strigliare Black Beauty e Demon prima di partire per il porto, e non ne ho avuto il tempo. Ti sei accorta che puzzo di stalla?

Ed e cosi che, a piccoli passi, dieci o dodici minuti dopo mi trovai con Georges che mi lavava il retro mentre Ian mi lavava il davanti e la padrona di casa si lavava da sola e rideva e offriva consigli che vennero ignorati. Se entrassi nei particolari, vedreste che ogni passo fu perfettamente logico e che quei gentili sibariti non fecero nulla per mettermi fretta. E non ci fu il minimo tentativo di sedurmi, ne il piu piccolo accenno al fatto che io avessi gia violentato (di una violenza simbolica, se non altro) il padrone di casa la notte prima.

Poi divisi con loro un festino sibaritico nel loro soggiorno (o salotto, o salone, come volete) davanti a un fuoco che era in realta uno degli aggeggi di Ian. Indossavo un neglige di Janet; il concetto di Janet di un neglige adatto a una cena l’avrebbe fatta finire in galera, a Christchurch.

Ma non provoco avance da parte dei due uomini. Arrivati al caffe e al brandy, io ero un tantino alticcia per i drink prima di cena e il vino a cena. Dietro richiesta, mi tolsi il neglige preso a prestito e Georges mi mise in cinque o sei pose diverse, prese stereo e olo della sottoscritta in ogni posa, discutendo di me come se fossi un quarto di manzo. Continuai a insistere che dovevo ripartire il mattino dopo, ma le mie proteste diventarono deboli e formali; Georges non vi presto la minima attenzione. Disse che avevo «belle masse»: forse era un complimento, di certo

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