Ned Rawlins sentiva una stretta gelida al cuore, mentre, in piedi accanto al terminale dei dati, a mille metri dal terrapieno esterno del labirinto, osservava i compagni che azionavano i ricognitori e gli strumenti. Si chiedeva come mai un uomo di talento, ricco di calore umano come Dick Muller, avesse scelto, coscientemente, di seppellirsi in quel maledetto labirinto.
Poi ricordo cos’era successo a Muller su Beta Hydri IV, e convenne che anche uno come lui poteva avere buone ragioni per andare a cercare la solitudine in quel posto. Lemnos era l’ideale: un mondo simile alla Terra, ma disabitato, che garantiva solitudine assoluta. E loro erano venuti li apposta per stanarlo e portarlo via. Rawlins si rabbuio.
Hosteen e Boardman avevano sguinzagliato una dozzina di ricognitori davanti ai diversi ingressi che conducevano alla parte interna del labirinto. Era ormai evidente che l’unica via sicura per entrare nella citta era quella di nordest, ma poiche avevano ricognitori in abbondanza, volevano raccogliere tutti i dati possibili. Il terminale che Ned teneva d’occhio proietto sullo schermo una pianta parziale del labirinto, lasciando un discreto margine di tempo per osservare le trappole e il dedalo di strade. Rawlins era incaricato di seguire l’avanzata del ricognitore in quella zona particolare. Anche gli altri ricognitori erano controllati dal cervello elettronico o da un uomo: Boardman e Hosteen, invece, stavano al terminale per avere una visione complessiva dell’operazione.
«Facciamoli partire» disse Boardman.
Hosteen diede un ordine, e i ricognitori entrarono in citta dalle diverse porte. Grazie agli «occhi» del ricognitore Rawlins ricevette una visione chiara della zona H. A sinistra vide un muro periato che pareva di porcellana blu e, dalla parte opposta, una barriera di fili metallici che dondolavano da una spessa lastra di pietra. Il ricognitore rasento i fili che ronzarono e tremarono in risposta al lieve spostamento dell’aria rarefatta, si diresse verso la base del muro di porcellana, lo segui, piegando ad angolo verso l’interno per circa venti metri. La il muro si interrompeva bruscamente, formando una specie di cavita aperta verso l’alto. L’ultima volta che si era tentato di entrare nel labirinto da quella parte — durante la quarta spedizione — due uomini si erano trovati davanti a quella cavita: uno era rimasto fuori e ci aveva rimesso la vita, l’altro era entrato e si era salvato. Il ricognitore entro. Un attimo dopo, un raggio di luce rossa parti dal centro di una decorazione a mosaico che faceva bella mostra di se, e spazzo l’area immediatamente circostante.
La voce di Boardman arrivo a Rawlins attraverso gli auricolari: «Abbiamo perso quattro ricognitori nell’attimo stesso in cui hanno varcato le rispettive porte» disse. «Proprio come ci eravamo aspettati. E il tuo?»
«Per ora, tutto bene.»
«Dovresti perderlo entro sei minuti dall’ingresso. Quanto tempo e passato?»
«Due minuti e quindici secondi.»
Ora il ricognitore era uscito dalla cavita e percorreva avanti e indietro l’area che era stata spazzata dal raggio. Ned innesto l’olfattivo e avverti il puzzo dell’aria bruciata, una gran quantita di ozono. Il percorso si biforcava: da una parte, un ponte di pietra a una sola arcata gettato sopra una voragine infuocata; dall’altra, un mucchio di blocchi ciclopici in equilibrio precario. Il ponte era assai piu invitante, ma il ricognitore devio, e prese ad avanzare faticosamente tra i blocchi ammassati. Rawlins chiese la ragione di quel comportamento e il cervello centrale gli rispose immediatamente che il «ponte» non esisteva affatto: si trattava di un’immagine proiettata da un dispositivo situato dietro il pilone.
Avendo programmato un avvicinamento simulato, Ned vide l’immagine dello pseudo-ricognitore avviarsi sul ponte e perdere l’equilibrio: il pilone si piego in avanti e spinse il simulatore nella voragine ardente.
Intanto il ricognitore reale si era arrampicato sui massi e stava scendendo dall’altra parte, illeso. Erano gia trascorsi tre minuti e otto secondi. Imbocco un rettilineo che si dimostro sicuro come sembrava. Su entrambi i lati si ergevano torri senza finestre, alte cento metri, fatte di minerale iridescente dalla superficie liscia e lucida come se fosse cosparsa di sostanza grassa. Allo scoccare del quarto minuto, il ricognitore rasento una griglia chiusa e scanso un battipalo a forma di ombrello che si abbatte con forza micidiale. Diciotto secondi dopo giro intorno a un blocco, che si apri, mostrando una voragine spalancata; evito cinque lame spuntate di colpo dal suolo, e sali su un marciapiede mobile che lo trasporto rapidamente in avanti per quaranta secondi esatti.
Tutto questo era gia stato sperimentato da un esploratore terrestre di nome Cartissant, che poi aveva perso la vita. Il poveretto aveva dettato un rapporto particolareggiato delle esperienze fatte nell’interno del labirinto: aveva resistito cinque minuti e trenta secondi, e il suo errore era consistito nel non scendere dal marciapiede mobile al quarantunesimo secondo. Quelli che si tenevano in contatto con lui dall’esterno, non avevano saputo dire cosa gli fosse successo dopo. Ora, mentre il ricognitore lasciava il marciapiede mobile, Rawlins chiese un’altra simulazione e ottenne una rapida proiezione di cio che il cervello elettronico del robot-ricognitore considerava piu probabile: il marciapiede si apri e ingoio il suo passeggero proprio in quel punto. Intanto il ricognitore procedeva rapidamente verso quella che sembrava l’uscita della zona periferica del labirinto. Al di la si apriva una piazza bene illuminata e dall’aspetto vivace, circondata da bolle fluttuanti di una sostanza perlacea.
«Sono ormai quasi sette minuti e tutto va bene, Charles» disse Ned. «Pare che ci sia una porta che da nella zona G. Dovreste collegarvi col mio schermo.»
«Se resiste altri due minuti lo faro» rispose Boardman.
Il ricognitore si fermo poco prima della porta interna, aziono il suo gravitrone e accumulo una sfera di energia con una massa equivalente alla sua, poi lancio la sfera attraverso l’apertura: non accadde niente.
Soddisfatto, avanzo. Ma mentre superava la porta, gli stipiti si abbatterono come le mascelle di una pressa e lo distrussero. Lo schermo di Rawlins si spense. Si collego immediatamente con uno dei ricognitori aerei, che gli rinvio l’immagine del robot. L’apparecchio giaceva a terra, appiattito. Un essere umano caduto in quella trappola sarebbe stato ridotto in poltiglia.
«Il mio ricognitore e fuori combattimento» disse Ned a Boardman. «Sei minuti e quaranta secondi.»
«Come previsto» fu la risposta. «Ora ci rimangono soltanto due ricognitori. Mettiti in contatto e sta’ a guardare.»
Sullo schermo di Rawlins comparve lo schema generale: una panoramica semplificata e stilizzata dell’intero labirinto visto dall’alto. Qua e la piccole X segnavano il punto in cui i vari ricognitori erano stati distrutti. Ned individuo, dopo un’attenta ricerca, il percorso seguito dal suo, e vide un’altra X segnata al limite della zona, nel punto preciso in cui c’era la porta micidiale. Gli sembro che il suo robot si fosse spinto piu avanti degli altri, ma subito rise del suo orgoglio puerile.
Comunque, due dei ricognitori stavano ancora avanzando. Uno era gia praticamente nella seconda zona, e l’altro stava percorrendo un vicolo che immetteva nello stesso anello interno. Lo schema scomparve e Rawlins vide il labirinto quale appariva agli «occhi» di uno dei ricognitori. La colonnina di metallo, alta come un uomo, s’inoltro nell’intrico complicato del labirinto, oltrepassando una colonna dorata che emetteva una strana melodia, quindi una pozza di luce, un fascio di pali metallici, un mucchio di ossa biancheggianti. Ned intravide appena le ossa: ben poche di esse appartenevano a esseri umani. In realta, quel luogo era un cimitero di coraggiosi esploratori galattici.
Mentre il ricognitore avanzava, il giovane si sentiva sempre piu eccitato. Ormai, era una cosa sola con quell’apparecchio, come se anche lui fosse dentro il labirinto, intento a evitare le trappole mortali, una dopo l’altra. Col passare dei minuti provava un senso di trionfo. Ne erano gia passati quattordici. La seconda zona non era fitta di ostacoli come l’altra: c’erano viali ampi, bei colonnati, lunghi vicoli che partivano dall’arteria principale. Si rilasso: si sentiva orgoglioso dell’agilita del ricognitore e dell’acutezza dei suoi dispositivi sensori.
Fu un vero e proprio colpo per lui quando una delle pietre del selciato si ribalto inaspettatamente e catapulto il robot giu per uno scivolo, in fondo al quale gli ingranaggi di un gigantesco mulino ruotavano avidi.
Comunque, nessuno si era aspettato che quel ricognitore arrivasse cosi lontano. Tutti tenevano d’occhio un altro, entrato dalla porta principale, l’unica sicura. Il cumulo di osservazioni ottenuto a prezzo di tante vite l’aveva guidato attraverso tutti i pericoli, e adesso era a buon punto nella zona G, quasi al limite della F. Fino a quel momento tutto si era svolto nel modo previsto confermando i rapporti degli uomini che avevano gia esplorato quella