— Che cosa farai — domanda Eli — quando saremo davvero nella Casa dei Teschi e i Custodi c’inviteranno all’Iniziazione? Manterrai ancora il tuo scetticismo? La tua abitudine di non credere si dimostrera tanto radicata da non permetterti di fare marcia indietro?
— Lo giudichero — risponde lentamente Timothy — quando avro qualcosa su cui basare il mio giudizio. — Di colpo si volta verso Oliver: — Ehi americano perfetto, come mai cosi taciturno?
— Cosa vorresti che dicessi — domanda Oliver. Il suo lungo e asciutto corpo, davanti al televisore, si stira: ogni muscolo si delinea sulla pelle che lo ricopre. E un vero testo ambulante di anatomia. Il suo roseo e chilometrico membro penzola da una foresta dorata, ispirandomi pensieri inopportuni.
— Non hai nulla con cui contribuire al dibattito?
— Veramente non facevo molta attenzione.
— Si parlava di questo viaggio e del grado di fede che ciascuno di noi ha nel Libro dei Teschi — spiega Timothy.
— Capisco.
— Le dispiacerebbe fare una professione di fede, dottor Marshall?
Oliver sembra a mezza strada in una spedizione a un’altra galassia. Dice: — Do a Eli il beneficio del dubbio. Timothy: — Allora credi nei Teschi?
— Ci credo.
— Anche se sappiamo che l’intera faccenda e assurda?
— Si. Anche se e assurda.
— Questa e la posizione dello stesso Tertulliano — s’intromette Eli. —
— Si, si, esattamente la mia posizione! — dico io. — Anch’io credo perche e assurdo. Caro Tertulliano! Dice precisamente quello che sento io. Esattamente la mia posizione.
Oliver: — Non la mia.
— No? — domanda Eli.
Oliver: — No. Io credo
Eli: — Perche?
Io, dopo un lungo istante: — Perche, Oliver? Sai che e assurdo e
— Perche devo crederci — risponde. — Perche e la mia unica speranza.
Mi guarda fisso. I suoi occhi hanno una singolare espressione distrutta, come se avesse guardato in faccia la Morte e fosse venuto via ancora vivo ma con ogni scelta bruciata, ogni possibilita inaridita. Ai confini dell’universo ha udito i tamburi e i pifferi della marcia funebre.
Quello sguardo di ghiaccio mi fa rabbrividire. Quelle parole soffocate mi lasciano impietrito.
Qui con noi nella stanza avverto la gelida presenza della Morte, che passando oltre in silenzio sfiora le nostre giovani guance rosee.
14
Timothy
Siamo proprio un bel quartetto, noialtri. Come abbiamo fatto a metterci insieme? E anzitutto, quale groviglio di destini ci ha gettati nella medesima stanza, all’universita? All’inizio eravamo solo io e Oliver, due matricole che il computer aveva assegnato a una stanza doppia prospiciente il cortile interno.
Io venivo fresco fresco dal liceo Andover, ed ero tutto pieno della mia importanza. Con questo non voglio dire che fossi impressionato dai quattrini di famiglia. Questo particolare l’ho sempre dato per scontato: tutti quelli con cui sono cresciuto erano ricchi, per cui io non avevo piena coscienza di quanto ricchi fossimo noi. E comunque
Cio che mi dava alla testa, invece, era un senso del lignaggio, il sapere che in me scorreva il sangue degli eroi della guerra d’indipendenza, di senatori e deputati, di diplomatici, di grandi finanzieri del diciannovesimo secolo. Mi consideravo un pezzettino di storia fatto persona. Inoltre mi rallegrava constatare che ero alto e forte e privo di difetti: corpo sano, mente sana, tutti i vantaggi naturali. Appena fuori dell’universita c’era un mondo pieno di negri ed ebrei e spastici e nevrotici e omosessuali e altri spostati mentre invece io avevo tre ciliegie alla macchina mangiasoldi della vita ed ero orgoglioso della mia fortuna. In piu avevo una gratifica di cento dollari alla settimana, che mi andava proprio a fagiolo e, forse, non mi rendevo conto che la maggior parte dei diciottenni dovevano tirare avanti con qualcosina meno.
E poi c’era Oliver. Anche questo fu un colpo di fortuna, perche avrei potuto benissimo vedermi assegnato come compagno di stanza un tipo strambo, bislacco, uno di indole cupa, repressa, invidiosa; e invece Oliver aveva l’aria di essere del tutto normale. Di bell’aspetto, chiaramente cresciuto a grano, veniva da una zona agricola del Kansas e aveva fatto il corso propedeutico di medicina. Era alto come me, anzi un paio di centimetri di piu: il che per me era O.K., perche mi trovo a disagio con persone basse. All’esterno era tutt’altro che complicato. Quasi ogni cosa gli faceva nascere sulle labbra un sorriso.
Un tipo che prendeva tutto con filosofia, insomma. Entrambi i genitori morti: poteva permettersi l’universita grazie a una borsa di studio. Io capii subito che non aveva il becco di un quattrino, e per un attimo ebbi il timore che cio potesse costituire causa d’attrito fra noi: ma invece no, perche l’atteggiamento di Oliver nei confronti dei quattrini era perfettamente equilibrato. Il denaro non gl’importava, purche ne avesse abbastanza per pagarsi vitto alloggio e vestiario. E l’aveva: una piccola eredita, frutto della vendita della fattoria di famiglia. Si dimostro divertito, anziche intimorito, alla vista del grosso rotolo di banconote che io oortavo sempre addosso. Il primo giorno mi disse che aveva intenzione di entrare nella squadra universitaria di pallacanestro, e io immaginai che avesse vinto la borsa di studio per meriti sportivi. Ma mi sbagliavo: la pallacanestro gli piaceva molto, giocava con impegno, ma era venuto all’universita per
Qualche volta, nelle primissime settimane, lo sorpresi senza la sua maschera: scomparso il radioso sorriso da ragazzo di campagna, il volto rigido, i muscoli delle guance serrati, gli occhi che mandavano un lampo gelido. La sua forza di volonta fa quasi paura. Oliver ha bisogno di essere perfetto in tutto. Ha sempre avuto la media del 30, e entrato nella squadra di pallacanestro e gia nella prima partita ha battuto il record di punteggio della nostra universita, e sempre rimasto alzato per quasi tutta la notte a studiare, dormendo poco o nulla.
Tuttavia e anche riuscito a dimostrarsi umano. E capace di trangugiare enormi quantita di birra, puo farsi una dopo l’altra un numero qualsiasi di ragazze (abbiamo l’abitudine di scambiarcele fra noi) e sa suonare abbastanza bene la chitarra. L’unica cosa davanti alla quale e saltato fuori l’altro Oliver, l’Oliver-macchina, e stata la droga. La seconda settimana che eravamo all’universita rimediai dell’ottima erba marocchina, e lui non ne volle assolutamente. Disse che aveva impiegato diciassette anni e mezzo a calibrarsi alla perfezione il cervello, e che quindi non intendeva certo farlo andare fuori fase. Per quel che ne so io, nei quattro anni passati da allora non ha neanche fumato mezza cicca alla marijuana. Sopporta il nostro vizio del fumo, ma lui non ne vuole sapere.
Nella primavera del secondo anno giunse Ned. Oliver e io avevamo dichiarato nell’apposito modulo di voler rimanere compagni di stanza. Ned era compagno di corso di Oliver in due discipline: fisica (che Ned aveva scelto come materia scientifica obbligatoria) e letteratura comparata (che Oliver aveva scelto come materia umanistica obbligatoria). Oliver incontrava un po’ di difficolta nel comprendere a fondo Joyce e Yeats, e Ned incontrava un mucchio di difficolta nel comprendere a fondo la teoria dei quanta e la termodinamica: percio avevano convenuto di darsi ripetizioni a vicenda.