aspettava solo l’occasione di manifestarsi e qualcuno te l’ha offerta e tu ti sei rivelato per quello che eri. Che sei.

E gli direi ancora: hai avuto la tua occasione, e la cosa ti e piaciuta, e poi hai passato sette anni a lottare per non ripeterla, e ora la farai con me. Non perche le mie lusinghe siano irresistibili. Non perche io ti abbia intontito con le droghe o con l’alcol. Non sara una seduzione. No, tu la farai perche la vuoi fare, Oliver, perche l’hai sempre voluta fare. Non hai mai avuto il coraggio di concedertela. Bene, ecco qui la tua occasione. Eccomi qui.

E mi avvicinerei, a lui, lo toccherei, e lui scrollerebbe il capo e farebbe un ringhio gutturale, perche vorrebbe ancora lottare contro se stesso; ma poi qualcosa scatterebbe dentro di lui, la tensione accumulata in sette anni si spezzerebbe, e lui cesserebbe di lottare. Si arrenderebbe, e finalmente la faremmo.

E poi giaceremmo insieme in un viluppo sudato e stremato, ma il suo ardore si spegnerebbe come capita sempre dopo, e in lui nascerebbe un senso di colpa grave e di vergogna; e allora Oliver (lo vedo chiaramente come se la scena si stesse svolgendo adesso davanti ai miei occhi) mi picchierebbe a morte, mi bastonerebbe, mi spiaccicherebbe contro il pavimento di pietra, macchiandolo col mio sangue. E mentre io mi contorcerei fra gli spasimi lui si ergerebbe su di me investendomi con le sue grida furiose, perche gli avrei mostrato il suo vero io, a faccia a faccia, e lui non potrebbe sopportare il pensiero di quanto avrebbe visto nei propri occhi.

D’accordo, Oliver, se devi distruggermi distruggimi. Per me e okay, io ti amo, e quindi tutto cio che mi fai per me e okay. E questo serve anche ad adempiere al Nono Mistero, no? Io sono venuto qui per averti e poi morire; ti ho avuto, e adesso — al giusto momento mistico — sono pronto a morire, e per me e okay, mio amato Ol, e tutto okay.

E i suoi spaventosi pugni mi fracassano le ossa. E il mio corpo spezzato sussulta e si contorce. E infine rimane immobile. E dall’alto risuona la voce estatica di Fra Antonio che intona la formula del Nono Mistero. E una campana invisibile rintocca: dong, dong, dong, Ned e morto, Ned e morto, Ned e morto.

La mia fantasticheria era cosi intensamente reale che ho cominciato a tremare e rabbrividire: percepivo in ogni molecola del corpo la violenza di quella visione. Mi parve di essere gia stato da Oliver, di essermi gia avvinghiato a lui nell’estasi, di essere gia defunto sotto il peso della sua collera. E pertanto non avevo piu bisogno di fare ora quelle cose. Erano finite, adempiute, incapsulate nei sigilli del passato. Allora mi sono messo ad assaporare i miei ricordi di Oliver. Il tocco della sua pelle liscia. Il granito dei suoi muscoli che cedeva di fronte alle mie dita spinte avanti in esplorazione. Il sapore di lui sulle mie labbra. Il sapore del mio stesso sangue, che mi colava in bocca mentre lui comiciava a pestarmi. La resa del mio corpo. L’estasi. La voce cne risuonava dall’alto. La campana. I frati che salmodiavano per me un requiem.

Sono sprofondato in una fantasticheria a occhi aperti.

Poi mi accorgo che qualcuno e entrato nella mia stanza. La porta si richiude. Rumore di passi. Accetto anche questo come facente parte della fantasticheria. Senza alzare gli occhi decido che Oliver e venuto a trovarmi, mi convinco che e Oliver, che deve per forza essere Oliver… per cui rimango momentaneamente sbalordito quando infine mi giro e scorgo Eli.

Si e seduto in silenzio contro la parete opposta. Nella sua visita precedente (dieci minuti fa? mezz’ora?) era apparso semplicemente depresso, ma ora sembra del tutto a pezzi. Occhi bassi, spalle cascanti.

— Non riesco a trovare il significato di questa faccenda della confessione — dice con voce sorda. — Non ne vedo nessuno: ne reale, ne simbolico, ne metaforico, ne altro. Mi sembrava di averlo capito, la prima volta che ce ne ha parlato Fra Javier; ma ora non piu. E una cosa che dovremmo fare allo scopo di liberarci dalla morte? Ma perche? Perche?

— Perche ce l’hanno detto loro, di farlo.

— Come sarebbe a dire?

— E questione di ubbidienza. L’ubbidienza origina la disciplina, la disciplina origina l’autodominio, l’autodominio origina il potere di vincere il decadimento. L’ubbidienza e antientropica. Il nostro nemico e l’entropia.

— Come sei facondo!

— La facondia non e peccato.

Eli ride e non replica niente. Mi accorgo benissimo che si trova in equilibrio precario fra sanita mentale e follia, ma non voglio essere proprio io — che barcollo lungo quel sottile confine da quando sono nato — ad avvisarlo del pericolo.

Passa un po’ di tempo. La mia visione di me stesso con Oliver si allontana e svanisce. Non ne porto rancore a Eli: questa serata appartiene tutta a lui.

Finalmente si decide ad aprire bocca. Mi parla di un saggio che ha scritto a sedici anni, quando era al liceo: un saggio sulla decadenza morale dell’Impero Romano d’Occidente considerata in base alla degenerazione del latino nelle varie lingue romanze.

Se ne ricorda tuttora gran parte, e me ne cita lunghi brani. Io lo sto a sentire con un orecchio solo, facendo educatamente mostra di ascoltarlo ma nulla piu: il saggio mi sembra brillante, un’opera notevole in assoluto e senz’altro straordinaria considerando che e stata scritta da un ragazzo di sedici anni, ma in questo momento non ho un enorme desiderio di apprendere quali sottili implicazioni morali si possono scoprire negli schemi evolutivi del francese e dello spagnolo e dell’italiano.

Pero poi, un pochino alla volta, afferro il motivo per il quale Eli mi racconta questa faccenda: in realta si sta confessando. Il saggio l’aveva scritto per partecipare a un concorso bandito da una famosa e prestigiosa associazione: e aveva vinto, ricevendo di conseguenza una pingue borsa di studio che gli aveva consentito di accedere all’universita. Di piu: quel saggio e stato determinante per la sua carriera universitaria, perche venne pubblicato in un’importante rivista filologica rendendolo una celebrita in quel piccolo reame di studiosi. Benche fosse solo una matricola, gli altri studiosi lo citavano in termini elogiativi nelle note in calce; per lui erano aperte le porte di tutte le biblioteche; e infine, se non avesse composto quel saggio dal quale dipendeva la sua fama, non avrebbe avuto l’occasione di scoprire il manoscritto che ci ha condotto qui alla Casa dei Teschi.

Ma… (e neppure in questo momento la sua voce perde il tono inespressivo col quale, pochi minuti fa, aveva fatto un’esposizione dei verbi irregolari)… il concetto fondamentale di quel saggio non era farina del suo sacco. Eli l’aveva rubato.

Ha-ha! Ecco dunque il peccato di Eli Steinfeld! Non banalita di natura sessuale, non episodi infantili di sodomia o di masturbazione reciproca, non coccolamenti incestuosi fra le blande proteste della mammina; ma invece un delitto intellettuale, che piu di tutti spalanca le porte dell’inferno. C’e poco da stupirsi che Eli sia stato cosi riluttante a confessarlo. Adesso, pero, non esita piu a scodellare la verita accusatrice.

Un giorno suo padre, che si trova per caso a mangiare a un ristorante automatico della Sesta Strada, nota accanto a se un ometto scialbo e insignificante che sfoglia un librone voluminoso. E un testo di analisi linguistica: Aspetti diacronici e sincronici del linguaggio di Sommerfelt.

Il titolo non direbbe nulla al signor Steinfeld se poco tempo addietro lui non avesse dovuto sborsare sedici dollari e mezzo (mica una somma da ridere, in quella famiglia) per acquistarne una copia a Eli, il quale sentiva di non poter vivere ancora per molto senza quel libro. Sobbalzo di stupore, dunque, nel riconoscere il poderoso volume in-quarto. Empito di orgoglio paterno: mio figlio filologo!

Presentazioni. Conversazione. Immediato rapporto cordiale: un profugo di mezza eta, in un ristorante automatico, non ha nulla da temere da un suo simile. — Mio figlio — dice il signor Steinfeld, — sta leggendo lo stesso libro! — Espressioni di grande gioia.

L’ometto e un romeno ex professore di linguistica all’universita di Cluj: e espatriato nel 1939, sperando di poter entrare in Palestina ma arrivando invece negli Stati Uniti dopo un giro vizioso attraverso Repubblica Dominicana, Messico, Canada. Incapace di assicurarsi una cattedra, vive in tranquilla poverta nella periferia nordoccidentale di Manhattan, accettando qualsiasi lavoro che riesce a trovare: lavapiatti in un ristorante cinese, correttore di bozze per un quotidiano in romeno che ha avuto vita corta, addetto al ciclostile in un’agenzia d’informazioni che si occupa di persone scomparse, e cosi via. Nel frattempo prepara con grande diligenza il suo capolavoro, un’analisi strutturale e filosofica della decadenza del latino con l’avvento del medioevo. Il manoscritto e virtualmente completo in romeno, dice al padre di Eli, e lui ha gia iniziato la necessaria traduzione in inglese; ma il lavoro va avanti con molta lentezza perche lui con l’inglese non si trova ancora a suo agio avendo la testa cosi piena

Вы читаете Vacanze nel deserto
Добавить отзыв
ВСЕ ОТЗЫВЫ О КНИГЕ В ИЗБРАННОЕ

0

Вы можете отметить интересные вам фрагменты текста, которые будут доступны по уникальной ссылке в адресной строке браузера.

Отметить Добавить цитату